PIETRO GERMI 1914-1974
mostra organizzata dal Gruppo Ligure Critici Cinematografici (S.N.C.C.I.)
allestita da Claudio Bertieri
con materiali della Fondazione Mario Novaro Genova
Palazzo Ducale - Sala Liguria
piazza Matteotti 9 - Genova
1-29 ottobre 2014
Gli anniversari, si sa, sono sempre dei pretesti anche quando sono doppi come nel caso di Pietro Germi, di cui cadono ne! 2014 i 100 anni dalla nascita e i 40 dalla morte. Così è anche per la massima gloria cinematografica genovese, genovese solo per l’anagrafe, perché, come tutti quelli che intendono fare cinema, ha trascorso nella città d’origine poco più dell’adolescenza prima dell’approdo romano; il che non ha impedito a Germi di conservare comunque memorie genovesi, sparse qua e là nei film fatti.
L’omaggio che gli rende il Gruppo Ligure Critici Cinematografici, con la fattiva collaborazione di quanti figurano nel colophon qui accanto, non ha però una semplice motivazione occasionale. Al contrario è l’opportunità per una riflessione su un autore tanto celebrato – e contrastato – da vivo quanto sovente rimosso dopo la scomparsa. Una certa discontinuità della sua produzione, la singolarità individualista dei suoi soggetti e del suo tono, e ancora l’aver condiviso i tempi di neorealismo, nuovecorrenti e commedia italiana – sposando però modi e maniere del cinema di genere in un ‘epoca in cui cominciava affacciarsi il cinema d’autore – fanno tuttavia di Germi un punto ftrmo: il regista genovese rappresenta infatti una sorta di test per la riflessione libera da preconcetti su chi fa cinema senza facili riferimenti a quanto è esterno alle immagini sullo schermo.
Ricordare oggi Germi con una mostra ha quindi un valore che va al di là della sua persona, il valore dello sguardo verso il senso del passato, che è la vera password per accedere al senso (eventuale) del presente.
Nell’anno in cui il Gruppo Ligure Critici Cinematografici ha appena avviato la quindicesima stagione della “Stanza del Cinema” – l’appuntamento mensile che guarda e medita sul presente della settima arte – si realizza così la Pienezza della sua “missione” di affrontare il cinema in maniera criticamente articolata, cioè senza l’esclusiva attenz!one verso ifamosi, i diversi, gli schierati, gli strani di turno. E insomma come l’applicazione di quell’ ‘!Assalto al cinema” che quattro annifa comPilò !’inventario storico del gusto, della passione, della cultura cinematografiche, ripetutamente alimentate nella nostra città e nella nostra regione da generazioni.
E che speriamo lo saranno ancora in futuro.
Massimo Marchelli
Presidente Gruppo Ligure Critici Cinematografici (S.N.C.C.L)
si ringraziano l’Archivio Museo Nazionale del Cinema per le pagine di sceneggiature dei film
e Walter Di Giusto per la collaborazione all’allestimento della Mostra
IL CINEMA DI PIETRO GERMI
La passione di Pietro Germi per il cinema nasce nel centro storico di Genova – dove il 14 settembre 1914 egli viene alla luce in via Ponte Calvi, figlio di Giovanni, portiere d’albergo, e della sarta Armellina Castiglione – e si alimenta poi negli anni in cui frequenta l’Istituto Nautico dopo di essersi trasferito con la famiglia, allargata ore a tre sorelle, in via Santa Croce a Sarzano.
Più tardi dirà che tra i tanti film visti quelli che più lo avevano emozionato erano stati A me la libertà (1932) di René Clair e Il traditore (1936) di John Ford.
Intanto, Germi faceva le prime esperienze d’attore (nella filodrammatica del teatrino di Santa Maria di Castello), di scrittore (alcuni racconti editi su “Il Lavoro”) e di soggettista cinematografico (la rivista “Cinema” gli pubblica il soggetto Piano regolatore). Era il 1937, lo stesso anno in cui Germi, abbandonato l’impiego da spedizioniere, si trasferisce per breve tempo a Milano e presenta domanda d’ammissione al Centro Sperimentale di Cinematografia.
Convocato a Roma in autunno, s’iscrive dapprima ai corsi di recitazione e poi anche a quelli di regia, tenuti da Alessandro Blasetti. Il suo battesimo dietro la cinepresa avviene con il saggio ambientato in un manicomio e girando con il compagno di studi Dino De Laurenilis il mediometraggio Pantaloni corti.
L’esordio di Germi nel professionismo avviene nel 1939, quando Blasetti lo chiama come co-sceneggiatore e assistente alla regia di Retroscena. Conseguito il diploma al Centro Sperimentale, seguono le collaborazioni con Palermi (La peccatrice, 1940), Elter (II figlio del Corsaro Rosso e Gli ultimi fillibustieri, 1941) e ancora, pur non accreditato, con Blasetti sui set di La corona di ferro (1941) e Nessuno torna indietro (1943).
Intanto, nel 1942, Germi si sposa con Anna Maria Bancio, che gli darà la figlia Maria Linda. Il passaggio alla regia, grazie anche all’appoggio di Blasetti (supervisore) e dell’amico Monicelli (aiuto regista) avviene nel 1945 con Il testimone. È l’inizio della prima fase della sua attività di autore cinematografico, che si muove su un crinale nel quale convergono l’esempio neo realista e il dichiarato amore per il cinema di “genere”. Seguono infatti Gioventù perduta (1947, “noir” d’ambientazione romana sulla criminalità giovanile nel dopoguerra), In nome della legge (1949, “western” siciliano SlÙ tema del rapporto tra la mafia e la giustizia), Il cammino della speranza (1950, epico viaggio dalla Sicilia alla Francia di un gruppo di emigranti: con tante citazioni cinematografiche interne, da Ejzenstein a Renoir, passando per Ford) e La città si difende (1951, “poliziesco” hollywoodiano ambientato a Roma).
Dopo un film su commissione (La presidentessa, 1952), un “western” risorgimentale (II brigante di Tacca de! Lupo, 1952), il ritorno in Sicilia con il letterario Gelosia (1953) da Capuana e un episodio di Amori di mezzo secolo (1953, Guerra 1915-1918), la filmografia di Germi sterza verso il melodramma d’ambiente quotidiano con il “dittico familiare” che segna la sua definitiva rottura con la critica ufficiale: Il ferroviere (1956) e L’uomo di paglia (1958), entrambi con lui stesso protagonista, a testimonianza del suo amore per la recitazione già evidenziato in Montecassino (1946) di Gemmiti, in Fuga in Francia (1948) di Soldati e ribadito nel seguente Un maledetto imbroglio (1959, da Gadda).
Attore essenziale e molto amato dal pubblico, Germi dà ottima prova di sé anche in Jovanka e le altre (1959) di Ritt, Il rossetto (1960) e Il sicario (1961) di Damiani, La viaccia (1961) di Bolognini; ma la sua carriera d’interprete è bruscamente interrotta dalla paresi facciale che lo colpisce durante le riprese di Divorzio all’italiana (1961).
Questo film apre la stagione del “grottesco sociale”, cui appartengono anche Sedotta e abbandonata (1963), ancora la Sicilia, e Signore e signori (1965), ambientato a Treviso.
È per Germi il momento di massimo successo (Cannes, Oscar, Nastri d’argento, David di Donatello, ecc.), l’apice di una filmografia che da allora in poi sbanda da L’immorale (1966) ritratto di un poligamo per vocazione, alla favola agreste Serafino (1968); dall’apologo anti-contestazione di Le castagne sono buone (1970) alla paradossale misoginia di Alfredo Alfredo (1972). L’anno dopo, Germi viene stroncato dalla cirrosi epatica, mentre lavora al progetto di Amici miei, da lui lasciato in eredità a Mario Monicelli. Quel 5 dicembre 1974, al suo capezzale, c’erano la seconda moglie Olga D’Ajello, la figlia Maria Linda e i gemelli, Francesco e Francesca, avuti con la D’Ajello.
Molte indubbiamente a disposizione sono le scelte che si possono operare volendo raccontare in una mostra espositiva il percorso creativo di un personaggio. In questo caso, di un regista come Pietro Germi, il cui iter quasi trentennale vissuto a Cinecittà ha svoltato più volte tra i generi del racconto cinematografico.
Per ovviare all’influenza di possibili adesioni personali, di opzioni privilegianti, si è preferito pertanto un percorso per così dire “uniforme”, volutamente asettico, assegnando eguale spazio testimoniale alle diciannove tappe del percorso, quanti sono stati appunto i film diretti dal regista genovese tra il 1945 e il 1972.
Una rilettura affidata dunque a foto di scena e ai materiali pubblicitari, e di promozione, realizzati per ciascuna pellicola, cercando di sottolinearne l’eventuale diffusione internazionale. Con una presenza accomunante: il francobollo con cui le poste italiane hanno ricordato l’attività di Germi nel 1997.
Germi alla stanza del cinema
Il 13 ottobre la “Stanza” monografica avrà per tema il regista-attore in mostra.
Parteciperanno alcuni soci del Gruppo Ligure Cinematografici.
Germi in convegno
Il 10 dicembre, alle ore 10.30, nell’Aula Magna di Via Balbi 2, si terrà un convegno promosso dall’Università di Genova, l’Università di Torino e CSC-Cineteca Nazionale con la collaborazione del Gruppo Ligure Critici Cinematografici.
mostra organizzata dal Gruppo Ligure Critici Cinematografici (S.N.C.C.I.)
allestita da Claudio Bertieri
con materiali della Fondazione Mario Novaro Genova
Palazzo Ducale - Sala Liguria
piazza Matteotti 9 - Genova
1-29 ottobre 2014
Gli anniversari, si sa, sono sempre dei pretesti anche quando sono doppi come nel caso di Pietro Germi, di cui cadono ne! 2014 i 100 anni dalla nascita e i 40 dalla morte. Così è anche per la massima gloria cinematografica genovese, genovese solo per l’anagrafe, perché, come tutti quelli che intendono fare cinema, ha trascorso nella città d’origine poco più dell’adolescenza prima dell’approdo romano; il che non ha impedito a Germi di conservare comunque memorie genovesi, sparse qua e là nei film fatti.
L’omaggio che gli rende il Gruppo Ligure Critici Cinematografici, con la fattiva collaborazione di quanti figurano nel colophon qui accanto, non ha però una semplice motivazione occasionale. Al contrario è l’opportunità per una riflessione su un autore tanto celebrato – e contrastato – da vivo quanto sovente rimosso dopo la scomparsa. Una certa discontinuità della sua produzione, la singolarità individualista dei suoi soggetti e del suo tono, e ancora l’aver condiviso i tempi di neorealismo, nuovecorrenti e commedia italiana – sposando però modi e maniere del cinema di genere in un ‘epoca in cui cominciava affacciarsi il cinema d’autore – fanno tuttavia di Germi un punto ftrmo: il regista genovese rappresenta infatti una sorta di test per la riflessione libera da preconcetti su chi fa cinema senza facili riferimenti a quanto è esterno alle immagini sullo schermo.
Ricordare oggi Germi con una mostra ha quindi un valore che va al di là della sua persona, il valore dello sguardo verso il senso del passato, che è la vera password per accedere al senso (eventuale) del presente.
Nell’anno in cui il Gruppo Ligure Critici Cinematografici ha appena avviato la quindicesima stagione della “Stanza del Cinema” – l’appuntamento mensile che guarda e medita sul presente della settima arte – si realizza così la Pienezza della sua “missione” di affrontare il cinema in maniera criticamente articolata, cioè senza l’esclusiva attenz!one verso ifamosi, i diversi, gli schierati, gli strani di turno. E insomma come l’applicazione di quell’ ‘!Assalto al cinema” che quattro annifa comPilò !’inventario storico del gusto, della passione, della cultura cinematografiche, ripetutamente alimentate nella nostra città e nella nostra regione da generazioni.
E che speriamo lo saranno ancora in futuro.
Massimo Marchelli
Presidente Gruppo Ligure Critici Cinematografici (S.N.C.C.L)
si ringraziano l’Archivio Museo Nazionale del Cinema per le pagine di sceneggiature dei film
e Walter Di Giusto per la collaborazione all’allestimento della Mostra
IL CINEMA DI PIETRO GERMI
La passione di Pietro Germi per il cinema nasce nel centro storico di Genova – dove il 14 settembre 1914 egli viene alla luce in via Ponte Calvi, figlio di Giovanni, portiere d’albergo, e della sarta Armellina Castiglione – e si alimenta poi negli anni in cui frequenta l’Istituto Nautico dopo di essersi trasferito con la famiglia, allargata ore a tre sorelle, in via Santa Croce a Sarzano.
Più tardi dirà che tra i tanti film visti quelli che più lo avevano emozionato erano stati A me la libertà (1932) di René Clair e Il traditore (1936) di John Ford.
Intanto, Germi faceva le prime esperienze d’attore (nella filodrammatica del teatrino di Santa Maria di Castello), di scrittore (alcuni racconti editi su “Il Lavoro”) e di soggettista cinematografico (la rivista “Cinema” gli pubblica il soggetto Piano regolatore). Era il 1937, lo stesso anno in cui Germi, abbandonato l’impiego da spedizioniere, si trasferisce per breve tempo a Milano e presenta domanda d’ammissione al Centro Sperimentale di Cinematografia.
Convocato a Roma in autunno, s’iscrive dapprima ai corsi di recitazione e poi anche a quelli di regia, tenuti da Alessandro Blasetti. Il suo battesimo dietro la cinepresa avviene con il saggio ambientato in un manicomio e girando con il compagno di studi Dino De Laurenilis il mediometraggio Pantaloni corti.
L’esordio di Germi nel professionismo avviene nel 1939, quando Blasetti lo chiama come co-sceneggiatore e assistente alla regia di Retroscena. Conseguito il diploma al Centro Sperimentale, seguono le collaborazioni con Palermi (La peccatrice, 1940), Elter (II figlio del Corsaro Rosso e Gli ultimi fillibustieri, 1941) e ancora, pur non accreditato, con Blasetti sui set di La corona di ferro (1941) e Nessuno torna indietro (1943).
Intanto, nel 1942, Germi si sposa con Anna Maria Bancio, che gli darà la figlia Maria Linda. Il passaggio alla regia, grazie anche all’appoggio di Blasetti (supervisore) e dell’amico Monicelli (aiuto regista) avviene nel 1945 con Il testimone. È l’inizio della prima fase della sua attività di autore cinematografico, che si muove su un crinale nel quale convergono l’esempio neo realista e il dichiarato amore per il cinema di “genere”. Seguono infatti Gioventù perduta (1947, “noir” d’ambientazione romana sulla criminalità giovanile nel dopoguerra), In nome della legge (1949, “western” siciliano SlÙ tema del rapporto tra la mafia e la giustizia), Il cammino della speranza (1950, epico viaggio dalla Sicilia alla Francia di un gruppo di emigranti: con tante citazioni cinematografiche interne, da Ejzenstein a Renoir, passando per Ford) e La città si difende (1951, “poliziesco” hollywoodiano ambientato a Roma).
Dopo un film su commissione (La presidentessa, 1952), un “western” risorgimentale (II brigante di Tacca de! Lupo, 1952), il ritorno in Sicilia con il letterario Gelosia (1953) da Capuana e un episodio di Amori di mezzo secolo (1953, Guerra 1915-1918), la filmografia di Germi sterza verso il melodramma d’ambiente quotidiano con il “dittico familiare” che segna la sua definitiva rottura con la critica ufficiale: Il ferroviere (1956) e L’uomo di paglia (1958), entrambi con lui stesso protagonista, a testimonianza del suo amore per la recitazione già evidenziato in Montecassino (1946) di Gemmiti, in Fuga in Francia (1948) di Soldati e ribadito nel seguente Un maledetto imbroglio (1959, da Gadda).
Attore essenziale e molto amato dal pubblico, Germi dà ottima prova di sé anche in Jovanka e le altre (1959) di Ritt, Il rossetto (1960) e Il sicario (1961) di Damiani, La viaccia (1961) di Bolognini; ma la sua carriera d’interprete è bruscamente interrotta dalla paresi facciale che lo colpisce durante le riprese di Divorzio all’italiana (1961).
Questo film apre la stagione del “grottesco sociale”, cui appartengono anche Sedotta e abbandonata (1963), ancora la Sicilia, e Signore e signori (1965), ambientato a Treviso.
È per Germi il momento di massimo successo (Cannes, Oscar, Nastri d’argento, David di Donatello, ecc.), l’apice di una filmografia che da allora in poi sbanda da L’immorale (1966) ritratto di un poligamo per vocazione, alla favola agreste Serafino (1968); dall’apologo anti-contestazione di Le castagne sono buone (1970) alla paradossale misoginia di Alfredo Alfredo (1972). L’anno dopo, Germi viene stroncato dalla cirrosi epatica, mentre lavora al progetto di Amici miei, da lui lasciato in eredità a Mario Monicelli. Quel 5 dicembre 1974, al suo capezzale, c’erano la seconda moglie Olga D’Ajello, la figlia Maria Linda e i gemelli, Francesco e Francesca, avuti con la D’Ajello.
Molte indubbiamente a disposizione sono le scelte che si possono operare volendo raccontare in una mostra espositiva il percorso creativo di un personaggio. In questo caso, di un regista come Pietro Germi, il cui iter quasi trentennale vissuto a Cinecittà ha svoltato più volte tra i generi del racconto cinematografico.
Per ovviare all’influenza di possibili adesioni personali, di opzioni privilegianti, si è preferito pertanto un percorso per così dire “uniforme”, volutamente asettico, assegnando eguale spazio testimoniale alle diciannove tappe del percorso, quanti sono stati appunto i film diretti dal regista genovese tra il 1945 e il 1972.
Una rilettura affidata dunque a foto di scena e ai materiali pubblicitari, e di promozione, realizzati per ciascuna pellicola, cercando di sottolinearne l’eventuale diffusione internazionale. Con una presenza accomunante: il francobollo con cui le poste italiane hanno ricordato l’attività di Germi nel 1997.
Germi alla stanza del cinema
Il 13 ottobre la “Stanza” monografica avrà per tema il regista-attore in mostra.
Parteciperanno alcuni soci del Gruppo Ligure Cinematografici.
Germi in convegno
Il 10 dicembre, alle ore 10.30, nell’Aula Magna di Via Balbi 2, si terrà un convegno promosso dall’Università di Genova, l’Università di Torino e CSC-Cineteca Nazionale con la collaborazione del Gruppo Ligure Critici Cinematografici.