LO STUDIOLO DEL DUCA
Il ritorno degli Uomini Illustri alla Corte di Urbino
Galleria Nazionale delle Marche
Palazzo Ducale
piazza Duca Federico 107 - Urbino
11/3/2015 - 4/7/2015
Dopo quasi quattrocento anni, uno dei luoghi più emblematici, una delle testimonianze più rare e preziose del Rinascimento italiano, lo Studiolo di Federico di Montefeltro nel Palazzo Ducale di Urbino, viene ricomposto.
Una mostra mai realizzata prima d’ora permette – dal 12 marzo al 4 luglio 2015 presso la Galleria Nazionale delle Marche – di restituire al pubblico lo Studiolo del Duca nella sua veste originaria, precedente cioè allo smembramento seicentesco dei dipinti, che completavano la decorazione di questo microcosmo intellettuale tanto denso di significati e messaggi, con la raffigurazione dei cosiddetti Uomini illustri: filosofi, poeti, scienziati, uomini di ingegno, dottori della Chiesa del lontano passato o contemporanei, chiamati a raccolta dal Duca per ispirarlo e guidarlo.
Una ricostruzione affascinante e complessa che rivela prima di tutto un tratto della storia di Urbino e un capitolo fondamentale del nostro Rinascimento, ma che ci ricorda anche come 14 dei 28 personaggi rappresentati in questo ambiente privatissimo - e nel contempo fortemente rappresentativo - siano finiti al Museo del Louvre a Parigi, dopo la “razzia” attuata nel 1633 dal Cardinale Antonio Barberini, le complicate divisioni ereditarie, il passaggio nella collezione del Cardinale Fesch zio di Napoleone e poi in quella del marchese Campana, la sua bancarotta e, infine, l’acquisto dei 14 dipinti da parte di Napoleone III.
Un evento che rievoca il clima intellettuale del tempo e le ambizioni di Federico di Montefeltro - lui che più di ogni altro ha rappresentato il mito rinascimentale della virtù militare unita alla sapienza - e che giungendo a conclusione di articolate indagini e studi sui dipinti, potrà forse contribuire a far luce sugli artisti coinvolti nell’impresa e sui complessi riferimenti culturali.
Lo studiolo d’Urbino, esempio capitale di una tipologia che conta pochi esemplari superstiti, rispondeva all’antica idea di ricreare un ambiente adeguato a favorire studio e riflessione, radunando immagini di sapienti – con i quali instaurare un dialogo virtuale – e oggetti rari con cui nutrire lo spirito. Un luogo di piccole dimensioni, collocato nel cuore dell’appartamento del Duca e adiacente agli spazi domestici, tra gli ambienti destinati alle funzioni pubbliche e quelli deputati al sacro; composto da un continuum di tarsie lignee di bottega fiorentina (Giuliano, Benedetto da Maiano e bottega, con cartone di Botticelli per le “Virtù” e forse Francesco di Giorgio Martini) con raffigurati libri, strumenti musicali e scientifici, armi e insegne, clessidre e personificazioni allegoriche che compaiono su ripiani della finta panca e fanno capolino da finte ante socchiuse.
Un trionfo illusionistico coronato, tra rivestimento ligneo e soffitto, dai ritratti appunto di 28 Uomini Illustri collocati in gruppi di quattro, su due piani: Platone (dal registro superiore della parete nord) Aristotele, San Gregorio, San Girolamo, Tolomeo, Boezio, Sant Ambrogio, Agostino, Cicerone, Seneca, Mosé, Salomone, Omero, Virgilio, San Tommaso d’Aquino, Duns Scoto, Euclide, Vittorino da Feltre, Pio II, Bessarione, Solone, Bartolo, Alberto, Sisto IV, Ippocrate, Pietro d’Abano, Dante, Petrarca.
Con la fine della dinastia dei Della Rovere e la devoluzione del ducato di Urbino alla Stato pontificio, ci fu lo smembramento dei dipinti dello Studiolo: un’operazione di rimozione “devastante” che portò alla parcellizzazione delle immagini con il taglio del supporto ligneo.
Ciò che era stato concepito spazialmente e strutturalmente come unicum, un sistema organico fatto di aggregazioni e rimandi interni – reso ora esplicito anche dagli esami dei supporti – fu trasformato in una serie di ritratti individuali con la perdita del disegno unitario, dei riferimenti al Duca, del messaggio implicito.
Oggi solo la metà dei ritratti è conservata nel Palazzo divenuto sede della Galleria Nazionale delle Marche – opere acquistate dalla Stato italiano nel 1934 a seguito del famoso accordo sul Fidecommesso Barberini e riportate in loco - mentre le restanti 14 tavole, giunte al Museo del Louvre nel 1863, non sono mai tornate prima d’ora in Italia.
Lo faranno in questa occasione, ricollocate nelle loro posizione originale, in una mostra curata da Carlo Bertelli, Alessandro Marchi e Maria Rosaria Valazzi, organizzata da Villaggio Globale International e Civita Cultura, promossa dalla Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici delle Marche, dalla Regione Marche e dalla Città di Urbino, con la partecipazione del Musée du Louvre .
Un evento quanto mai atteso che assume un senso ancor maggiore alla luce del vasto progetto di indagini condotto dalla Soprintendenza di Urbino con le Università di Urbino e Bologna, parallelamente ad analoghi studi diagnostici da parte del Centre de Recherches des Musées de France.
E’ stato analizzato con nuove strumentazioni il retro delle tavole (le fibre lignee, la definizione dei tagli ecc.), confermando la ricostruzione dello Studiolo finora ritenuta valida; si sono indagati i pigmenti, gli strati pittorici e soprattutto - tramite riflettografie - i disegni sottostanti, provando l’esistenza di almeno due gruppi di disegni e dunque di almeno due mani.
E se le analogie con la trama preparatoria della Comunione degli Apostoli realizzata dal fiammingo Giusto di Gand per la Chiesa del Corpus Domini confermano, per un gruppo di dipinti, la paternità già riconosciuta del grande pittore nordico incaricato dal Duca – una scelta ponentina dei dipinti in raffinato contrasto con le tarsie fiorentine - ancora dubbia rimane l’identificazione del secondo artista.
La critica concordemente ritiene debba trattarsi di quel pittore di nazionalità spagnola che nel 1477 risultava addirittura residente in un appartamento accessorio del palazzo ducale, ma che si tratti di Pedro Berruguete, come voleva Longhi, è ancora materia di discussione.
L’eccezionale ricomposizione dello Studiolo sarà accompagnata da un innovativo apparato multimediale - per approfondire l’opera e il contesto storico e artistico nel quale essa ebbe origine, rievocando il clima della corte urbinate nell’ultimo decennio di vita del Duca di Montefeltro, e per visualizzare il percorso d’indagine e studi condotto in questi anni - ma anche da poche e importati opere scelte.
Così le testimonianze urbinati degli artisti che lavorarono per lo studiolo si affiancano a opere che illustrano la personalità, il gusto e la cultura di Federico e di coloro che gli furono accanto: il San Sebastiano di Pedro Berruguete e La Comunione degli Apostoli di Giusto di Gand, Il famoso Doppio Ritratto realizzato sempre dall’artista spagnolo e l’imponente Candelabro con le imprese del Duca, opera di Francesco di Giorgio Martini prestata dal Museo Diocesano Albani; il Ritratto di Guidobaldo da Montefeltro di Bartolomeo della Gatta della Galleria Colonna di Roma e quello di Battista Sforza, di Domenico Rosselli dai Musei Civici di Pesaro; i due Tondi marmorei con bassorilievi raffiguranti Federico e Ottaviano Ubaldini, conservati nella Chiesa e Museo di San Francesco a Mercatello sul Metauro, e il monumentale Leggio che troneggiava nella Biblioteca del Duca a sostegno della famosa Bibbia ebraica, il quale si narra Federico avesse preso come bottino di guerra a Volterra; e poi - tra gli altri - alcune opere di Giovanni Santi, autore che secondo recenti interpretazioni potrebbe aver collaborato alle opere urbinati di Gusto di Gand, tanto che il Cristo Comunica San Pietro, che giunge da Casa di Raffaello, un tempo era attribuito proprio al pittore fiammingo.
Ma l’universo del Duca, il suo sogno, le sue ambizioni sono tutte racchiuse lì: in quel luogo unico, intimo, emblematico che egli progettò e volle all’interno del Palazzo-Città di Urbino; nei volti, nei gesti, nella storia degli Uomini Illustri ora richiamati a corte per celebrarlo.
La mostra è accompagnata da catalogo Skira con introduzione di Maria Rosaria Valazzi, contributo di Vittorio Sgarbi e saggi di Sergio Bertelli, Marcello Simonetta, Alessandro Marchi, Carlo Bertelli, Francesca Bottacin, Lorenza Mochi Onori. Le analisi scientifiche sono documentate in catalogo da testi di Maria Letizia Amadori, Barbara Fazzari, Maria Pia Morigi e di Gianluca Poldi.
Il ritorno degli Uomini Illustri alla Corte di Urbino
Galleria Nazionale delle Marche
Palazzo Ducale
piazza Duca Federico 107 - Urbino
11/3/2015 - 4/7/2015
Dopo quasi quattrocento anni, uno dei luoghi più emblematici, una delle testimonianze più rare e preziose del Rinascimento italiano, lo Studiolo di Federico di Montefeltro nel Palazzo Ducale di Urbino, viene ricomposto.
Una mostra mai realizzata prima d’ora permette – dal 12 marzo al 4 luglio 2015 presso la Galleria Nazionale delle Marche – di restituire al pubblico lo Studiolo del Duca nella sua veste originaria, precedente cioè allo smembramento seicentesco dei dipinti, che completavano la decorazione di questo microcosmo intellettuale tanto denso di significati e messaggi, con la raffigurazione dei cosiddetti Uomini illustri: filosofi, poeti, scienziati, uomini di ingegno, dottori della Chiesa del lontano passato o contemporanei, chiamati a raccolta dal Duca per ispirarlo e guidarlo.
Una ricostruzione affascinante e complessa che rivela prima di tutto un tratto della storia di Urbino e un capitolo fondamentale del nostro Rinascimento, ma che ci ricorda anche come 14 dei 28 personaggi rappresentati in questo ambiente privatissimo - e nel contempo fortemente rappresentativo - siano finiti al Museo del Louvre a Parigi, dopo la “razzia” attuata nel 1633 dal Cardinale Antonio Barberini, le complicate divisioni ereditarie, il passaggio nella collezione del Cardinale Fesch zio di Napoleone e poi in quella del marchese Campana, la sua bancarotta e, infine, l’acquisto dei 14 dipinti da parte di Napoleone III.
Un evento che rievoca il clima intellettuale del tempo e le ambizioni di Federico di Montefeltro - lui che più di ogni altro ha rappresentato il mito rinascimentale della virtù militare unita alla sapienza - e che giungendo a conclusione di articolate indagini e studi sui dipinti, potrà forse contribuire a far luce sugli artisti coinvolti nell’impresa e sui complessi riferimenti culturali.
Lo studiolo d’Urbino, esempio capitale di una tipologia che conta pochi esemplari superstiti, rispondeva all’antica idea di ricreare un ambiente adeguato a favorire studio e riflessione, radunando immagini di sapienti – con i quali instaurare un dialogo virtuale – e oggetti rari con cui nutrire lo spirito. Un luogo di piccole dimensioni, collocato nel cuore dell’appartamento del Duca e adiacente agli spazi domestici, tra gli ambienti destinati alle funzioni pubbliche e quelli deputati al sacro; composto da un continuum di tarsie lignee di bottega fiorentina (Giuliano, Benedetto da Maiano e bottega, con cartone di Botticelli per le “Virtù” e forse Francesco di Giorgio Martini) con raffigurati libri, strumenti musicali e scientifici, armi e insegne, clessidre e personificazioni allegoriche che compaiono su ripiani della finta panca e fanno capolino da finte ante socchiuse.
Un trionfo illusionistico coronato, tra rivestimento ligneo e soffitto, dai ritratti appunto di 28 Uomini Illustri collocati in gruppi di quattro, su due piani: Platone (dal registro superiore della parete nord) Aristotele, San Gregorio, San Girolamo, Tolomeo, Boezio, Sant Ambrogio, Agostino, Cicerone, Seneca, Mosé, Salomone, Omero, Virgilio, San Tommaso d’Aquino, Duns Scoto, Euclide, Vittorino da Feltre, Pio II, Bessarione, Solone, Bartolo, Alberto, Sisto IV, Ippocrate, Pietro d’Abano, Dante, Petrarca.
Con la fine della dinastia dei Della Rovere e la devoluzione del ducato di Urbino alla Stato pontificio, ci fu lo smembramento dei dipinti dello Studiolo: un’operazione di rimozione “devastante” che portò alla parcellizzazione delle immagini con il taglio del supporto ligneo.
Ciò che era stato concepito spazialmente e strutturalmente come unicum, un sistema organico fatto di aggregazioni e rimandi interni – reso ora esplicito anche dagli esami dei supporti – fu trasformato in una serie di ritratti individuali con la perdita del disegno unitario, dei riferimenti al Duca, del messaggio implicito.
Oggi solo la metà dei ritratti è conservata nel Palazzo divenuto sede della Galleria Nazionale delle Marche – opere acquistate dalla Stato italiano nel 1934 a seguito del famoso accordo sul Fidecommesso Barberini e riportate in loco - mentre le restanti 14 tavole, giunte al Museo del Louvre nel 1863, non sono mai tornate prima d’ora in Italia.
Lo faranno in questa occasione, ricollocate nelle loro posizione originale, in una mostra curata da Carlo Bertelli, Alessandro Marchi e Maria Rosaria Valazzi, organizzata da Villaggio Globale International e Civita Cultura, promossa dalla Soprintendenza per i Beni Storici Artistici ed Etnoantropologici delle Marche, dalla Regione Marche e dalla Città di Urbino, con la partecipazione del Musée du Louvre .
Un evento quanto mai atteso che assume un senso ancor maggiore alla luce del vasto progetto di indagini condotto dalla Soprintendenza di Urbino con le Università di Urbino e Bologna, parallelamente ad analoghi studi diagnostici da parte del Centre de Recherches des Musées de France.
E’ stato analizzato con nuove strumentazioni il retro delle tavole (le fibre lignee, la definizione dei tagli ecc.), confermando la ricostruzione dello Studiolo finora ritenuta valida; si sono indagati i pigmenti, gli strati pittorici e soprattutto - tramite riflettografie - i disegni sottostanti, provando l’esistenza di almeno due gruppi di disegni e dunque di almeno due mani.
E se le analogie con la trama preparatoria della Comunione degli Apostoli realizzata dal fiammingo Giusto di Gand per la Chiesa del Corpus Domini confermano, per un gruppo di dipinti, la paternità già riconosciuta del grande pittore nordico incaricato dal Duca – una scelta ponentina dei dipinti in raffinato contrasto con le tarsie fiorentine - ancora dubbia rimane l’identificazione del secondo artista.
La critica concordemente ritiene debba trattarsi di quel pittore di nazionalità spagnola che nel 1477 risultava addirittura residente in un appartamento accessorio del palazzo ducale, ma che si tratti di Pedro Berruguete, come voleva Longhi, è ancora materia di discussione.
L’eccezionale ricomposizione dello Studiolo sarà accompagnata da un innovativo apparato multimediale - per approfondire l’opera e il contesto storico e artistico nel quale essa ebbe origine, rievocando il clima della corte urbinate nell’ultimo decennio di vita del Duca di Montefeltro, e per visualizzare il percorso d’indagine e studi condotto in questi anni - ma anche da poche e importati opere scelte.
Così le testimonianze urbinati degli artisti che lavorarono per lo studiolo si affiancano a opere che illustrano la personalità, il gusto e la cultura di Federico e di coloro che gli furono accanto: il San Sebastiano di Pedro Berruguete e La Comunione degli Apostoli di Giusto di Gand, Il famoso Doppio Ritratto realizzato sempre dall’artista spagnolo e l’imponente Candelabro con le imprese del Duca, opera di Francesco di Giorgio Martini prestata dal Museo Diocesano Albani; il Ritratto di Guidobaldo da Montefeltro di Bartolomeo della Gatta della Galleria Colonna di Roma e quello di Battista Sforza, di Domenico Rosselli dai Musei Civici di Pesaro; i due Tondi marmorei con bassorilievi raffiguranti Federico e Ottaviano Ubaldini, conservati nella Chiesa e Museo di San Francesco a Mercatello sul Metauro, e il monumentale Leggio che troneggiava nella Biblioteca del Duca a sostegno della famosa Bibbia ebraica, il quale si narra Federico avesse preso come bottino di guerra a Volterra; e poi - tra gli altri - alcune opere di Giovanni Santi, autore che secondo recenti interpretazioni potrebbe aver collaborato alle opere urbinati di Gusto di Gand, tanto che il Cristo Comunica San Pietro, che giunge da Casa di Raffaello, un tempo era attribuito proprio al pittore fiammingo.
Ma l’universo del Duca, il suo sogno, le sue ambizioni sono tutte racchiuse lì: in quel luogo unico, intimo, emblematico che egli progettò e volle all’interno del Palazzo-Città di Urbino; nei volti, nei gesti, nella storia degli Uomini Illustri ora richiamati a corte per celebrarlo.
La mostra è accompagnata da catalogo Skira con introduzione di Maria Rosaria Valazzi, contributo di Vittorio Sgarbi e saggi di Sergio Bertelli, Marcello Simonetta, Alessandro Marchi, Carlo Bertelli, Francesca Bottacin, Lorenza Mochi Onori. Le analisi scientifiche sono documentate in catalogo da testi di Maria Letizia Amadori, Barbara Fazzari, Maria Pia Morigi e di Gianluca Poldi.