TONY CONRAD
FARSI LA CITTÀ
Museo d'arte contemporanea di Villa Croce
via Jacopo Ruffini 3 - Genova
dall'8/3/2013 al 28/4/2013
Farsi la città è la prima mostra personale in Italia di Tony Conrad figura epica della scena underground americana.
La mostra presenta una serie di lavori realizzati da Tony Conrad a partire dagli anni Sessanta e Settanta che indagano la dimensione urbana dello spazio pubblico e le interazioni che vi hanno luogo. Conrad si muove nella scena underground newyorkese e da lì osserva i movimenti delle masse metropolitane e registra le sue espressioni di dissenso, organizza rituali comunitari e decostruisce i meccanismi del cinema documentario. L’ambiguità del titolo, dissacrante e allo stesso tempo propositivo, nasce dall’approccio ambivalente dell’artista nei confronti delle strutture del potere e del loro perverso rapporto con i media. La valenza sessuale nasconde l’idea di un rapporto intimo e appassionato nei confronti della città, carico di un potenziale utopico oggi sempre più raro nel mondo dell’arte, unito però a una volontà sperimentale e dissacrante.
Autore di una produzione artistica complessa e articolata, Conrad da sempre cammina sul sottile filo che lega innovazione e provocazione, sviluppando ricerche di avanguardia nell’ambito della composizione musicale, del cinema sperimentale e della video arte. Nato a Concord (New Hampshire) nel 1940, arriva a New York all’inizio degli anni sessanta, dove partecipa alle esperienze più radicali della musica e del cinema indipendenti. In quegli anni è membro attivo - insieme a La Monte Young, John Cale, Angus MacLise, Maria Zazeela e altri – del Theatre of Eternal Music, gruppo che ha sviluppato le ricerche musicali di John Cage e Fluxus in senso minimalista producendo sonorità estese ed ipnotiche. Le loro speri- mentazioni, etichettate come dream music, si sviluppano grazie all’eliminazione della figura del compositore attraverso l’improvvisazione.
Se i contributi di Tony Conrad in ambito musicale sono noti e amati da un pubblico di appassionati, Farsi la città presenta una parte ancora poco conosciuta della sua ricerca artistica: film, video e lavori audio che esplorano il tema della comunità e della partecipazione, riflettendo sul ruolo degli apparati mediatici nella società contemporanea. Caleidoscopio di suoni, colori, e immagini, questa mostraci porta ‘virtualmente’ in un viaggio nella New York degli anni ‘70. Farsi la città restituisce, senza indugi nostalgici, il ritmo vitale di una città che si era ormai imposta come capitale della cultura occidentale attraverso lo sguardo sbieco di un artista consapevolmente posizionato ai margini della scena.
Opere in Mostra
Bryant Park Moratorium Rally (1969) è una installazione audio a due canali che mette a confronto diverse modalità di percezione di una manifestazione politica contro la guerra in Vietnam che si svolse proprio sotto casa dell’artista. Sfruttando quella che lui stesso definisce la posizione ideale per un artista, vale a dire “trovarsi nel bel mezzo del tumulto democratico”, Conrad colloca un microfono fuori dalla finestra del suo appartamento prospiciente Bryant Park e un altro microfono di fronte alla televisione, sintonizzata su un canale che trasmetteva l’evento in diretta. Il risultato è dissonante e dimostra come la manifestazione sia più reale in televisione. Bryant Park Moratorium Rally registra il gap fra i mass media e la realtà e riflette sulla spettacolarizzazione delle forme del dissenso.
Benché entrambi realizzati nel 1972, i film Waterworks (1972-2012) e Loose Connection (1972-2011) sono stati digitaliz- zati e presentati in pubblico solo nel 2012. Waterworks è il lungometraggio di una celebrazione per il solstizio d’estate organizzata da Conrad e dalla moglie Beverly Grant a Times Square. Concepito come un evento di quartiere, Waterworks registra l’esistenza di una comunità eccentrica ed estemporanea che sceglie di reclamare il cuore pulsante di New York come spazio per l’espressione della propria spiritualità. Loose Connection è, invece, una “rivisitazione concettuale dell’idea di documentario”, un’operazione di alterazione del meccanismo cinematografico effettuata in piena epoca strutturalista. Conrad costruisce uno speciale otturatore per la sua cinepresa Super 8 le cui riprese inducono una forte sensazione di disorientamento nello spettatore. L’evento filmato – l’artista e la sua famiglia che vanno a fare la spesa al supermecato -, in sé assolutamente ordinario, assume così una natura quasi psichedelica.
Più recente, invece, è Studio of the Streets (1990-1993) un progetto collaborativo di attivismo sociale realizzato nella città di Buffalo dove Conrad vive e insegna dal più di vent’anni. Inizialmente concepito per ottenere finanziamenti comunali per la creazione di una “televisione ad accesso pubblico”, autogestita dai cittadini, Studio of the Streets si è presto evoluto in un sistema di “animazione” delle voci della comunità: ogni venerdì pomeriggio, per tre anni, i passanti sono stati fermati sulle scale del Municipio di Buffalo ed invitati ad esprimere i propri desideri, bisogni, necessità. Le interviste, così raccolte e regolarmente mandate in onda su una rete locale, sono diventate un programma di successo. Precursore di modalità partecipate e condivise di informazione come i social-network o la web tv Conrad è riuscito a creare un “interpersonal feedback loop”, un gruppo che trasmette a se stesso la propria immagine. Studio of the Streets è stato presentato in Europa nella Documenta IX del 1992.
Infine, soli lavori in mostra a non fare uso della tecnologia, la serie Yellow TVs (1973) – legata ai famosi Yellow Movies presentati all’ultima Biennale di Venezia –, chiama in causa la pittura per portare alle estreme conseguenze e mettere in discussione le regole del cinema strutturalista, percepite come autoritarie. L’interesse per un’estensione temporale dilatata – long duration – espresso in primo luogo nelle composizioni musicali, viene trasferito in ambito visivo introdu- cendo con prepotenza l’elemento temporale nella percezione della pittura. Negli anni Sessanta Andy Warhol aveva già raggiunto risultati vertiginosi con film come Empire (485 minuti) e Four Stars (1500 minuti), così Conrad decide di cimentarsi nella produzione di film potenzialmente eterni, in continua evoluzione, che vanno addirittura oltre la durata della vita umana. Il colore e gli inchiostri utilizzati per campire aree delineate da cornici scure, che riprendo il formato degli schermi televisivi, sono destinarsi a scurirsi progressivamente nel tempo, con una lentezza tale da non essere percepibile. È un paradosso voluto, quindi, che le Yellow TVs risultino più “leggibili” oggi, a distanza di decenni, che non all’epoca della loro prima esposizione.
Tony Conrad (Concord, 1940) vive e lavora tra Buffalo e New York.
FARSI LA CITTÀ
Museo d'arte contemporanea di Villa Croce
via Jacopo Ruffini 3 - Genova
dall'8/3/2013 al 28/4/2013
Farsi la città è la prima mostra personale in Italia di Tony Conrad figura epica della scena underground americana.
La mostra presenta una serie di lavori realizzati da Tony Conrad a partire dagli anni Sessanta e Settanta che indagano la dimensione urbana dello spazio pubblico e le interazioni che vi hanno luogo. Conrad si muove nella scena underground newyorkese e da lì osserva i movimenti delle masse metropolitane e registra le sue espressioni di dissenso, organizza rituali comunitari e decostruisce i meccanismi del cinema documentario. L’ambiguità del titolo, dissacrante e allo stesso tempo propositivo, nasce dall’approccio ambivalente dell’artista nei confronti delle strutture del potere e del loro perverso rapporto con i media. La valenza sessuale nasconde l’idea di un rapporto intimo e appassionato nei confronti della città, carico di un potenziale utopico oggi sempre più raro nel mondo dell’arte, unito però a una volontà sperimentale e dissacrante.
Autore di una produzione artistica complessa e articolata, Conrad da sempre cammina sul sottile filo che lega innovazione e provocazione, sviluppando ricerche di avanguardia nell’ambito della composizione musicale, del cinema sperimentale e della video arte. Nato a Concord (New Hampshire) nel 1940, arriva a New York all’inizio degli anni sessanta, dove partecipa alle esperienze più radicali della musica e del cinema indipendenti. In quegli anni è membro attivo - insieme a La Monte Young, John Cale, Angus MacLise, Maria Zazeela e altri – del Theatre of Eternal Music, gruppo che ha sviluppato le ricerche musicali di John Cage e Fluxus in senso minimalista producendo sonorità estese ed ipnotiche. Le loro speri- mentazioni, etichettate come dream music, si sviluppano grazie all’eliminazione della figura del compositore attraverso l’improvvisazione.
Se i contributi di Tony Conrad in ambito musicale sono noti e amati da un pubblico di appassionati, Farsi la città presenta una parte ancora poco conosciuta della sua ricerca artistica: film, video e lavori audio che esplorano il tema della comunità e della partecipazione, riflettendo sul ruolo degli apparati mediatici nella società contemporanea. Caleidoscopio di suoni, colori, e immagini, questa mostraci porta ‘virtualmente’ in un viaggio nella New York degli anni ‘70. Farsi la città restituisce, senza indugi nostalgici, il ritmo vitale di una città che si era ormai imposta come capitale della cultura occidentale attraverso lo sguardo sbieco di un artista consapevolmente posizionato ai margini della scena.
Opere in Mostra
Bryant Park Moratorium Rally (1969) è una installazione audio a due canali che mette a confronto diverse modalità di percezione di una manifestazione politica contro la guerra in Vietnam che si svolse proprio sotto casa dell’artista. Sfruttando quella che lui stesso definisce la posizione ideale per un artista, vale a dire “trovarsi nel bel mezzo del tumulto democratico”, Conrad colloca un microfono fuori dalla finestra del suo appartamento prospiciente Bryant Park e un altro microfono di fronte alla televisione, sintonizzata su un canale che trasmetteva l’evento in diretta. Il risultato è dissonante e dimostra come la manifestazione sia più reale in televisione. Bryant Park Moratorium Rally registra il gap fra i mass media e la realtà e riflette sulla spettacolarizzazione delle forme del dissenso.
Benché entrambi realizzati nel 1972, i film Waterworks (1972-2012) e Loose Connection (1972-2011) sono stati digitaliz- zati e presentati in pubblico solo nel 2012. Waterworks è il lungometraggio di una celebrazione per il solstizio d’estate organizzata da Conrad e dalla moglie Beverly Grant a Times Square. Concepito come un evento di quartiere, Waterworks registra l’esistenza di una comunità eccentrica ed estemporanea che sceglie di reclamare il cuore pulsante di New York come spazio per l’espressione della propria spiritualità. Loose Connection è, invece, una “rivisitazione concettuale dell’idea di documentario”, un’operazione di alterazione del meccanismo cinematografico effettuata in piena epoca strutturalista. Conrad costruisce uno speciale otturatore per la sua cinepresa Super 8 le cui riprese inducono una forte sensazione di disorientamento nello spettatore. L’evento filmato – l’artista e la sua famiglia che vanno a fare la spesa al supermecato -, in sé assolutamente ordinario, assume così una natura quasi psichedelica.
Più recente, invece, è Studio of the Streets (1990-1993) un progetto collaborativo di attivismo sociale realizzato nella città di Buffalo dove Conrad vive e insegna dal più di vent’anni. Inizialmente concepito per ottenere finanziamenti comunali per la creazione di una “televisione ad accesso pubblico”, autogestita dai cittadini, Studio of the Streets si è presto evoluto in un sistema di “animazione” delle voci della comunità: ogni venerdì pomeriggio, per tre anni, i passanti sono stati fermati sulle scale del Municipio di Buffalo ed invitati ad esprimere i propri desideri, bisogni, necessità. Le interviste, così raccolte e regolarmente mandate in onda su una rete locale, sono diventate un programma di successo. Precursore di modalità partecipate e condivise di informazione come i social-network o la web tv Conrad è riuscito a creare un “interpersonal feedback loop”, un gruppo che trasmette a se stesso la propria immagine. Studio of the Streets è stato presentato in Europa nella Documenta IX del 1992.
Infine, soli lavori in mostra a non fare uso della tecnologia, la serie Yellow TVs (1973) – legata ai famosi Yellow Movies presentati all’ultima Biennale di Venezia –, chiama in causa la pittura per portare alle estreme conseguenze e mettere in discussione le regole del cinema strutturalista, percepite come autoritarie. L’interesse per un’estensione temporale dilatata – long duration – espresso in primo luogo nelle composizioni musicali, viene trasferito in ambito visivo introdu- cendo con prepotenza l’elemento temporale nella percezione della pittura. Negli anni Sessanta Andy Warhol aveva già raggiunto risultati vertiginosi con film come Empire (485 minuti) e Four Stars (1500 minuti), così Conrad decide di cimentarsi nella produzione di film potenzialmente eterni, in continua evoluzione, che vanno addirittura oltre la durata della vita umana. Il colore e gli inchiostri utilizzati per campire aree delineate da cornici scure, che riprendo il formato degli schermi televisivi, sono destinarsi a scurirsi progressivamente nel tempo, con una lentezza tale da non essere percepibile. È un paradosso voluto, quindi, che le Yellow TVs risultino più “leggibili” oggi, a distanza di decenni, che non all’epoca della loro prima esposizione.
Tony Conrad (Concord, 1940) vive e lavora tra Buffalo e New York.