BENJAMIN FONDANE
VEDUTE
Poesie 1917-1923
a cura di Giovanni Rotiroti e Irma Carannante
Joker (31 maggio 2014)
Collana: Parole del mondo
Benjamin Fundoianu-Fondane, poeta visionario, pensatore esistenziale, saggista, drammaturgo, cineasta, è uno dei più grandi scrittori europei della prima metà del XX secolo. Nato in Romania nel 1898, arrivò a Parigi nel 1923. Da allora in poi scrisse la sua opera solo in francese prima di essere orrendamente ucciso nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau nel 1944.
Fundoianu era figlio di Isaac Wechsler, commerciante e proprietario di una piccola fabbrica, il quale amministrava la tenuta agricola di Fundoaia, vicino a Herţa. Sulla base di questo toponimo, il giovane Benjamin Wechsler troverà il suo nom de plume: Fundoianu. Nella cifra leggibile e insieme illeggibile di questo nome-luogo geografico, il poeta sembra indicare la “via maestra” del sogno che, a partire dal magistero di Freud e di Urmuz, conduce dalla “terra del cuore” (Herţa risuona poeticamente nel tedesco Herz, ma anche herzen, herzlich) direttamente al “fondo misterioso” (Fundoaia proviene dal latino fundus) della mappa affettiva dei suoi più inconfessabili desideri.
La poesia di Fundoianu non si riduce a essere una semplice veduta, pastello, scorcio di un paesaggio descrittivo realisticamente riconoscibile o oggettivamente identificabile. I suoi poemi sono aperti allo scambio, disposti ad accogliere l’alterità più inquietante di cui sono profonda- mente intrisi. Anche quando accennano alla noia profonda e alla crudeltà della malinconia “moldava”, queste poesie non corrono il rischio di chiudersi in sé stesse, perché il loro “soggetto” è fatto di immagini e di parola, e soprattutto perché questo “soggetto” parla quando vede, e risponde anche quando resta in silenzio. Il “soggetto” di Privelişti testimonia l’essere vedente, in cui si vede e si ascolta anche quando la struttura del mondo appare sorda e muta di fronte al reale desertico del disastro.
Le Vedute di Fundoianu si lasciano guardare ed ascoltare a partire da certe tonalità emotive fondamentali, forse proprio a partire dal corpo pulsionale e simbolico della parola. In effetti, come ricordava alcuni anni fa Marin Mincu, Fundoianu si allontana programmaticamente dalla tradizione del genere paesaggistico romeno di impronta bucolica, com’era stato il caso di Alecsandri, Coşbuc e Pillat o dello stesso Eminescu, e «scrive una poesia originale, schizzando alcune “vedute” immaginarie, solo in apparenza bucoliche, calligrafando, in realtà, il diagramma interiore di certi campi di tensione, specifici della sensibilità espressionista». Per cui, mentre il modello tradizionalista si limitava a descrivere la natura del paesaggio, Fundoianu interpreta la stessa inventandola, creandola nuovamente, ossia ri-scrivendola a partire da certi frammenti di rappresentazione che possono essere ri-simbolizzati per meglio riannodare l’immaginario con il reale insostenibile.
In tal senso, si è trattato per Fundoianu di liberare l’orizzonte del paesaggio natio a partire dal quale ciò che è stato distrutto nel disastro della guerra possa infine apparire nella sua originale e primigenia grandezza. Imparare a leggere nel paesaggio i segni lasciati dalla noia profonda, dalla tristezza moldava, e anche dall’eros derivato dalla frequentazione assidua del Cantico dei Cantici, significa per il poeta liberare l’originalità di un domandare e di un interrogare ciò che è degno di essere posto in questione. La lezione dell’Ecclesiaste e di Giobbe si trova sempre come sfumata sullo sfondo di questi componimenti.
VEDUTE
Poesie 1917-1923
a cura di Giovanni Rotiroti e Irma Carannante
Joker (31 maggio 2014)
Collana: Parole del mondo
Benjamin Fundoianu-Fondane, poeta visionario, pensatore esistenziale, saggista, drammaturgo, cineasta, è uno dei più grandi scrittori europei della prima metà del XX secolo. Nato in Romania nel 1898, arrivò a Parigi nel 1923. Da allora in poi scrisse la sua opera solo in francese prima di essere orrendamente ucciso nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau nel 1944.
Fundoianu era figlio di Isaac Wechsler, commerciante e proprietario di una piccola fabbrica, il quale amministrava la tenuta agricola di Fundoaia, vicino a Herţa. Sulla base di questo toponimo, il giovane Benjamin Wechsler troverà il suo nom de plume: Fundoianu. Nella cifra leggibile e insieme illeggibile di questo nome-luogo geografico, il poeta sembra indicare la “via maestra” del sogno che, a partire dal magistero di Freud e di Urmuz, conduce dalla “terra del cuore” (Herţa risuona poeticamente nel tedesco Herz, ma anche herzen, herzlich) direttamente al “fondo misterioso” (Fundoaia proviene dal latino fundus) della mappa affettiva dei suoi più inconfessabili desideri.
La poesia di Fundoianu non si riduce a essere una semplice veduta, pastello, scorcio di un paesaggio descrittivo realisticamente riconoscibile o oggettivamente identificabile. I suoi poemi sono aperti allo scambio, disposti ad accogliere l’alterità più inquietante di cui sono profonda- mente intrisi. Anche quando accennano alla noia profonda e alla crudeltà della malinconia “moldava”, queste poesie non corrono il rischio di chiudersi in sé stesse, perché il loro “soggetto” è fatto di immagini e di parola, e soprattutto perché questo “soggetto” parla quando vede, e risponde anche quando resta in silenzio. Il “soggetto” di Privelişti testimonia l’essere vedente, in cui si vede e si ascolta anche quando la struttura del mondo appare sorda e muta di fronte al reale desertico del disastro.
Le Vedute di Fundoianu si lasciano guardare ed ascoltare a partire da certe tonalità emotive fondamentali, forse proprio a partire dal corpo pulsionale e simbolico della parola. In effetti, come ricordava alcuni anni fa Marin Mincu, Fundoianu si allontana programmaticamente dalla tradizione del genere paesaggistico romeno di impronta bucolica, com’era stato il caso di Alecsandri, Coşbuc e Pillat o dello stesso Eminescu, e «scrive una poesia originale, schizzando alcune “vedute” immaginarie, solo in apparenza bucoliche, calligrafando, in realtà, il diagramma interiore di certi campi di tensione, specifici della sensibilità espressionista». Per cui, mentre il modello tradizionalista si limitava a descrivere la natura del paesaggio, Fundoianu interpreta la stessa inventandola, creandola nuovamente, ossia ri-scrivendola a partire da certi frammenti di rappresentazione che possono essere ri-simbolizzati per meglio riannodare l’immaginario con il reale insostenibile.
In tal senso, si è trattato per Fundoianu di liberare l’orizzonte del paesaggio natio a partire dal quale ciò che è stato distrutto nel disastro della guerra possa infine apparire nella sua originale e primigenia grandezza. Imparare a leggere nel paesaggio i segni lasciati dalla noia profonda, dalla tristezza moldava, e anche dall’eros derivato dalla frequentazione assidua del Cantico dei Cantici, significa per il poeta liberare l’originalità di un domandare e di un interrogare ciò che è degno di essere posto in questione. La lezione dell’Ecclesiaste e di Giobbe si trova sempre come sfumata sullo sfondo di questi componimenti.