SUZANNE LACY
GENDER AGENDAS
a cura di Fabio Cavallucci in collaborazione con Megan Steinman
Museo Pecci Milano
Ripa di Porta Ticinese 113 - Milano
dal 14/11/2014 al 6/1/2015
Sarà Suzanne Lacy, dal 14 novembre 2014 al 6 gennaio 2015, ad aprire la serie con una mostra retrospettiva tematica, intitolata Gender Agendas.
La mostra offre per la prima volta in Europa un’ampia presentazione delle opere dell'artista di Los Angeles, conosciuta come uno degli autori che fin dai primi anni Settanta, nella West Coast, hanno compiuto un lavoro cruciale mescolando l’arte emergente con l’impegno sociale. La sua attività spazia dalle esplorazioni del corpo alle riflessioni intime, fino alla strutturazione di grandi manifestazioni pubbliche che coinvolgono decine di artisti e migliaia di spettatori. è quest'ultima la parte che costituisce il filo conduttore principale della mostra, seguendo uno dei leitmotiv della sua ricerca: l'indagine sulla condizione femminile, talvolta svolta in modo più intimo, altre volte attraverso una forte carica politica e civile, nella considerazione del potere dell’arte come strumento di lotta e di promozione di idee libertarie e progressiste.
Nella mostra, curata dal nuovo direttore Fabio Cavallucci in collaborazione con Megan Steinman, vengono presentati alcuni dei lavori in cui l’artista ha toccato i temi cruciali per la condizione femminile: lo sfruttamento sessuale e la violenza, l’invecchiamento e la considerazione che i media hanno della donna anziana, le questioni sociali che vanno dal razzismo alle condizioni di lavoro e di classe. Temi che se negli anni Settanta e Ottanta erano provocatori e avanguardisti, sono ancora oggi all'ordine del giorno. L'arte diviene così uno strumento utile, da una parte per scavare più profondamente i significati e le aspirazioni personali di tutte le centinaia di anonime performer che altrimenti non avrebbero accesso ai sistemi di comunicazione, dall'altra per portare ad evidenza pubblica, attraverso l'amplificazione dei media, le tematiche dei movimenti di liberazione femminile.
La mostra raccoglie i riadattamenti di alcuni tra i lavori più importanti di Suzanne Lacy. Tra questi Prostitution Notes, (1974) , in cui svolgeva un'indagine sulle prostitute e sul loro sfruttamento in alcune aree di Los Angeles, con interviste nei bar e nei locali da loro frequentati. In Three Weeks in May (1977) , l'artista, in accordo con la polizia di Los Angeles da cui riceveva informazioni riservate, indicava con la scritta rossa RAPE su una mappa della città i luoghi in cui avvenivano violenze sessuali contro le donne: la carta si arrossava giorno per giorno mostrando visivamente la drammaticità del problema. In Mourning and In Rage (1977) è un lavoro in cui Suzanne Lacy, insieme ad altre attiviste, nel momento in cui a Los Angeles c’era stato il brutale strangolamento di dieci donne per opera di un serial killer, si presentò davanti al municipio della città con dieci figure femminili, coperte dalla testa ai piedi con tuniche nere, ciascuna a denunciare altri tipi di violenza sulle donne, spostando la copertura dei mass media da un focus su specifiche storie delle vittime, alla cultura generale della violenza. The Crystal Quilt (1985-1987) è forse l’opera più celebre, quella con cui la Tate Modern ha deciso di aprire il nuovo spazio The Tanks dedicato all'arte performativa nel 2012.
Quest’ultima performance, rappresentata ora da un time-lapse di pochi minuti, si svolse nella hall di uno shopping mall a Minneapolis, coinvolgendo 460 donne di età superiore ai sessant'anni, sedute ai tavoli disposti secondo il disegno di una grande tovaglia realizzata da Miriam Shapiro che discutevano tra loro mescolando le proprie esperienze e i propri ricordi con analisi sociologiche sul mancato utilizzo delle potenzialità della vecchiaia. Ogni dieci minuti le donne erano invitate a cambiare la posizione delle loro mani sulla tavola, modificando così il disegno della grande tovaglia.
Alla fine della performance anche l'audience entra sullo stage, scompone le forme geometriche dei tavoli, trasformando l'austero ordine in una forma caleidoscopica di colori. Non mancano poi lavori più recenti, come Full Circle (1994) nel quale l'artista espone monumenti in pietra dedicati a donne importanti di Chicago e Storying Rape (2012) , una discussione svolta nella City Hall della città di Los Angeles tra importanti personalità dei media, dell’associazionismo e della politica, per cercare di individuare una diversa narrativa per descrivere la violenza sessuale, che ponga la società di fronte al problema con uno sguardo meno blando. Si aggiunge infine una sezione di archivio, video e cartaceo, in cui si mostra la multiforme personalità dell’artista, con molti lavori, compresi quelli iniziali legati alle tematiche del corpo e della carne.
Suzanne Lacy si manifesta così come una pioniera che ha anticipato tanti aspetti divenuti tipici dell’arte degli anni successivi, compreso l’arte partecipativa degli anni Novanta, quella congerie di tendenze in cui il pubblico entra a far parte dell’opera, poi definite da Bourriaud "estetica relazionale".
Con l’occasione sarà realizzato un apposito catalogo, primo di una serie pubblicata da Mousse, che riassume l'intero percorso di Suzanne Lacy, con testi di Sally Tallant, direttrice della Biennale di Liverpool, un’intervista a Suzanne Lacy realizzata da Fabio Cavallucci, e la riproduzione di gran parte dei lavori prodotti dall’artista dagli anni Settanta ad oggi.
Immagine: Three Weeks in May (1977) performance and photo: Suzanne Lacy.
a cura di Fabio Cavallucci in collaborazione con Megan Steinman
Museo Pecci Milano
Ripa di Porta Ticinese 113 - Milano
dal 14/11/2014 al 6/1/2015
Sarà Suzanne Lacy, dal 14 novembre 2014 al 6 gennaio 2015, ad aprire la serie con una mostra retrospettiva tematica, intitolata Gender Agendas.
La mostra offre per la prima volta in Europa un’ampia presentazione delle opere dell'artista di Los Angeles, conosciuta come uno degli autori che fin dai primi anni Settanta, nella West Coast, hanno compiuto un lavoro cruciale mescolando l’arte emergente con l’impegno sociale. La sua attività spazia dalle esplorazioni del corpo alle riflessioni intime, fino alla strutturazione di grandi manifestazioni pubbliche che coinvolgono decine di artisti e migliaia di spettatori. è quest'ultima la parte che costituisce il filo conduttore principale della mostra, seguendo uno dei leitmotiv della sua ricerca: l'indagine sulla condizione femminile, talvolta svolta in modo più intimo, altre volte attraverso una forte carica politica e civile, nella considerazione del potere dell’arte come strumento di lotta e di promozione di idee libertarie e progressiste.
Nella mostra, curata dal nuovo direttore Fabio Cavallucci in collaborazione con Megan Steinman, vengono presentati alcuni dei lavori in cui l’artista ha toccato i temi cruciali per la condizione femminile: lo sfruttamento sessuale e la violenza, l’invecchiamento e la considerazione che i media hanno della donna anziana, le questioni sociali che vanno dal razzismo alle condizioni di lavoro e di classe. Temi che se negli anni Settanta e Ottanta erano provocatori e avanguardisti, sono ancora oggi all'ordine del giorno. L'arte diviene così uno strumento utile, da una parte per scavare più profondamente i significati e le aspirazioni personali di tutte le centinaia di anonime performer che altrimenti non avrebbero accesso ai sistemi di comunicazione, dall'altra per portare ad evidenza pubblica, attraverso l'amplificazione dei media, le tematiche dei movimenti di liberazione femminile.
La mostra raccoglie i riadattamenti di alcuni tra i lavori più importanti di Suzanne Lacy. Tra questi Prostitution Notes, (1974) , in cui svolgeva un'indagine sulle prostitute e sul loro sfruttamento in alcune aree di Los Angeles, con interviste nei bar e nei locali da loro frequentati. In Three Weeks in May (1977) , l'artista, in accordo con la polizia di Los Angeles da cui riceveva informazioni riservate, indicava con la scritta rossa RAPE su una mappa della città i luoghi in cui avvenivano violenze sessuali contro le donne: la carta si arrossava giorno per giorno mostrando visivamente la drammaticità del problema. In Mourning and In Rage (1977) è un lavoro in cui Suzanne Lacy, insieme ad altre attiviste, nel momento in cui a Los Angeles c’era stato il brutale strangolamento di dieci donne per opera di un serial killer, si presentò davanti al municipio della città con dieci figure femminili, coperte dalla testa ai piedi con tuniche nere, ciascuna a denunciare altri tipi di violenza sulle donne, spostando la copertura dei mass media da un focus su specifiche storie delle vittime, alla cultura generale della violenza. The Crystal Quilt (1985-1987) è forse l’opera più celebre, quella con cui la Tate Modern ha deciso di aprire il nuovo spazio The Tanks dedicato all'arte performativa nel 2012.
Quest’ultima performance, rappresentata ora da un time-lapse di pochi minuti, si svolse nella hall di uno shopping mall a Minneapolis, coinvolgendo 460 donne di età superiore ai sessant'anni, sedute ai tavoli disposti secondo il disegno di una grande tovaglia realizzata da Miriam Shapiro che discutevano tra loro mescolando le proprie esperienze e i propri ricordi con analisi sociologiche sul mancato utilizzo delle potenzialità della vecchiaia. Ogni dieci minuti le donne erano invitate a cambiare la posizione delle loro mani sulla tavola, modificando così il disegno della grande tovaglia.
Alla fine della performance anche l'audience entra sullo stage, scompone le forme geometriche dei tavoli, trasformando l'austero ordine in una forma caleidoscopica di colori. Non mancano poi lavori più recenti, come Full Circle (1994) nel quale l'artista espone monumenti in pietra dedicati a donne importanti di Chicago e Storying Rape (2012) , una discussione svolta nella City Hall della città di Los Angeles tra importanti personalità dei media, dell’associazionismo e della politica, per cercare di individuare una diversa narrativa per descrivere la violenza sessuale, che ponga la società di fronte al problema con uno sguardo meno blando. Si aggiunge infine una sezione di archivio, video e cartaceo, in cui si mostra la multiforme personalità dell’artista, con molti lavori, compresi quelli iniziali legati alle tematiche del corpo e della carne.
Suzanne Lacy si manifesta così come una pioniera che ha anticipato tanti aspetti divenuti tipici dell’arte degli anni successivi, compreso l’arte partecipativa degli anni Novanta, quella congerie di tendenze in cui il pubblico entra a far parte dell’opera, poi definite da Bourriaud "estetica relazionale".
Con l’occasione sarà realizzato un apposito catalogo, primo di una serie pubblicata da Mousse, che riassume l'intero percorso di Suzanne Lacy, con testi di Sally Tallant, direttrice della Biennale di Liverpool, un’intervista a Suzanne Lacy realizzata da Fabio Cavallucci, e la riproduzione di gran parte dei lavori prodotti dall’artista dagli anni Settanta ad oggi.
Immagine: Three Weeks in May (1977) performance and photo: Suzanne Lacy.