L'ANTIESTETICA
Saggi sulla cultura postmoderna
a cura di Hal Foster
Postmediabooks (19 novembre 2014)
Saggi sulla cultura postmoderna
a cura di Hal Foster
Postmediabooks (19 novembre 2014)
Le avventure dell'estetica costituiscono una delle grandi narrazioni della modernità: dall'epoca della sua autonomia attraverso quella dell'arte per l'arte, allo status di categoria necessariamente negativa, una critica del mondo così com'è. È proprio quest'ultima fase (immaginata brillantemente dalle ricerche di Theodor Adorno) che è difficile abbandonare: la nozione di estetica come attività sovversiva, un interstizio critico in un mondo altrimenti strumentale.
– Hal Foster
Grazie alle sue pubblicazioni, negli ultimi trent'anni, Hal Foster ha realmente allargato i confini della teoria dell'arte facendola somigliare sempre di più alla critica culturale, stabilendo così un punto di osservazione dal quale programmi e strategie apparentemente disparate di artisti, committenti e critici trovano invece un'eloquente coerenza. Di questa sua attività critica – per non citare la sua attività come editore quando fonda la Bay Press con Thatcher Bailey e Charlie Wright con la quale pubblica The Anti-Aesthetic nel 1983 – L'antiestetica è la base fondante, motivo per cui questo libro non solo diventa la "bibbia del postmoderno" sul quale si formano centinaia di ricercatori negli atenei americani, ma è un tassello importante per capire gli sviluppi successivi del suo pensiero e dell'attivita critica del gruppo di October. Con L'antiestetica Hal Foster chiama a raccolta critici autorevoli – Jürgen Habermas, Jean Baudrillard, Kenneth Frampton, Rosalind Krauss, Douglas Crimp, Craig Owens, Gregory L. Ulmer, Fredric Jameson, e Edward W. Said – con lo scopo di investigare sull'intera gamma della produzione culturale postmoderna. Quando è uscito, agli inizi degli anni Ottanta, L'antiestetica ha rappresentato un libro fondamentale che ha fatto il punto sull'influenza della cultura postmoderna, sulla guerra che in qualunque campo – architettura, arte contemporanea, musica, cinema e fotografia – si è combattuta fra modernisti e postmodernisti. Tra i suoi numerosi meriti c'è sicuramente quello di indirizzare schiere di ricercatori verso una cultura postmoderna che interrompesse inutili diatribe a favore di una ricerca che rifiutasse le gerarchie e accettasse la diversità, un postmoderno della resistenza rispetto alle tendenze già omogeneizzanti del capitalismo globale.
– Hal Foster
Grazie alle sue pubblicazioni, negli ultimi trent'anni, Hal Foster ha realmente allargato i confini della teoria dell'arte facendola somigliare sempre di più alla critica culturale, stabilendo così un punto di osservazione dal quale programmi e strategie apparentemente disparate di artisti, committenti e critici trovano invece un'eloquente coerenza. Di questa sua attività critica – per non citare la sua attività come editore quando fonda la Bay Press con Thatcher Bailey e Charlie Wright con la quale pubblica The Anti-Aesthetic nel 1983 – L'antiestetica è la base fondante, motivo per cui questo libro non solo diventa la "bibbia del postmoderno" sul quale si formano centinaia di ricercatori negli atenei americani, ma è un tassello importante per capire gli sviluppi successivi del suo pensiero e dell'attivita critica del gruppo di October. Con L'antiestetica Hal Foster chiama a raccolta critici autorevoli – Jürgen Habermas, Jean Baudrillard, Kenneth Frampton, Rosalind Krauss, Douglas Crimp, Craig Owens, Gregory L. Ulmer, Fredric Jameson, e Edward W. Said – con lo scopo di investigare sull'intera gamma della produzione culturale postmoderna. Quando è uscito, agli inizi degli anni Ottanta, L'antiestetica ha rappresentato un libro fondamentale che ha fatto il punto sull'influenza della cultura postmoderna, sulla guerra che in qualunque campo – architettura, arte contemporanea, musica, cinema e fotografia – si è combattuta fra modernisti e postmodernisti. Tra i suoi numerosi meriti c'è sicuramente quello di indirizzare schiere di ricercatori verso una cultura postmoderna che interrompesse inutili diatribe a favore di una ricerca che rifiutasse le gerarchie e accettasse la diversità, un postmoderno della resistenza rispetto alle tendenze già omogeneizzanti del capitalismo globale.