CARLA IACONO
RE-VELATION
a cura di Clelia Belgrado
VisionQuesT Gallery
piazza Invrea 4r - Genova
21/3/2015 - 23/5/2015
Sul velo delle donne islamiche si continua a discutere da molti anni, essendo un accessorio spesso assunto a “simbolo” della distanza tra il mondo islamico e quello occidentale, ambito in cui le regole dell’apparire, soprattutto femminile, si basano più sullo “svelarsi” che sul “velare”. In realtà proprio la pluralità di significati attribuibili e il potere evocativo del velo rendono complessa la situazione: la simbologia del velo cambia, infatti, in funzione del contesto sociale in cui si cala, spesso con differenze incolmabili tra chi lo indossa e chi lo percepisce.
Non solo ci sono molte tipologie di velo (hijab o foulard, niqab, chador, burqa) e altrettanti modi di indossarli, ma l’ormai acquisita polisemia lo ha trasformato in oggetto emblema di dibattiti sociali, politici, religiosi, culturali.′Se lo analizziamo dal punto di vista delle donne che lo indossano o che, al contrario, lo rifiutano, il velo può rappresentare riappropriazione d’identità, appartenenza religiosa, atto politico, atto di fede, regola di comportamento, canone estetico, libera scelta, sottomissione a Dio, resistenza, imposizione patriarcale, ecc.
In Europa, nell’ambito del dibattito sulla laicità dello Stato, il velo islamico è spesso considerato simbolo di attacco ai principi di laicità e uguaglianza, diventando cosi` oggetto di dibattiti mediatici e trasformandosi in un vero e proprio velo della discordia.′Ne è esempio la Francia, paese che ospita tra i tre e i sette milioni di musulmani, in cui nel 1989 nacque una controversia nota come “l’affaire du foulard”: tre studentesse musulmane si presentarono in aula indossando il velo e furono sospese dalle lezioni in nome della costituzione laica della Repubblica Francese; da allora si continua a dibattere sul tema, affrontando aspetti antropologici e sociologici.
Recentemente giovani ragazze musulmane hanno protestato sfilando con veli dei colori della bandiera francese ed esprimendo così il diritto a un’identità` plurima (musulmana e francese), esigenza particolarmente sentita poiché l’Islam non fa rigida distinzione tra vita religiosa e sociale. Con la serie fotografica “Re-velation” Carla Iacono parte dall’analisi della situazione delle donne musulmane immigrate in Europa per riflettere sull’inganno delle strumentalizzazioni, concentrandosi in particolare sullo hijab, il velo islamico che incornicia il volto, coprendone solo i capelli.
Nell'Islam lo “hijab” nel tempo ha acquistato diversi significati, seguendo percorsi fra loro molto differenti; storicamente sembra che l'uso del velo fosse una pratica araba anteriore all'Islam, diffusa anche in altre culture/religioni, come il Cristianesimo orientale e più in generale il mondo bizantino, dove le donne aristocratiche erano solite coprirsi il capo.′Solo col tempo il velo s’impose come oggetto di uso comune, diventando segno di appartenenza alla fede islamica.
D’altro canto l'esigenza di velare il corpo femminile è diffusa in molte culture del Mediterraneo e tutt’oggi sopravvive in determinati ambiti, anche cattolici (es. il velo delle suore o delle spose, simbolo di purezza e castità).′Alla fine del XIX secolo, in Egitto prima e poi in Medio Oriente, nacquero movimenti a favore dell’abolizione del velo; dopo l'apertura dei primi collegi femminili, alcune studentesse iniziarono a chiederne l'abolizione e nel 1926 “Huda Sha‘râwi Pasha” sarà la prima donna a presentarsi in pubblico a capo scoperto.
Oggi in molti paesi d'Europa, dinanzi alle leggi che lo vietano, molte donne musulmane si appellano ai diritti e alle libertà di espressione e religione per poterlo indossare. Il velo è diventato così portatore di nuovi significati e modi di esprimersi, legati alle questioni della cittadinanza, alla rivendicazione culturale, alla ricerca di nuovi modelli spirituali; in particolare per le donne migranti rispecchia l’esigenza di rimanere legate al proprio paese e alle proprie famiglie rappresentandone la cultura di provenienza.
In Francia il divieto dell'uso del velo, non ha certo facilitato il processo di integrazione, ma ha acceso lo scontro con le istituzioni. Per questo si dovrebbe sempre favorire il dialogo e impegnarsi seriamente nella comprensione delle rappresentazioni e dei simboli delle diverse tradizioni.
“Re-velation” non è solo un lavoro di denuncia sulle strumentalizzazioni ma e` anche legato alla tematica principale del lavoro artistico di Carla Iacono, ovvero l’analisi dei riti di passaggio. Nell’Islam classico il velo sancisce proprio il passaggio dall'infanzia alla pubertà, rivendicando il rispetto dovuto alla donna che sarebbe così protetta dagli sguardi “impuri” degli uomini. Similmente, riferendoci ad altre epoche, culture e religioni, il velo, quando utilizzato, e` sempre legato a eventi/situazioni di valore iniziatico (es. matrimonio, lutto, stato monacale nella simbologia cristiana) oppure assimilabile a “status symbol” (es. per le nobildonne nella società ebraica antica oppure nel caso della veletta nell’Ottocento).
Infine la “riscoperta del velo” diffusa soprattutto tra le seconde e le terze generazioni di ragazze maghrebine immigrate, è diventato il mezzo con cui oggi le adolescenti musulmane, nate in un paese occidentale, possono distinguersi dalla generazione dei genitori immigrati, che, in molti casi, si è liberata da ogni simbolo esteriore che potesse rimarcare la loro “specificità”.
Dal confronto delle varie interpretazioni nasce quindi la consapevolezza che è fondamentale, per una società davvero moderna e pluralista, restituire ai simboli delle tradizioni il loro valore, ovvero ri-attualizzarli e non vietarli ma, al contempo, vigilare affinché non ci siano imposizioni, ricordando che l’utilizzo o meno deve essere una libera scelta. Infine non bisogna dimenticare che il velo non è un’uniforme, ma un accessorio che racconta molto di chi lo indossa, coniugando estetica e tradizione. Nel mondo islamico la moda considera il velo come accessorio indispensabile per lo stile delle donne musulmane, proponendo modelli raffinati ed eleganti, sfilate e negozi specializzati, siti web dedicati; non solo, il mercato della moda islamica è in crescita anche in Occidente.
Dal punto di vista formale i ritratti di “Rivelazione” hanno tutti la stessa protagonista, la giovane figlia dell’artista; ciò` per evitare di porre l’accento sull’origine delle persone ritratte ma invitare a riflettere unicamente sulla polisemia del simbolo, andando oltre le specificità del paese o della religione. Inoltre l’elemento autobiografico contribuisce, come` già in altri precedenti lavori di Iacono, a enfatizzare la rappresentazione e a renderla testimonianza genuina.
Il velo, elemento costante nelle fotografie di “Re-velation”, è declinato in diversi modi, a volte con richiami espliciti a specifiche culture, a volte in modo fiabesco o surreale, ma sempre con l’intento di far riflettere sul linguaggio espressivo che ne deriva.′Le composizioni ricordano i ritratti fiamminghi del Seicento e questo, per l’artista, è uno stratagemma per ottenere una contaminazione simbolica tra le diverse culture d’oriente e occidente; inoltre le protagoniste sono fotografate su un fondo uniformemente buio che spesso si confonde con i vestiti. La luce laterale fa emergere dall’oscurità la figura svelando i lineamenti del volto e i particolari dei veli, rafforzando cosi simbolicamente ed esteticamente il concetto di rivelazione.
Secondo l’artista è prerogativa femminile affrontare con levità ma determinazione i problemi complessi e delicati; con la serie “Re-velation” Carla Iacono non prende una posizione ma scava nella storia per “rivelare” tutta una serie di valenze e significati con immagini sincere e raffinate, nel pieno rispetto delle differenze e delle somiglianze delle culture. E se ciò basterà a far discutere con garbo e passione dell’argomento, l’obiettivo sarà raggiunto.
Carla Iacono, Clelia Belgrado
Carla Iacono vive e lavora a Genova, utilizzando diversi media espressivi tra cui principalmente fotografia e installazione; espone dal 2004 in Italia e all’estero, spesso in coppia con il marito, Guido Geerts, che ha lavorato in Olanda nel campo della fotografia pubblicitaria.
Il suo lavoro, incentrato sui temi del corpo e della metamorfosi, analizza principalmente il delicato periodo dell’adolescenza e i suoi “riti di passaggio”, visti come straordinario momento di crescita in cui si colloca lo sforzo per raggiungere la propria identità.
Quella di Carla Iacono è una fotografia di segno “concettuale” che utilizza un misto di sogno, ironia, ambiguita` e fantasia per “svelare” frammenti di memoria o d’inconscio che riaffiorano in forma visibile dalla profondità dell’invisibile.
RE-VELATION
a cura di Clelia Belgrado
VisionQuesT Gallery
piazza Invrea 4r - Genova
21/3/2015 - 23/5/2015
Sul velo delle donne islamiche si continua a discutere da molti anni, essendo un accessorio spesso assunto a “simbolo” della distanza tra il mondo islamico e quello occidentale, ambito in cui le regole dell’apparire, soprattutto femminile, si basano più sullo “svelarsi” che sul “velare”. In realtà proprio la pluralità di significati attribuibili e il potere evocativo del velo rendono complessa la situazione: la simbologia del velo cambia, infatti, in funzione del contesto sociale in cui si cala, spesso con differenze incolmabili tra chi lo indossa e chi lo percepisce.
Non solo ci sono molte tipologie di velo (hijab o foulard, niqab, chador, burqa) e altrettanti modi di indossarli, ma l’ormai acquisita polisemia lo ha trasformato in oggetto emblema di dibattiti sociali, politici, religiosi, culturali.′Se lo analizziamo dal punto di vista delle donne che lo indossano o che, al contrario, lo rifiutano, il velo può rappresentare riappropriazione d’identità, appartenenza religiosa, atto politico, atto di fede, regola di comportamento, canone estetico, libera scelta, sottomissione a Dio, resistenza, imposizione patriarcale, ecc.
In Europa, nell’ambito del dibattito sulla laicità dello Stato, il velo islamico è spesso considerato simbolo di attacco ai principi di laicità e uguaglianza, diventando cosi` oggetto di dibattiti mediatici e trasformandosi in un vero e proprio velo della discordia.′Ne è esempio la Francia, paese che ospita tra i tre e i sette milioni di musulmani, in cui nel 1989 nacque una controversia nota come “l’affaire du foulard”: tre studentesse musulmane si presentarono in aula indossando il velo e furono sospese dalle lezioni in nome della costituzione laica della Repubblica Francese; da allora si continua a dibattere sul tema, affrontando aspetti antropologici e sociologici.
Recentemente giovani ragazze musulmane hanno protestato sfilando con veli dei colori della bandiera francese ed esprimendo così il diritto a un’identità` plurima (musulmana e francese), esigenza particolarmente sentita poiché l’Islam non fa rigida distinzione tra vita religiosa e sociale. Con la serie fotografica “Re-velation” Carla Iacono parte dall’analisi della situazione delle donne musulmane immigrate in Europa per riflettere sull’inganno delle strumentalizzazioni, concentrandosi in particolare sullo hijab, il velo islamico che incornicia il volto, coprendone solo i capelli.
Nell'Islam lo “hijab” nel tempo ha acquistato diversi significati, seguendo percorsi fra loro molto differenti; storicamente sembra che l'uso del velo fosse una pratica araba anteriore all'Islam, diffusa anche in altre culture/religioni, come il Cristianesimo orientale e più in generale il mondo bizantino, dove le donne aristocratiche erano solite coprirsi il capo.′Solo col tempo il velo s’impose come oggetto di uso comune, diventando segno di appartenenza alla fede islamica.
D’altro canto l'esigenza di velare il corpo femminile è diffusa in molte culture del Mediterraneo e tutt’oggi sopravvive in determinati ambiti, anche cattolici (es. il velo delle suore o delle spose, simbolo di purezza e castità).′Alla fine del XIX secolo, in Egitto prima e poi in Medio Oriente, nacquero movimenti a favore dell’abolizione del velo; dopo l'apertura dei primi collegi femminili, alcune studentesse iniziarono a chiederne l'abolizione e nel 1926 “Huda Sha‘râwi Pasha” sarà la prima donna a presentarsi in pubblico a capo scoperto.
Oggi in molti paesi d'Europa, dinanzi alle leggi che lo vietano, molte donne musulmane si appellano ai diritti e alle libertà di espressione e religione per poterlo indossare. Il velo è diventato così portatore di nuovi significati e modi di esprimersi, legati alle questioni della cittadinanza, alla rivendicazione culturale, alla ricerca di nuovi modelli spirituali; in particolare per le donne migranti rispecchia l’esigenza di rimanere legate al proprio paese e alle proprie famiglie rappresentandone la cultura di provenienza.
In Francia il divieto dell'uso del velo, non ha certo facilitato il processo di integrazione, ma ha acceso lo scontro con le istituzioni. Per questo si dovrebbe sempre favorire il dialogo e impegnarsi seriamente nella comprensione delle rappresentazioni e dei simboli delle diverse tradizioni.
“Re-velation” non è solo un lavoro di denuncia sulle strumentalizzazioni ma e` anche legato alla tematica principale del lavoro artistico di Carla Iacono, ovvero l’analisi dei riti di passaggio. Nell’Islam classico il velo sancisce proprio il passaggio dall'infanzia alla pubertà, rivendicando il rispetto dovuto alla donna che sarebbe così protetta dagli sguardi “impuri” degli uomini. Similmente, riferendoci ad altre epoche, culture e religioni, il velo, quando utilizzato, e` sempre legato a eventi/situazioni di valore iniziatico (es. matrimonio, lutto, stato monacale nella simbologia cristiana) oppure assimilabile a “status symbol” (es. per le nobildonne nella società ebraica antica oppure nel caso della veletta nell’Ottocento).
Infine la “riscoperta del velo” diffusa soprattutto tra le seconde e le terze generazioni di ragazze maghrebine immigrate, è diventato il mezzo con cui oggi le adolescenti musulmane, nate in un paese occidentale, possono distinguersi dalla generazione dei genitori immigrati, che, in molti casi, si è liberata da ogni simbolo esteriore che potesse rimarcare la loro “specificità”.
Dal confronto delle varie interpretazioni nasce quindi la consapevolezza che è fondamentale, per una società davvero moderna e pluralista, restituire ai simboli delle tradizioni il loro valore, ovvero ri-attualizzarli e non vietarli ma, al contempo, vigilare affinché non ci siano imposizioni, ricordando che l’utilizzo o meno deve essere una libera scelta. Infine non bisogna dimenticare che il velo non è un’uniforme, ma un accessorio che racconta molto di chi lo indossa, coniugando estetica e tradizione. Nel mondo islamico la moda considera il velo come accessorio indispensabile per lo stile delle donne musulmane, proponendo modelli raffinati ed eleganti, sfilate e negozi specializzati, siti web dedicati; non solo, il mercato della moda islamica è in crescita anche in Occidente.
Dal punto di vista formale i ritratti di “Rivelazione” hanno tutti la stessa protagonista, la giovane figlia dell’artista; ciò` per evitare di porre l’accento sull’origine delle persone ritratte ma invitare a riflettere unicamente sulla polisemia del simbolo, andando oltre le specificità del paese o della religione. Inoltre l’elemento autobiografico contribuisce, come` già in altri precedenti lavori di Iacono, a enfatizzare la rappresentazione e a renderla testimonianza genuina.
Il velo, elemento costante nelle fotografie di “Re-velation”, è declinato in diversi modi, a volte con richiami espliciti a specifiche culture, a volte in modo fiabesco o surreale, ma sempre con l’intento di far riflettere sul linguaggio espressivo che ne deriva.′Le composizioni ricordano i ritratti fiamminghi del Seicento e questo, per l’artista, è uno stratagemma per ottenere una contaminazione simbolica tra le diverse culture d’oriente e occidente; inoltre le protagoniste sono fotografate su un fondo uniformemente buio che spesso si confonde con i vestiti. La luce laterale fa emergere dall’oscurità la figura svelando i lineamenti del volto e i particolari dei veli, rafforzando cosi simbolicamente ed esteticamente il concetto di rivelazione.
Secondo l’artista è prerogativa femminile affrontare con levità ma determinazione i problemi complessi e delicati; con la serie “Re-velation” Carla Iacono non prende una posizione ma scava nella storia per “rivelare” tutta una serie di valenze e significati con immagini sincere e raffinate, nel pieno rispetto delle differenze e delle somiglianze delle culture. E se ciò basterà a far discutere con garbo e passione dell’argomento, l’obiettivo sarà raggiunto.
Carla Iacono, Clelia Belgrado
Carla Iacono vive e lavora a Genova, utilizzando diversi media espressivi tra cui principalmente fotografia e installazione; espone dal 2004 in Italia e all’estero, spesso in coppia con il marito, Guido Geerts, che ha lavorato in Olanda nel campo della fotografia pubblicitaria.
Il suo lavoro, incentrato sui temi del corpo e della metamorfosi, analizza principalmente il delicato periodo dell’adolescenza e i suoi “riti di passaggio”, visti come straordinario momento di crescita in cui si colloca lo sforzo per raggiungere la propria identità.
Quella di Carla Iacono è una fotografia di segno “concettuale” che utilizza un misto di sogno, ironia, ambiguita` e fantasia per “svelare” frammenti di memoria o d’inconscio che riaffiorano in forma visibile dalla profondità dell’invisibile.