MASSIMO DOLCINI
LA GRAFICA PER UNA CITTADINANZA CONSAPEVOLE
A cura di Mario Piazza
Galleria Carifano, Palazzo Corbelli
via Arco d’Augusto 47 – Fano
LA GRAFICA PER UNA CITTADINANZA CONSAPEVOLE
A cura di Mario Piazza
Galleria Carifano, Palazzo Corbelli
via Arco d’Augusto 47 – Fano
2/7/2015 - 10/9/2015
La mostra, curata da Mario Piazza, intende proporre una rilettura critica e storiografica dell’intero excursus dell’attività professionale di Dolcini, consentendo quindi di inquadrare e far comprendere ad un ampio pubblico come le opere più note di Dolcini si siano formate all’interno di un articolato percorso progettuale. Permette di spaziare con maggiore completezza nell’immaginario del grafico e capire in profondità il suo pensiero e la sua opera. L’ambizione è quella di presentare Dolcini nei suoi molteplici volti: grafico, progettista, fotografo, disegnatore, ceramista, imprenditore, didatta, gastronomo, operatore culturale, manager, appassionato uomo civile e artista. Senza tralasciare un aspetto più privato e personale di Dolcini rappresentato, per esempio, dai taccuini che lui stesso disegnava per le figlie, presto pubblicati per la prima volta da Corraini Edizioni.
Dopo gli studi al Corso Superiore di Arte Grafica di Urbino con Albe Steiner e Michele Provinciali, viene incaricato della comunicazione del Comune di Pesaro. Sceglie la strada dell'approccio diretto, comunicativo, riconoscibile. L’obiettivo è di far “parlare” le istituzioni con i cittadini, coinvolgendoli nel processo dell’amministrare la cosa pubblica. Attraverso i suoi manifesti dal segno inconfondibile, affissi quotidianamente sui muri pesaresi per vent’anni, la cittadinanza veniva informata capillarmente di ogni evento di qualche rilevanza sociale, politica, culturale, urbanistica e sanitaria
“Il suo segno “grasso” procede per intuizioni che paiono semplici, ma che sono il risultato sintetico di scarti analitici fino ad arrivare al segno più elementare, che è anche il più narrativo e il più carico di memorie e “tradizioni” per ognuno di noi” scrive, a proposito di questa fase del lavoro di Dolcini, Italo Lupi. “Lo spessore del suo segno prevale sulla tipografia e sul lettering; nei suoi manifesti i colori si inseguono pastosi per giocare su una nuova tavolozza: di lontano si sentono gli echi formali certo non più di Steiner, quanto forse di un Michele Provinciali con la sua eleganza parmigiana e una contemporanea padana solidità, terragna ed empirica”.
In quegli anni egli definiva se stesso come “grafico condotto”, vedendosi come operatore impegnato in prima persona nel progetto sociale in cui immetteva tutto il suo talento. Nate per Pesaro e i pesaresi, le sue campagne di pubblica utilità diventano presto un vero punto di riferimento per la grafica in Italia, stimolando un dibattito di respiro nazionale sulla progettazione dell’immagine pubblica e facendo conoscere il lavoro di Dolcini e del suo studio Fuorischema a livello internazionale.
Il cambio di scenario e il consolidamento dell'economia dei distretti vedono Dolcini riformulare il suo approccio in una dimensione più strutturata da “imprenditore”, più vicino alle esigenze e alle strategie pubblicitarie dei committenti, ma mantenendo quel filo rosso della qualità del progetto, non più attuato in prima persona, dalla sua mano, ma con la valorizzazione di giovani collaboratori, cresciuti nelle sue strutture attraverso un originale percorso di formazione interna.
Nascono così gli studi – agenzia M&M e Dolcini Associati, compagini note a livello internazionale per la peculiarità del lavoro sull’immagine, capace di interpretare, con un’impronta riconoscibile e di forte impatto culturale, i tempi e le loro trasformazioni.
La favorevole situazione economica e industriale del pesarese lo aiutò a tradurre in pratica l’idea di una evoluzione della figura di “artigiano-designer” ad una forma di “impresa della comunicazione", come lui stesso soleva definirla e dove venisse preservata e potenziata la qualità del fare e la trasmissione e condivisione delle conoscenze.
In quest'ottica, negli ultimi anni – come annota Mario Piazza – la necessità di una riappropriazione diretta da parte di Dolcini delle tecniche della cultura materiale (illustrazione, tessitura, ceramica, orto, cucina...) diventa una necessità evidente, che di fatto affianca pariteticamente la dimensione strettamente professionale. Non si tratta affatto di divagazioni hobbystiche, ma la sintesi finale - o il germe iniziale - del percorso professionale e artistico, questi lavori rappresentano con esiti di grande originalità la pienezza contemporanea dell’uomo-artigiano alla Richard Sennett, che ci ricorda come: “le capacità dell’artigiano di scavare in profondità si situano al polo opposto di una società moderna che preferisce la superficialità, la formazione veloce.(...) Il fatto di imparare a svolgere bene un lavoro mette gli individui in grado di governarsi e dunque di diventare bravi cittadini. Il lavoro ben fatto è quindi anche un modello di cittadinanza consapevole. L’attitudine al fare, comune a tutti gli uomini, insegna a governare noi stessi e a entrare in relazione con altri cittadini su questo terreno comune.” Parole che Dolcini avrebbe di certo sottoscritto e approvato.
In occasione della mostra sarà stampato un catalogo edito dalla Fondazione Gruppo Credito Valtellinese, con la curatela e un saggio critico di Mario Piazza e con un ampia mole di materiali, molti anche inediti, a documentazione dell'attività di grafico, designer e artista di Massimo Dolcini.
Immagine: Massimo Dolcini, La città negata. Immigrati tra opportunità ed espulsione, 1996, offset
La mostra, curata da Mario Piazza, intende proporre una rilettura critica e storiografica dell’intero excursus dell’attività professionale di Dolcini, consentendo quindi di inquadrare e far comprendere ad un ampio pubblico come le opere più note di Dolcini si siano formate all’interno di un articolato percorso progettuale. Permette di spaziare con maggiore completezza nell’immaginario del grafico e capire in profondità il suo pensiero e la sua opera. L’ambizione è quella di presentare Dolcini nei suoi molteplici volti: grafico, progettista, fotografo, disegnatore, ceramista, imprenditore, didatta, gastronomo, operatore culturale, manager, appassionato uomo civile e artista. Senza tralasciare un aspetto più privato e personale di Dolcini rappresentato, per esempio, dai taccuini che lui stesso disegnava per le figlie, presto pubblicati per la prima volta da Corraini Edizioni.
Dopo gli studi al Corso Superiore di Arte Grafica di Urbino con Albe Steiner e Michele Provinciali, viene incaricato della comunicazione del Comune di Pesaro. Sceglie la strada dell'approccio diretto, comunicativo, riconoscibile. L’obiettivo è di far “parlare” le istituzioni con i cittadini, coinvolgendoli nel processo dell’amministrare la cosa pubblica. Attraverso i suoi manifesti dal segno inconfondibile, affissi quotidianamente sui muri pesaresi per vent’anni, la cittadinanza veniva informata capillarmente di ogni evento di qualche rilevanza sociale, politica, culturale, urbanistica e sanitaria
“Il suo segno “grasso” procede per intuizioni che paiono semplici, ma che sono il risultato sintetico di scarti analitici fino ad arrivare al segno più elementare, che è anche il più narrativo e il più carico di memorie e “tradizioni” per ognuno di noi” scrive, a proposito di questa fase del lavoro di Dolcini, Italo Lupi. “Lo spessore del suo segno prevale sulla tipografia e sul lettering; nei suoi manifesti i colori si inseguono pastosi per giocare su una nuova tavolozza: di lontano si sentono gli echi formali certo non più di Steiner, quanto forse di un Michele Provinciali con la sua eleganza parmigiana e una contemporanea padana solidità, terragna ed empirica”.
In quegli anni egli definiva se stesso come “grafico condotto”, vedendosi come operatore impegnato in prima persona nel progetto sociale in cui immetteva tutto il suo talento. Nate per Pesaro e i pesaresi, le sue campagne di pubblica utilità diventano presto un vero punto di riferimento per la grafica in Italia, stimolando un dibattito di respiro nazionale sulla progettazione dell’immagine pubblica e facendo conoscere il lavoro di Dolcini e del suo studio Fuorischema a livello internazionale.
Il cambio di scenario e il consolidamento dell'economia dei distretti vedono Dolcini riformulare il suo approccio in una dimensione più strutturata da “imprenditore”, più vicino alle esigenze e alle strategie pubblicitarie dei committenti, ma mantenendo quel filo rosso della qualità del progetto, non più attuato in prima persona, dalla sua mano, ma con la valorizzazione di giovani collaboratori, cresciuti nelle sue strutture attraverso un originale percorso di formazione interna.
Nascono così gli studi – agenzia M&M e Dolcini Associati, compagini note a livello internazionale per la peculiarità del lavoro sull’immagine, capace di interpretare, con un’impronta riconoscibile e di forte impatto culturale, i tempi e le loro trasformazioni.
La favorevole situazione economica e industriale del pesarese lo aiutò a tradurre in pratica l’idea di una evoluzione della figura di “artigiano-designer” ad una forma di “impresa della comunicazione", come lui stesso soleva definirla e dove venisse preservata e potenziata la qualità del fare e la trasmissione e condivisione delle conoscenze.
In quest'ottica, negli ultimi anni – come annota Mario Piazza – la necessità di una riappropriazione diretta da parte di Dolcini delle tecniche della cultura materiale (illustrazione, tessitura, ceramica, orto, cucina...) diventa una necessità evidente, che di fatto affianca pariteticamente la dimensione strettamente professionale. Non si tratta affatto di divagazioni hobbystiche, ma la sintesi finale - o il germe iniziale - del percorso professionale e artistico, questi lavori rappresentano con esiti di grande originalità la pienezza contemporanea dell’uomo-artigiano alla Richard Sennett, che ci ricorda come: “le capacità dell’artigiano di scavare in profondità si situano al polo opposto di una società moderna che preferisce la superficialità, la formazione veloce.(...) Il fatto di imparare a svolgere bene un lavoro mette gli individui in grado di governarsi e dunque di diventare bravi cittadini. Il lavoro ben fatto è quindi anche un modello di cittadinanza consapevole. L’attitudine al fare, comune a tutti gli uomini, insegna a governare noi stessi e a entrare in relazione con altri cittadini su questo terreno comune.” Parole che Dolcini avrebbe di certo sottoscritto e approvato.
In occasione della mostra sarà stampato un catalogo edito dalla Fondazione Gruppo Credito Valtellinese, con la curatela e un saggio critico di Mario Piazza e con un ampia mole di materiali, molti anche inediti, a documentazione dell'attività di grafico, designer e artista di Massimo Dolcini.
Immagine: Massimo Dolcini, La città negata. Immigrati tra opportunità ed espulsione, 1996, offset