ITALO DI CRISTINA
OLTRE LO STILE
Former Cultura
via di Sottoripa 1A/89 - Caricamento - Genova
dal 19 giugno al 24 luglio 2015
«La creatività non è in nessun modo un esercizio di stile o di erudizione, si tratta di mettere in campo una scommessa che non vuole astrarre dalla vita, poiché si riconosce compromessa con essa». In questa veritiera premessa Gilles Deleuze pone sia lo stile che l'erudizione come valori distanti dalla creatività, mentre si ritiene siano fondamentali al processo socio-culturale in cui viviamo. «In arte, per soddisfare le esigente di mercato, l'artista è spinto a crearsi uno stile, che deve essere compatibile al mercato, riconoscibile e sempre uguale. - dice Di Cristina - Tutto ciò, lo obbliga a riciclare il proprio lavoro, mortificando le proprie intuizioni e la propria creatività, in cambio di notorietà e denaro. Questo è voluto dal sistema capitalista che condiziona tutto, anche in arte». In queste parole si recepisce chiara la posizione negativa al concedersi ad un sistema che nel promuoversi lungo le direttrici della mercificazione richiede stile, erudizione e fedeltà al sistema stesso. Italo Di Cristina si è sempre tenuto a debita distanza da tutto questo. Il suo carattere poliedrico, così come la sua formazione politica, l'hanno spinto a esercitare la propria creatività in molteplici direzioni, spesso di denuncia e provocazione. «Mi è chiaro che ogni prodotto, così come il mio, finirà nel sistema mercato. Comunque, non nego a me stesso la possibilità di lavorare. - spiega Di Cristina - Mi sono liberato da ogni condizionamento ereditato da una società che mi ha fornito basi di giudizio errate, lavoro attorno allo stato di incoerenza come sinonimo del suo contrario, perché viviamo nella più disarmante e perversa contraddizione, tra verità di ragione e verità di fatto». Egli ha sempre inteso la pratica artistica relazionandola all'intuizione, alle idee, senza escludere la componente verbale fornita dal dialogo e dall'impegno sociale che ne consegue. Il confrontarsi, importante e basilare per una persona come lui che ha esercitato la propria conoscenza nella comprensione e nella diagnosi del contemporaneo, sull'estetica e sull'ideologia culturale, rapportando tutto al quotidiano, verificandone la praticabilità. Lo scambio d'opinioni, quel dis-cursus esercitato in senso critico verso il ritrovamento dell'uomo al di fuori della logica delle strutture sociali e dell'ideologia consumistica, al di fuori del mondo inteso in termini di modelli globalizzati, dove l'arte deve essere valutata sulla base della reale interferenza al sistema sociale. Jean-Francois Lyotard nel 1979 nello scrivere "La condizione postmoderna" teorizzava sulla perdita di senso che ha luogo nel nostro contemporaneo, dove il tramonto della cultura moderna è costituito dal venir meno delle grandi narrazioni (illuminismo, idealismo, marxismo) che hanno prodotto le mitologie del progresso rivoluzionario e la trasformazione della società. E, poiché, l'arte non prescinde dal contesto sociologico, è necessario porsi la domanda se la società contemporanea contempli nel suo contesto attività artistiche e se esercitarle abbia senso, visto che di fatto spesso nell'assegnare un valore monetario ad un'opera la si separa dai nessi storici, simbolici, vitali che la qualificano, per ridurla ad oggetto di scambio, annullandone ogni valore contenutistico per un più gratificante valore economico. Per questo motivo, in tanti anni, Di Cristina ha partecipato a dibattiti sul piano etico-politico, sugli stili di vita, sulle filosofie che circolano, socializzano e si riplasmano in pratiche estetiche e modi di pensare. Per questo egli costituisce uno degli esempi più chiari di quanto poco importi al giorno d'oggi la presenza o meno dell'elemento poetico, consapevole che esso non può prescindere dal politico (phoesis, dal greco, fare produrre) tenendo presente che le attuali condizioni di vita sono frutto delle grandi innovazioni, o meglio delle grandi demolizioni avvenute nel secolo scorso nei confronti del mito, delle ideologie, delle religioni, delle morali, seguendo la strada tracciata da Nietzsche, che ha smascherato l'origine impura dei valori più accreditati dell'etica, delle credenze e delle morali che sono la causa della repressione istintiva e vitale dell'uomo. Sono questi i presupposti sui quali Italo Di Cristina lavora, conscio di non poter cambiare la società, ma anche sicuro di non mentire a se stesso, mimetizzandosi come figurante nel teatrino dell'arte. E da qui che intraprende un percorso contrario allo stile e all'identificazione, in chiara contestazione al sistema che ha portato l'arte nella condizione di caduta verso cui è destinata.
- Silvio Seghi
OLTRE LO STILE
Former Cultura
via di Sottoripa 1A/89 - Caricamento - Genova
dal 19 giugno al 24 luglio 2015
«La creatività non è in nessun modo un esercizio di stile o di erudizione, si tratta di mettere in campo una scommessa che non vuole astrarre dalla vita, poiché si riconosce compromessa con essa». In questa veritiera premessa Gilles Deleuze pone sia lo stile che l'erudizione come valori distanti dalla creatività, mentre si ritiene siano fondamentali al processo socio-culturale in cui viviamo. «In arte, per soddisfare le esigente di mercato, l'artista è spinto a crearsi uno stile, che deve essere compatibile al mercato, riconoscibile e sempre uguale. - dice Di Cristina - Tutto ciò, lo obbliga a riciclare il proprio lavoro, mortificando le proprie intuizioni e la propria creatività, in cambio di notorietà e denaro. Questo è voluto dal sistema capitalista che condiziona tutto, anche in arte». In queste parole si recepisce chiara la posizione negativa al concedersi ad un sistema che nel promuoversi lungo le direttrici della mercificazione richiede stile, erudizione e fedeltà al sistema stesso. Italo Di Cristina si è sempre tenuto a debita distanza da tutto questo. Il suo carattere poliedrico, così come la sua formazione politica, l'hanno spinto a esercitare la propria creatività in molteplici direzioni, spesso di denuncia e provocazione. «Mi è chiaro che ogni prodotto, così come il mio, finirà nel sistema mercato. Comunque, non nego a me stesso la possibilità di lavorare. - spiega Di Cristina - Mi sono liberato da ogni condizionamento ereditato da una società che mi ha fornito basi di giudizio errate, lavoro attorno allo stato di incoerenza come sinonimo del suo contrario, perché viviamo nella più disarmante e perversa contraddizione, tra verità di ragione e verità di fatto». Egli ha sempre inteso la pratica artistica relazionandola all'intuizione, alle idee, senza escludere la componente verbale fornita dal dialogo e dall'impegno sociale che ne consegue. Il confrontarsi, importante e basilare per una persona come lui che ha esercitato la propria conoscenza nella comprensione e nella diagnosi del contemporaneo, sull'estetica e sull'ideologia culturale, rapportando tutto al quotidiano, verificandone la praticabilità. Lo scambio d'opinioni, quel dis-cursus esercitato in senso critico verso il ritrovamento dell'uomo al di fuori della logica delle strutture sociali e dell'ideologia consumistica, al di fuori del mondo inteso in termini di modelli globalizzati, dove l'arte deve essere valutata sulla base della reale interferenza al sistema sociale. Jean-Francois Lyotard nel 1979 nello scrivere "La condizione postmoderna" teorizzava sulla perdita di senso che ha luogo nel nostro contemporaneo, dove il tramonto della cultura moderna è costituito dal venir meno delle grandi narrazioni (illuminismo, idealismo, marxismo) che hanno prodotto le mitologie del progresso rivoluzionario e la trasformazione della società. E, poiché, l'arte non prescinde dal contesto sociologico, è necessario porsi la domanda se la società contemporanea contempli nel suo contesto attività artistiche e se esercitarle abbia senso, visto che di fatto spesso nell'assegnare un valore monetario ad un'opera la si separa dai nessi storici, simbolici, vitali che la qualificano, per ridurla ad oggetto di scambio, annullandone ogni valore contenutistico per un più gratificante valore economico. Per questo motivo, in tanti anni, Di Cristina ha partecipato a dibattiti sul piano etico-politico, sugli stili di vita, sulle filosofie che circolano, socializzano e si riplasmano in pratiche estetiche e modi di pensare. Per questo egli costituisce uno degli esempi più chiari di quanto poco importi al giorno d'oggi la presenza o meno dell'elemento poetico, consapevole che esso non può prescindere dal politico (phoesis, dal greco, fare produrre) tenendo presente che le attuali condizioni di vita sono frutto delle grandi innovazioni, o meglio delle grandi demolizioni avvenute nel secolo scorso nei confronti del mito, delle ideologie, delle religioni, delle morali, seguendo la strada tracciata da Nietzsche, che ha smascherato l'origine impura dei valori più accreditati dell'etica, delle credenze e delle morali che sono la causa della repressione istintiva e vitale dell'uomo. Sono questi i presupposti sui quali Italo Di Cristina lavora, conscio di non poter cambiare la società, ma anche sicuro di non mentire a se stesso, mimetizzandosi come figurante nel teatrino dell'arte. E da qui che intraprende un percorso contrario allo stile e all'identificazione, in chiara contestazione al sistema che ha portato l'arte nella condizione di caduta verso cui è destinata.
- Silvio Seghi