sabato 31 gennaio 2015

SALVATOR ROSA INCISORE - M.A.X. MUSEO, CHIASSO




SALVATOR ROSA INCISORE
TRASFORMAZIONI TRA ALCHIMIA, ARTE E POESIA
a cura di Werner Oechslin e Nicoletta Ossanna Cavadini
M.A.X. Museo
via Dante Alighieri 6 - Chiasso
1/2/2015 - 12/4/2015

In occasione dei 400 anni dalla nascita e nell’ambito del filone relativo alla “grafica storica”, il m.a.x. museo propone una mostra dedicata al grande maestro del Barocco: “Salvator Rosa (1615-1673) incisore. Trasformazioni tra alchimia, arte e poesia” che sarà inaugurata domenica 1° febbraio 2015 alle ore 15.30. Conosciuto soprattutto come pittore e poeta “filosofo”, a Chiasso viene presentato il Salvator Rosa incisore grazie ai disegni preparatori, alle preziose matrici in rame e alle stampe corrispondenti. Personalità complessa, collerica e al tempo stesso geniale, Salvator Rosa esprime nelle sue pitture stoiche, mitologiche e filosofiche una continua curiosità e spirito di meraviglia che tocca anche l’aspetto esoterico, alchemico e magico fino a quello musicale e poetico. In mostra è inoltre messa in luce la risonanza che ha avuto negli ambienti culturalmente più vivaci in ambito europeo e in particolare la sua fortuna critica con il mondo del Nord (Germania e Inghilterra) tramite la diffusione delle sue stampe ieratiche con iconografie inconsuete e delle sue celebri “Satire” in terzine, pubblicate postume.
Apprezzato pittore dai circoli culturali più aggiornati, la produzione artistica di Salvator Rosa, pur ottenendo un significativo successo in vita, venne minata da forti critiche in concomitanza con il periodo più oscuro della Controriforma. Ciò contribuì a creare il fascino del “personaggio” mitizzato nella storiografia ufficiale tra fine Settecento e inizio Ottocento, in un crescente clima romantico legato anche all’estetica del sublime. Sarà in particolare la cultura mitteleuropea a rivalutarlo con importanti biografie e riproduzioni a stampa delle sue opere fino ad arrivare a Goya. Una sezione dell’esposizione è quindi specificamente dedicata a tale aspetto. La mostra è promossa in collaborazione con la prestigiosa Stiftung Bibliothek Werner Oechslin di Einsiedeln (Canton Svitto) e curata da Werner Oechslin, direttore dell’omonima Biblioteca e professore emerito di Storia dell’arte e Storia dell’architettura al Politecnico Federale di Zurigo, e da Nicoletta Ossanna Cavadini, direttrice del m.a.x. museo e dello Spazio Officina di Chiasso. I materiali presentati provengono inoltre dalla Civica Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli” di Milano, dall’Istituto Centrale per la Grafica di Roma (Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, MIBACT), dalla Graphische Sammlung del Politecnico Federale di Zurigo, dal Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi di Firenze, dal Museo Civico Ala Ponzone di Cremona e da importanti collezioni private, sia dal Canton Ticino, sia dall’Italia.
Fra le opere principali esposte: “Il genio di Salvator Rosa”, “Alessandro Magno nello studio di Apelle”, “Cerere e Fitalo”, “Glauco e Scilla”, “Apollo e la Sibilla Cumana”, “La caduta dei giganti”, “Il martirio di Attilio Regolo”, “Il sogno di Enea”, “Diogene che getta via la scodella”, “Democrito in meditazione”, “L’Accademia di Platone”, “Combattimento di tritoni” e le enigmatiche figure di uomini e soldati da cui l’appellativo di “Salvator delle battaglie”. La mostra e il relativo catalogo hanno pertanto l’obiettivo di focalizzare la grandezza del maestro del Barocco, che sta nell’aver trasmesso ai suoi contemporanei, e a chi è venuto dopo di lui, uno spirito critico mosso da grande libertà di pensiero e di indipendenza rispetto a schemi prefissati: in questo si riscontra ancor oggi la sua forte modernità.

SALVATOR ROSA
Nel 1621, a sei anni, rimane orfano di padre. Le condizioni economiche della famiglia, già precarie, precipitano. La madre si risposa quasi subito; con il fratello maggiore viene mandato in collegio, poi sceglie di andare a bottega presso il nonno e lo zio materni, Vito e Domenico Antonio Greco. Nel 1632 la sorella Giovanna sposa Francesco Fracanzano, pittore importante all’epoca in ambito napoletano. Testimone di nozze, Salvator Rosa già allora si dichiara “pittore” e dopo aver lavorato con il cognato, si sposta da Jusepe de Ribera (artista spagnolo, protagonista indiscusso dell’ambiente pittorico locale) di cui risentirà forti influenze, e poi va a lavorare presso Aniello Falcone. Sul modello di quest’ultimo Salvator Rosa incomincia a dipingere le sue prime battaglie che gli varranno l’appellativo di “pittore battaglista”. Dipinge anche raffigurazioni con figure in piccolo formato di soldati, pescatori, pezzenti.
Dopo un breve soggiorno a Roma e il ritorno a Napoli, nel 1640 è a Firenze, chiamatovi in autunno dal Principe Giovan Carlo de’ Medici, fratello del Granduca regnante Ferdinando II, grande collezionista e mecenate. Fra l’entourage mediceo, conoscerà Carlo Gerini, maggiordomo di Giovan Carlo, e Giovan Battista Ricciardi, più tardi lettore di Filosofia morale nello Studio di Pisa. A Firenze conosce anche Lucrezia, una donna fiorentina sposata, modella, musa e sua compagna per tutta la vita. Salvator Rosa si identifica come pittore filosofo avvicinandosi allo stoicismo. La sua produzione inizialmente legata alle battaglie si sposta così verso la filosofia, con una visione etica della società del tempo e della missione dell’uomo di cultura. A Firenze inizia a incidere e fonda a casa sua l’“Accademia dei Percossi” di cui faranno parte i suoi amici.
Nel 1650 si trasferisce a Roma, attirato dalla città santa, in occasione del Giubileo indetto da Papa Innocenzo X. È ammesso all’Accademia di San Luca. Nel 1652 Monsignor Corsini, in procinto di recarsi in Francia come Ambasciatore della Santa Sede, commissiona al Rosa una grande “Battaglia” da portare in dono al Re. Tra la fine del 1659 e il 1660 viene incarcerato per breve tempo con il pretesto di concubinaggio. Lo salva probabilmente l’intervento del Principe Don Mario Chigi, fratello del Papa Alessandro VII e grande estimatore di Salvator Rosa. A partire dal mese di novembre del 1660 si dedica con assiduità all’incisione con tecnica all’acquaforte ritoccata a puntasecca. Nel 1661 rifiuta un invito a trasferirsi presso la corte imperiale a Innsbruck. Scrive di aver venduto al Re di Danimarca due dipinti (ora a Copenaghen): il “Democrito” e la “Leggenda della fondazione di Tebe da parte di Cadmo”. Ciò attesta il fatto che sia conosciuto in ambito europeo per il livello colto dell’aspetto simbolico che emerge nelle sue opere. Sempre nel 1661 inizia l’esecuzione dei suoi maggiori pezzi all’acquaforte. Fra il 1661 e il 1662 esegue con certezza le incisioni “I cinque fiumi”, “Democrito”, “Diogene getta via la scodella”, “Alessandro Magno nello studio di Apelle”, “Cerere e Fitalo”, “Apollo e la Sibilla Cumana”, “Glauco e Scilla”, “Il martirio di Policrate” e “Il martirio di Attilio Regolo”.
Sviluppa sempre più temi legati all’Arcadia e ai valori simbolici delle qualità dell’uomo. Se inizialmente incide ciò che aveva dipinto, inizia ora a incidere prima di dipingere, quasi come se la grafica diventasse un veicolo di promozione dell’arte. Nel 1670 disturbi di salute lo costringono sempre più a limitare la sua produzione artistica, nonostante le numerose richieste. Tre anni dopo si ammala gravemente. Prima di morire, benché riluttante, acconsente per l’insistenza di amici a sposare donna Lucrezia, rimasta vedova. Il 4 marzo del 1673 muore e viene sepolto in Santa Maria degli Angeli a Roma. Salvator Rosa non è un incisore tout court: alcune sue incisioni hanno segni più leggeri, altri più profondi. Un’altra caratteristica che contraddistingue Salvator Rosa è il fatto che firmi tutto: con monogramma SR in diverse combinazioni, con anagrammi o con la scritta “Salvator Rosa (pinxit)”. Le sue opere hanno sempre un significato simbolico profondo offerto quasi all’umanità tutta e sono ricche di emblemi, frasi e simboli legati a visioni teoriche della filosofia dello stoicismo e del cinismo con uno scopo morale, in particolare nella grafica, che rappresenta per lui un momento di approfondimento. La sua grafica mostra, dunque, sempre valenze introspettive e intellettuali, così come la sua produzione letteraria e poetica.

LA MOSTRA IN CIFRE
L’esposizione è molto articolata, tra grafica – stampe e matrici per capire il segno anche parecchio differenziato secondo i soggetti rappresentati –, disegni preparatori alle matrici (uguali ai rami e non speculari, in un approccio da pittore più che da incisore), dipinti e preziosi volumi. La mostra al m.a.x. museo presenta 66 stampe, 3 matrici, 50 libri, 2 dipinti, 1 tarsia, 3 disegni riprodotti complessivamente così indicati: 24 incisioni e 50 libri dalla Stiftung Bibliothek Werner Oechslin di Einsiedeln, fra cui 7 satire della prima edizione (le prime 3 costituiscono una riflessione sulle arti: “La musica” in cui è condannato il fasto eccessivo che circonda cantanti e musici; “La poesia” contro gli eccessi del secentismo; “La pittura” in cui Salvator Rosa ripudia la pittura di genere; seguono “La guerra”, “L’invidia”, “Babilonia” e “Tirreno”) e 1 manoscritto delle “Satire” copiato da Giuseppe Ratti nel 1757 “nella notte del 14 gennaio con un freddo indicibile”; 30 incisioni dalla Civica Raccolta delle Stampe “Achille Bertarelli” di Milano; 3 matrici e 7 stampe dall’Istituto Centrale per la Grafica di Roma; 3 immagini di disegni dal Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi di Firenze; 1 stampa di Goya dalla Graphische Sammlung del Politecnico Federale di Zurigo; 1 tavola in legno intarsiata dal Museo Civico Ala Ponzone di Cremona; 4 stampe e 2 dipinti a olio da Collezioni private, sia ticinesi, sia italiane, fra cui un dipinto a olio segnalato a Milano subito dopo la Seconda Guerra Mondiale e scoperto recentemente in una collezione privata in Canton Ticino.