SIMONA BARBERA
DAPHNE CNEORUM. SOMETHING NEEDS TO THRIVE
Chan Contemporary Art Association
via S. Agnese 19r - Genova
dal 12/3/2014 al 4/5/2014
Il progetto, nato da una ricerca che Simona Barbera porta avanti da oltre un anno, prende il titolo da un piccolo arbusto velenoso diffuso nell'Appennino ligure, una pianta da cui si ricava una tintura vegetale utilizzata per colorare la lana.
La riflessione dell'artista, interessata ai temi della vulnerabilità, del corpo e della terra, si concentra sulla relazione tra individuo, territorio e mezzi di sussistenza. L'attenzione per le problematiche politico-ambientali e le questioni connesse con la trasformazione violenta di contesti naturali, sociali e culturali si combinano con una circostanziata critica alla tendenza capitalistica.
Al capitalismo globalizzato Simona Barbera imputa le forme di controllo oppressivo dell'ambiente naturale e la violenza sulle comunità che, in tutto il mondo, vengono allontanate e private del loro legame ancestrale con la terra in nome di profitto e sviluppo. Si tratta di una lotta combattuta con armi impari soprattutto dai popoli indigeni e dalle donne (in alcuni paesi ancora oggi perseguitate come "streghe" in nome del controllo sul territorio) che non è estranea - ci ricordano le grandi questioni infrastrutturali a noi vicine - nemmeno alla nostra società.
Alla custodia del territorio ci invita l'artista, che nello spazio di CHAN presenta un insieme di tessuti tinti con coloranti naturali ricavati da lei stessa: si tratta di piante diverse, alcune rare, i cui succhi sono utilizzati per tracciare forme e macchie di colore che si ricollegano da un lato alle forme biomorfe e dall’altro a mappature dei processi di deforestazione avvenuti negli ultimi dieci anni in diverse parti del mondo. Una raccolta di fotografie inedite scattate in Norvegia fissa l'arrivo dei ghiacci con immagini di fragile poeticità, interrogando lo spettatore sulla propria relazione con l'ambiente. Nella stanza è diffusa una traccia audio in cui la sua voce traccia un elenco di episodi legati all'esproprio e alle violenze contro le comunità che stanno combattendo per abitare i propri territori, in una battaglia improrogabile per il mantenimento del proprio "mondo".
Accompagna la mostra un testo in cui Simona Barbera ripercorre tutte le tappe della sua ricerca.
Con un passato in studi musicali non occidentali - vocalità indiana - Simona Barbera ha esplorato, in diversi anni, il suono come medium artistico espanso. Negli ultimi anni ha concentrato la sua ricerca sull'arte sonora, prestando particolare attenzione alla voce parlata e al testo, dando forma ad installazioni sonoro/visive in cui la materia acustica entra in relazione ad interventi site-specific. Attraverso l'uso della voce parlata, assenza e fragilità diventano catalizzatori per un nuovo potenziale. Concentrandosi sull'aspetto teorico e critico, nei suoi progetti Simona Barbera cita spesso temi ambientali relativi alla pratica fotografica e sonora, dove l'idea di vulnerabilità solleva questioni connesse alla trasformazione del paesaggio, perdita, potere e controllo. Il punto centrale della sua ricerca è l'idea di sovvertire il rapporto corpo-territorio come un sistema nostalgico, integrale e chiuso: confini nazionali, sicurezza, ordini stabiliti, potere sulla vita e la morte - in breve, il potere sovrano.
Tra i suoi progetti, On a Perilous Absence, Møllebyen Litteraturfestival in Norvegia; My Skeletons, No Place Gallery, Oslo, Norvegia; Italian Cultural Institute in the world, 54° Biennale di Venezia; To be heard is to be seen, Museo Henie Onstad Art Center in Norvegia; From the liberty square to the independent square, Lodz Biennale; 25 hours a day, Villa Romana, Firenze, Netmage Festival, Bologna; diversi “solo show” tra cui I walk into this garden IIC in Norvegia, Federica Schiavo Gallery (Roma), Oh, my dark soul!, Space4235, Tromsø, Saturn over sunset, Black Temporary Space (Bergamo).
DAPHNE CNEORUM. SOMETHING NEEDS TO THRIVE
Chan Contemporary Art Association
via S. Agnese 19r - Genova
dal 12/3/2014 al 4/5/2014
Il progetto, nato da una ricerca che Simona Barbera porta avanti da oltre un anno, prende il titolo da un piccolo arbusto velenoso diffuso nell'Appennino ligure, una pianta da cui si ricava una tintura vegetale utilizzata per colorare la lana.
La riflessione dell'artista, interessata ai temi della vulnerabilità, del corpo e della terra, si concentra sulla relazione tra individuo, territorio e mezzi di sussistenza. L'attenzione per le problematiche politico-ambientali e le questioni connesse con la trasformazione violenta di contesti naturali, sociali e culturali si combinano con una circostanziata critica alla tendenza capitalistica.
Al capitalismo globalizzato Simona Barbera imputa le forme di controllo oppressivo dell'ambiente naturale e la violenza sulle comunità che, in tutto il mondo, vengono allontanate e private del loro legame ancestrale con la terra in nome di profitto e sviluppo. Si tratta di una lotta combattuta con armi impari soprattutto dai popoli indigeni e dalle donne (in alcuni paesi ancora oggi perseguitate come "streghe" in nome del controllo sul territorio) che non è estranea - ci ricordano le grandi questioni infrastrutturali a noi vicine - nemmeno alla nostra società.
Alla custodia del territorio ci invita l'artista, che nello spazio di CHAN presenta un insieme di tessuti tinti con coloranti naturali ricavati da lei stessa: si tratta di piante diverse, alcune rare, i cui succhi sono utilizzati per tracciare forme e macchie di colore che si ricollegano da un lato alle forme biomorfe e dall’altro a mappature dei processi di deforestazione avvenuti negli ultimi dieci anni in diverse parti del mondo. Una raccolta di fotografie inedite scattate in Norvegia fissa l'arrivo dei ghiacci con immagini di fragile poeticità, interrogando lo spettatore sulla propria relazione con l'ambiente. Nella stanza è diffusa una traccia audio in cui la sua voce traccia un elenco di episodi legati all'esproprio e alle violenze contro le comunità che stanno combattendo per abitare i propri territori, in una battaglia improrogabile per il mantenimento del proprio "mondo".
Accompagna la mostra un testo in cui Simona Barbera ripercorre tutte le tappe della sua ricerca.
Con un passato in studi musicali non occidentali - vocalità indiana - Simona Barbera ha esplorato, in diversi anni, il suono come medium artistico espanso. Negli ultimi anni ha concentrato la sua ricerca sull'arte sonora, prestando particolare attenzione alla voce parlata e al testo, dando forma ad installazioni sonoro/visive in cui la materia acustica entra in relazione ad interventi site-specific. Attraverso l'uso della voce parlata, assenza e fragilità diventano catalizzatori per un nuovo potenziale. Concentrandosi sull'aspetto teorico e critico, nei suoi progetti Simona Barbera cita spesso temi ambientali relativi alla pratica fotografica e sonora, dove l'idea di vulnerabilità solleva questioni connesse alla trasformazione del paesaggio, perdita, potere e controllo. Il punto centrale della sua ricerca è l'idea di sovvertire il rapporto corpo-territorio come un sistema nostalgico, integrale e chiuso: confini nazionali, sicurezza, ordini stabiliti, potere sulla vita e la morte - in breve, il potere sovrano.
Tra i suoi progetti, On a Perilous Absence, Møllebyen Litteraturfestival in Norvegia; My Skeletons, No Place Gallery, Oslo, Norvegia; Italian Cultural Institute in the world, 54° Biennale di Venezia; To be heard is to be seen, Museo Henie Onstad Art Center in Norvegia; From the liberty square to the independent square, Lodz Biennale; 25 hours a day, Villa Romana, Firenze, Netmage Festival, Bologna; diversi “solo show” tra cui I walk into this garden IIC in Norvegia, Federica Schiavo Gallery (Roma), Oh, my dark soul!, Space4235, Tromsø, Saturn over sunset, Black Temporary Space (Bergamo).