MAURIZIO LAZZARATO
MARCEL DUCHAMP E IL RIFIUTO DEL LAVORO
Edizioni Temporale, 04/2014
Nel tuo ultimo libro, scrivi: per Duchamp «il rifiuto del lavoro artistico significa rifiuto di produrre per il mercato». Ma al di fuori del mercato, esiste un metro per dare un riconoscimento materiale al lavoro immateriale?
Quella di Duchamp è senza dubbio un'esperienza molto particolare. Il mercato dell'arte come lo conosciamo oggi non si era ancora affermato, diciamo così. E lui aveva scelto di starne ai margini. A portarlo nel mercato furono le avanguardie degli anni '60, e fu Schwartz, un gallerista milanese, a compiere questa operazione. L'opera di Duchamp fino a quel momento non era passata per il mercato, era un'opera nascosta. Era poco conosciuto negli Stati Uniti, sconosciuto in Europa, ed è entrato nel mercato dell'arte solo in un secondo momento. Il ready made, per esempio, prima non era mai stato esposto. Erano cose sue, private. Solo una volta, era stato esposto il... pissoir, come si dice in italiano?
Pisciatoio.
Ecco. Quella di Duchamp è una situazione particolare. Oggi appare improponibile. Ma del resto lui stesso dice che il problema è essere al limite: tra lo stare dentro l'arte, dentro il mercato dell'arte, e lo starne fuori. In un'intervista lui stesso riconosce che se avesse abbandonato completamente l'arte, come hanno fatto molti artisti negli anni '60 e '70, che hanno lasciato il mondo dell'arte definitivamente, con una critica severa... questi sono stati completamente dimenticati. Duchamp resta al limite, in maniera qualche volta anche ambigua. Nello stesso tempo, però, il rifiuto del lavoro che applica, un rifiuto sia verso il lavoro in generale, sia verso il lavoro artistico, mi sembra molto interessante. Certo, ci sono delle condizioni materiali. Duchamp aveva una piccola rendita, era aiutato da alcuni ricchi borghesi, e gli ultimi anni della sua vita ha avuto un po' di denaro in tasca. Però prima ha vissuto... non gli interessava molto questo aspetto. Mi sembrava che questa sua caratteristica fosse interessante rispetto a quello che sta succedendo oggi, nel mondo del lavoro. Anche se, ripeto: il rifiuto del lavoro, una strategia del genere, oggi, in quanto tale, è difficilmente riproponibile.
(Intervista di Davide Gangale a Maurizio Lazzarato: www.doppiozero.com).
MARCEL DUCHAMP E IL RIFIUTO DEL LAVORO
Edizioni Temporale, 04/2014
Nel tuo ultimo libro, scrivi: per Duchamp «il rifiuto del lavoro artistico significa rifiuto di produrre per il mercato». Ma al di fuori del mercato, esiste un metro per dare un riconoscimento materiale al lavoro immateriale?
Quella di Duchamp è senza dubbio un'esperienza molto particolare. Il mercato dell'arte come lo conosciamo oggi non si era ancora affermato, diciamo così. E lui aveva scelto di starne ai margini. A portarlo nel mercato furono le avanguardie degli anni '60, e fu Schwartz, un gallerista milanese, a compiere questa operazione. L'opera di Duchamp fino a quel momento non era passata per il mercato, era un'opera nascosta. Era poco conosciuto negli Stati Uniti, sconosciuto in Europa, ed è entrato nel mercato dell'arte solo in un secondo momento. Il ready made, per esempio, prima non era mai stato esposto. Erano cose sue, private. Solo una volta, era stato esposto il... pissoir, come si dice in italiano?
Pisciatoio.
Ecco. Quella di Duchamp è una situazione particolare. Oggi appare improponibile. Ma del resto lui stesso dice che il problema è essere al limite: tra lo stare dentro l'arte, dentro il mercato dell'arte, e lo starne fuori. In un'intervista lui stesso riconosce che se avesse abbandonato completamente l'arte, come hanno fatto molti artisti negli anni '60 e '70, che hanno lasciato il mondo dell'arte definitivamente, con una critica severa... questi sono stati completamente dimenticati. Duchamp resta al limite, in maniera qualche volta anche ambigua. Nello stesso tempo, però, il rifiuto del lavoro che applica, un rifiuto sia verso il lavoro in generale, sia verso il lavoro artistico, mi sembra molto interessante. Certo, ci sono delle condizioni materiali. Duchamp aveva una piccola rendita, era aiutato da alcuni ricchi borghesi, e gli ultimi anni della sua vita ha avuto un po' di denaro in tasca. Però prima ha vissuto... non gli interessava molto questo aspetto. Mi sembrava che questa sua caratteristica fosse interessante rispetto a quello che sta succedendo oggi, nel mondo del lavoro. Anche se, ripeto: il rifiuto del lavoro, una strategia del genere, oggi, in quanto tale, è difficilmente riproponibile.
(Intervista di Davide Gangale a Maurizio Lazzarato: www.doppiozero.com).