BEPPE DELLEPIANE
CARTA SANTA
De Ferrari (marzo 2015)
Per Beppe Dellepiane le parole sono carne, gli oggetti si animano e il corpo è il supporto inevitabile di ogni possibile scrittura. Per questo anche la carta è viva , non più diaframma che ci separa dal mondo, ma essa stessa realtà concreta, biologicamente palpitante, mortale.
La “poesia” può, quindi, di volta in volta, diventare veleno quanto farmaco, unguento cicatrizzante adatto a lenire, almeno per un momento, una ferita che rimane comunque colorata con pigmenti indelebili.
Uso il corpo come / fosse carta / e la carta / come fosse corpo. Disegno e parola, incisione e concetto non sono giustapposti ma si confermano vicendevolmente di esistere, un’esistenza altrimenti così flebile da sfiorare l’invisibile, il mistico umanizzato dalla nevrosi. Sulle linee dei mistici / sulle righe dei laici.
La carta è quindi santa, una garza da posizionare in uno spazio separato, per l’appunto, sacro, il luogo del dolore. Intima essenza di ogni fenomeno religioso, il sacro si presenta come razionalmente inesplicabile, concettualmente inesprimibile, mysterium tremendum e fascinans - come ha spiegato Rudolf Otto – l’assolutamente altro che terrorizza e al tempo stesso affascina, “dinanzi a cui ogni creatura è schiacciata nella propria nullità, nel suo essere fango e cenere e nient’altro”.
Nel senso che tu sensi / mio signore, scrive Dellepiane e la sua, come ogni preghiera. è una speranza, un’estrema speranza che l’atto comunicativo, l’ostinato gesto vitale - Vivo scritto / come/ l’ombra zoppa/ di chi cade - impedisca all’inchiostro di corrodere le parole e al tempo di corrodere i corpi, nella consapevolezza che la morte / prega dopo.
GIULIANO GALLETTA
CARTA SANTA
De Ferrari (marzo 2015)
Per Beppe Dellepiane le parole sono carne, gli oggetti si animano e il corpo è il supporto inevitabile di ogni possibile scrittura. Per questo anche la carta è viva , non più diaframma che ci separa dal mondo, ma essa stessa realtà concreta, biologicamente palpitante, mortale.
La “poesia” può, quindi, di volta in volta, diventare veleno quanto farmaco, unguento cicatrizzante adatto a lenire, almeno per un momento, una ferita che rimane comunque colorata con pigmenti indelebili.
Uso il corpo come / fosse carta / e la carta / come fosse corpo. Disegno e parola, incisione e concetto non sono giustapposti ma si confermano vicendevolmente di esistere, un’esistenza altrimenti così flebile da sfiorare l’invisibile, il mistico umanizzato dalla nevrosi. Sulle linee dei mistici / sulle righe dei laici.
La carta è quindi santa, una garza da posizionare in uno spazio separato, per l’appunto, sacro, il luogo del dolore. Intima essenza di ogni fenomeno religioso, il sacro si presenta come razionalmente inesplicabile, concettualmente inesprimibile, mysterium tremendum e fascinans - come ha spiegato Rudolf Otto – l’assolutamente altro che terrorizza e al tempo stesso affascina, “dinanzi a cui ogni creatura è schiacciata nella propria nullità, nel suo essere fango e cenere e nient’altro”.
Nel senso che tu sensi / mio signore, scrive Dellepiane e la sua, come ogni preghiera. è una speranza, un’estrema speranza che l’atto comunicativo, l’ostinato gesto vitale - Vivo scritto / come/ l’ombra zoppa/ di chi cade - impedisca all’inchiostro di corrodere le parole e al tempo di corrodere i corpi, nella consapevolezza che la morte / prega dopo.
GIULIANO GALLETTA