CIVILTÀ DEL MIRACOLO
a cura di Gian Italo Bischi, Liliana Curcio, Pietro Nastasi
Egea, 28/5/2014
Fuori collana
Nel 1953 usciva il primo numero di Civiltà delle Macchine, la rivista aziendale della Finmeccanica fondata dall'ingegnere-poeta lucano Leonardo Sinisgalli (1908-1981) e da lui diretta fino ai primi due numeri del 1958. Sono gli anni di incubazione del "miracolo economico": sfogliando le pagine di Civiltà delle Macchine si respira l'aria di quegli anni; si percepisce l'intreccio di personaggi, saperi e tecniche da cui si è generato e sedimentato l'humus che ha favorito il passaggio dell'Italia da nazione a vocazione prevalentemente agricola e artigianale a Paese inserito a pieno titolo nel gruppo di quelli più industrializzati del mondo, in grado di esibire livelli di eccellenza in diversi settori economici e culturali. Il ritratto dell'Italia che emerge dalla lettura della rivista ci mostra una nazione con una elevatissima capacità di innovazione, che esplora sue vie originali in molti settori industriali, anche grazie alle ricerche nelle scienze di base.
Ci sono molte analogie – certo, anche molte differenze – tra l'Italia degli anni '50 e quella dei nostri giorni. Il messaggio che proveniva dalle pagine di Civiltà delle Macchine indicava scienziati, letterati, poeti, economisti e filosofi come i maestri e le guide dello sviluppo, con la scuola pubblica e l'Università considerate come istituzioni strategiche per formare i nuovi quadri tecnici e dirigenti e sulle quali investire per garantire lo sviluppo industriale. Nel progetto erano coinvolti anche poeti e pittori (e persino alunni delle scuole) inviati nelle fabbriche per descrivere le macchine, gli operai e i loro prodotti e suggerire il primato della qualità sulla quantità, l'abbinamento tra utile e bello, nella convinzione che pure il marketing e la produzione industriale devono avere un'anima.
"Civiltà delle Macchine è stata una delle prime testate in Italia che si sia occupata attivamente di problemi scientifici e siccome Sinisgalli era praticamente un letterato, oltre ad avere una notevole conoscenza matematica, è risultato logico che la rivista avesse questa caratteristica diciamo bifronte. Credo che sia molto importante riproporre oggi gli articoli di Civiltà delle Macchine – ancora di grande attualità – nella speranza che esortino ad una profonda lettura e una attenta riflessione e soprattutto che vengano a contatto con il mondo del lavoro e della scuola".
(Gillo Dorfles)
"Sinisgalli, che veniva dall'esperienza della rivista Pirelli, era deciso a coinvolgere gli esponenti più autorevoli della cultura italiana sui temi del progresso scientifico, della tecnologia, della industria, della società. L'ingegnere-poeta aveva le carte in regola per far questo: appassionato di Matematica, amico di scienziati illustri, era l'autore di un'indimenticabile manifesto in cui una macchina da scrivere Olivetti era posta accanto a un calamaio su cui spiccava una rosa. Aveva le carte in regola perché, oltre ad essere tutto questo, era figlio di contadini lucani, un uomo del Sud che si era formato a Milano nel clima della avanguardia architettonica, senza dimenticare le sue radici in una civiltà diversa carica di saggezza che aveva una grande inquietante eredità da offrire alla cultura moderna".
(Paolo Portoghesi)
a cura di Gian Italo Bischi, Liliana Curcio, Pietro Nastasi
Egea, 28/5/2014
Fuori collana
Nel 1953 usciva il primo numero di Civiltà delle Macchine, la rivista aziendale della Finmeccanica fondata dall'ingegnere-poeta lucano Leonardo Sinisgalli (1908-1981) e da lui diretta fino ai primi due numeri del 1958. Sono gli anni di incubazione del "miracolo economico": sfogliando le pagine di Civiltà delle Macchine si respira l'aria di quegli anni; si percepisce l'intreccio di personaggi, saperi e tecniche da cui si è generato e sedimentato l'humus che ha favorito il passaggio dell'Italia da nazione a vocazione prevalentemente agricola e artigianale a Paese inserito a pieno titolo nel gruppo di quelli più industrializzati del mondo, in grado di esibire livelli di eccellenza in diversi settori economici e culturali. Il ritratto dell'Italia che emerge dalla lettura della rivista ci mostra una nazione con una elevatissima capacità di innovazione, che esplora sue vie originali in molti settori industriali, anche grazie alle ricerche nelle scienze di base.
Ci sono molte analogie – certo, anche molte differenze – tra l'Italia degli anni '50 e quella dei nostri giorni. Il messaggio che proveniva dalle pagine di Civiltà delle Macchine indicava scienziati, letterati, poeti, economisti e filosofi come i maestri e le guide dello sviluppo, con la scuola pubblica e l'Università considerate come istituzioni strategiche per formare i nuovi quadri tecnici e dirigenti e sulle quali investire per garantire lo sviluppo industriale. Nel progetto erano coinvolti anche poeti e pittori (e persino alunni delle scuole) inviati nelle fabbriche per descrivere le macchine, gli operai e i loro prodotti e suggerire il primato della qualità sulla quantità, l'abbinamento tra utile e bello, nella convinzione che pure il marketing e la produzione industriale devono avere un'anima.
"Civiltà delle Macchine è stata una delle prime testate in Italia che si sia occupata attivamente di problemi scientifici e siccome Sinisgalli era praticamente un letterato, oltre ad avere una notevole conoscenza matematica, è risultato logico che la rivista avesse questa caratteristica diciamo bifronte. Credo che sia molto importante riproporre oggi gli articoli di Civiltà delle Macchine – ancora di grande attualità – nella speranza che esortino ad una profonda lettura e una attenta riflessione e soprattutto che vengano a contatto con il mondo del lavoro e della scuola".
(Gillo Dorfles)
"Sinisgalli, che veniva dall'esperienza della rivista Pirelli, era deciso a coinvolgere gli esponenti più autorevoli della cultura italiana sui temi del progresso scientifico, della tecnologia, della industria, della società. L'ingegnere-poeta aveva le carte in regola per far questo: appassionato di Matematica, amico di scienziati illustri, era l'autore di un'indimenticabile manifesto in cui una macchina da scrivere Olivetti era posta accanto a un calamaio su cui spiccava una rosa. Aveva le carte in regola perché, oltre ad essere tutto questo, era figlio di contadini lucani, un uomo del Sud che si era formato a Milano nel clima della avanguardia architettonica, senza dimenticare le sue radici in una civiltà diversa carica di saggezza che aveva una grande inquietante eredità da offrire alla cultura moderna".
(Paolo Portoghesi)