ALDO SPINELLI
LABIRINTO
Museo del Parco - Centro internazionale della scultura all'aperto
via Molo Umberto I - Portofino
1/8/2015 - 15/10/2015
Sabato 1 Agosto 2015 il Museo del Parco di Portofino, Centro Internazionale di Scultura all’Aperto presieduto da Daniele Crippa, e curato da Serena Mormino, in collaborazione con Amarte, si arricchirà di un’altra importante opera del Maestro Aldo Spinelli – “Labirinto” 2015
L’opera entrerà ufficialmente nella collezione permanente del Museo, accanto a lavori di Alviani, Arman, Atchugarry, Angi, Beuyes, Basso, Ceccobelli, Chiari, Cogorno, Corner, Costa, Cracking Art Group, De Molfetta, Depero, Dorfles, Fiume, Fontana, Galliani, Guttuso, Kosice, Marangoni, Marchegiani, Mondino, Mustica, Patterson, Pignatelli, Polesello, Pomodoro, Man Ray, Rotella, Spoerri, M. Thun, Vautier, Veronese, solo per citare alcune tra le oltre centosettanta opere presenti in questo prezioso scrigno di arte e natura.
Serena Mormino: LABIRINTO: un concetto che mi ha sempre affascinato e che ho avuto modo di studiare, di recente, anche in riferimento all’architettura delle Cattedrali. Possiamo affermare che il labirinto, oltre a essere uno spazio fisico, sia soprattutto uno spazio mentale, un luogo dove la storia incontra il mito fondendosi in un percorso che da pedestre diventa iniziatico. Si deve entrare o uscire dal labirinto?
Aldo Spinelli: Ci sono due tipi di labirinti: quelli centrifughi e quelli centripeti. Nei primi l’obiettivo è la fuga dal centro verso l’esterno. Negli altri si parte da una precisa posizione esterna, da un lato o da un angolo, e si procede verso l’interno fino a un punto predeterminato. La combinazione di questi due tipi genera un labirinto con un ingresso e un’uscita, un semplice ostacolo tra un “qui” e un “là”.
SM: Addentrarsi e avanzare in un labirinto è una metafora della crescita, con le scelte obbligate che si impongono e con quelle arbitrarie che insinuano dubbi e dilemmi?
AS: Ci sono due tipi di labirinti: quelli che hanno un percorso lineare e quelli ramificati. I primi, meglio definiti come “unicursali” alternano tratti rettilinei con curve in una serie di continue circonvoluzioni ma senza mai presentare un bivio, una possibilità di decisione. In sostanza, il percorso è obbligato e ben rappresenta la tortuosità e la fatica e il tempo verso il conseguimento del risultato. I labirinti “multicursali”, invece, pongono a ogni bivio una scelta. Se nei primi è impossibile perdersi, nei secondi è molto facile girare a vuoto fino alla rassegnazione.
SM: Bisogna comunque decidere. Talvolta vi sono differenti modi per affrontare una situazione, un problema. E non è detto che portino alla medesima soluzione. Anche una modesta variazione iniziale può innescare un percorso totalmente differente. È possibile raggiungere lo stesso risultato partendo da premesse talvolta persino opposte?
AS: Ci sono due tipi di labirinti: quelli che hanno un solo punto di partenza e uno di arrivo e altri che ne hanno più di uno sia all’inizio che alla fine. In questo caso i percorsi sono totalmente diversi e indipendenti e non possono intersecarsi se non per conseguire obiettivi diversi da un’unica partenza o avere due partenze per un unico obiettivo.
SM: Insomma, una piccola decisione, un’inezia, può creare una valanga di conseguenze. Ogni bivio propone un futuro diverso. È possibile rimediare, oltre al semplice tornare indietro e scegliere un’altra direzione?
AS: Ci sono due tipi di labirinti: quelli i cui bivi hanno diramazioni ad albero e altri con “anelli” interni. Nei primi, meglio definiti come “semplicemente connessi”, si può raggiungere l’obiettivo semplicemente tenendo continuamente la destra (o la sinistra) anche al costo di un lungo percorso. Negli altri è necessario lasciare un segno nei bivi in cui si è già transitati per evitare di entrare in un vicolo cieco, in un ricorsivo circolo vizioso.
SM: Rimane il continuo dubbio della scelta. Che si fa miope quando manca una visione d’insieme, estranea, esterna: un punto di osservazione che riesca ad amalgamare le eterogeneità delle singolarità soggettive. Ci si può porre al di fuori, essere oggettivi nella soggettività?
AS: Ci sono due tipi di labirinti: quelli a visione completa del percorso e quelli a visione parziale. I primi sono formati da immagini bidimensionali (su carta, su pavimento, su muro) e sono facilmente percorribili con il solo sguardo. Negli altri, con lati formati da siepi o muri, la difficoltà di un percorso anche semplice si incrementa fino ad arrivare al panico. I primi sono parenti alla lontana, quasi degli archetipi, dei cruciverba che vivono proprio grazie agli incroci.
SM: In un modo o nell’altro si parla sempre di destra o sinistra, sempre avanti o tuttalpiù all’indietro. Non esistono alternative? Scavalcare baldanzosamente un ostacolo anziché aggirarlo, oppure subdolamente passargli sotto con uno scarto da pensiero laterale?
AS: Ci sono due tipi di labirinti: quelli bidimensionali e quelli tridimensionali. In questi ultimi si esce dal piano con un ponte (o una galleria sotterranea) e si possono quindi creare incroci su livelli che non si incrociano. Il loro tracciato è sostanzialmente una sommatoria di tanti diversi labirinti quanti sono i piani sovrapposti. Paradossalmente, con dei semplici accorgimenti grafici si può raffigurare su un piano un labirinto tridimensionale.
SM: Nei labirinti si nasconde sempre qualcosa di altro. Non soltanto nei piani dello spazio ma anche in quelli della lettura. In un modo o nell’altro, più o meno ardui e difficoltosi, i labirinti sono tutti morfologicamente diversi ma idealmente uguali, o quanto meno simili?
AS: Ci sono due tipi di labirinti: quelli che si propongono come una domanda (ecco qua, trova la soluzione) e quelli che sono già una risposta a sé stessi: entra e sai già dove ti conduco, fidati se ti vuoi fidare ma sappi che ogni tua scelta, ogni tua decisione è già preordinata, già scritta dal destino. Un topo verso il cibo oppure il Minotauro. Prima o poi, nel bene o nel male, si raggiunge il centro.
SM: Tutte queste letture del labirinto mi hanno fatto perdere il filo di Arianna del discorso. Perchè, in definitiva, l’oggetto di questa intervista è un labirinto del tutto particolare, che non è simbolo ma soltanto segno, una sommatoria di segni che, guarda caso, forma la parola LABIRINTO. Ma è davvero un labirinto?
AS: Ci siamo finalmente arrivati: nel lontano 1972 ho pensato di creare un labirinto circoscrivendo, una dopo l’altra, le lettere della parola LABIRINTO. Quel che ne è sortito assomiglia a un labirinto, forse banale, forse troppo facile da percorrere per raggiungere la “O” in centro. Comunque un tentativo tentato che accontenta. Dopo aver realizzato alcune maquette del progetto, invitato nel 1978 alla mostra Metafisica del quotidiano (Galleria d’Arte Moderna di Bologna), ne ho proposto l’allestimento. Il progetto prevedeva la costruzione, in uno spazio all’aperto, del labirinto con al centro una lastra di marmo che ne rappresentasse l’obiettivo e, allo stesso tempo, la spiegazione. Per motivi di carattere economico il labirinto è stato realizzato con semplici solchi sul terreno che rendevano percorribili (e leggibili) le nove lettere. Ora, in questa nuova versione realizzata per il Museo del Parco di Portofino e per Amarte si è trasformato in una superficie metallica e tridimensionale.
SM: Ovvero? Che ci sta dietro al LABIRINTO?
AS: Ci sono le cose e ci sono le parole, i nomi delle cose. Le parole pronunciate, con i loro suoni, e quelle scritte, con i loro segni. Per descrivere le cose, la loro sostanza e le loro forme.
Ma anche le parole scritte, con la successione delle loro lettere, assumono una forma. E quindi, talvolta, si può riuscire a far congiungere, coincidere, la forma della cosa con la forma della parola che la denota. È questo il momento e l’occasione in cui il disegnare si sovrappone fino a confondersi con il designare.
giugno 2015
La collezione museale è in un continuo ed importante arricchimento, affiancando sempre più la tradizione artistica italiana e straniera del Novecento all’arte di questo nuovo millennio, in un luogo dove la natura, unica vera sovrana del mondo, ha generosamente e sapientemente creato un luogo di rara bellezza e fascino.
L’intervento umano, in questo luogo incantato, difende la bellezza paesaggistica e culturale, offrendo al pubblico un’altra rara ricchezza… l’Arte. Nel corso di più di vent’anni è stato creato un connubio talmente perfetto tra vegetazione ed espressione artistica, da renderle un’unica identità, dimostrando che l’Arte ha una capacità quasi divina e, quindi, il dovere di rendere omaggio alla vita.
LABIRINTO
Museo del Parco - Centro internazionale della scultura all'aperto
via Molo Umberto I - Portofino
1/8/2015 - 15/10/2015
Sabato 1 Agosto 2015 il Museo del Parco di Portofino, Centro Internazionale di Scultura all’Aperto presieduto da Daniele Crippa, e curato da Serena Mormino, in collaborazione con Amarte, si arricchirà di un’altra importante opera del Maestro Aldo Spinelli – “Labirinto” 2015
L’opera entrerà ufficialmente nella collezione permanente del Museo, accanto a lavori di Alviani, Arman, Atchugarry, Angi, Beuyes, Basso, Ceccobelli, Chiari, Cogorno, Corner, Costa, Cracking Art Group, De Molfetta, Depero, Dorfles, Fiume, Fontana, Galliani, Guttuso, Kosice, Marangoni, Marchegiani, Mondino, Mustica, Patterson, Pignatelli, Polesello, Pomodoro, Man Ray, Rotella, Spoerri, M. Thun, Vautier, Veronese, solo per citare alcune tra le oltre centosettanta opere presenti in questo prezioso scrigno di arte e natura.
Serena Mormino: LABIRINTO: un concetto che mi ha sempre affascinato e che ho avuto modo di studiare, di recente, anche in riferimento all’architettura delle Cattedrali. Possiamo affermare che il labirinto, oltre a essere uno spazio fisico, sia soprattutto uno spazio mentale, un luogo dove la storia incontra il mito fondendosi in un percorso che da pedestre diventa iniziatico. Si deve entrare o uscire dal labirinto?
Aldo Spinelli: Ci sono due tipi di labirinti: quelli centrifughi e quelli centripeti. Nei primi l’obiettivo è la fuga dal centro verso l’esterno. Negli altri si parte da una precisa posizione esterna, da un lato o da un angolo, e si procede verso l’interno fino a un punto predeterminato. La combinazione di questi due tipi genera un labirinto con un ingresso e un’uscita, un semplice ostacolo tra un “qui” e un “là”.
SM: Addentrarsi e avanzare in un labirinto è una metafora della crescita, con le scelte obbligate che si impongono e con quelle arbitrarie che insinuano dubbi e dilemmi?
AS: Ci sono due tipi di labirinti: quelli che hanno un percorso lineare e quelli ramificati. I primi, meglio definiti come “unicursali” alternano tratti rettilinei con curve in una serie di continue circonvoluzioni ma senza mai presentare un bivio, una possibilità di decisione. In sostanza, il percorso è obbligato e ben rappresenta la tortuosità e la fatica e il tempo verso il conseguimento del risultato. I labirinti “multicursali”, invece, pongono a ogni bivio una scelta. Se nei primi è impossibile perdersi, nei secondi è molto facile girare a vuoto fino alla rassegnazione.
SM: Bisogna comunque decidere. Talvolta vi sono differenti modi per affrontare una situazione, un problema. E non è detto che portino alla medesima soluzione. Anche una modesta variazione iniziale può innescare un percorso totalmente differente. È possibile raggiungere lo stesso risultato partendo da premesse talvolta persino opposte?
AS: Ci sono due tipi di labirinti: quelli che hanno un solo punto di partenza e uno di arrivo e altri che ne hanno più di uno sia all’inizio che alla fine. In questo caso i percorsi sono totalmente diversi e indipendenti e non possono intersecarsi se non per conseguire obiettivi diversi da un’unica partenza o avere due partenze per un unico obiettivo.
SM: Insomma, una piccola decisione, un’inezia, può creare una valanga di conseguenze. Ogni bivio propone un futuro diverso. È possibile rimediare, oltre al semplice tornare indietro e scegliere un’altra direzione?
AS: Ci sono due tipi di labirinti: quelli i cui bivi hanno diramazioni ad albero e altri con “anelli” interni. Nei primi, meglio definiti come “semplicemente connessi”, si può raggiungere l’obiettivo semplicemente tenendo continuamente la destra (o la sinistra) anche al costo di un lungo percorso. Negli altri è necessario lasciare un segno nei bivi in cui si è già transitati per evitare di entrare in un vicolo cieco, in un ricorsivo circolo vizioso.
SM: Rimane il continuo dubbio della scelta. Che si fa miope quando manca una visione d’insieme, estranea, esterna: un punto di osservazione che riesca ad amalgamare le eterogeneità delle singolarità soggettive. Ci si può porre al di fuori, essere oggettivi nella soggettività?
AS: Ci sono due tipi di labirinti: quelli a visione completa del percorso e quelli a visione parziale. I primi sono formati da immagini bidimensionali (su carta, su pavimento, su muro) e sono facilmente percorribili con il solo sguardo. Negli altri, con lati formati da siepi o muri, la difficoltà di un percorso anche semplice si incrementa fino ad arrivare al panico. I primi sono parenti alla lontana, quasi degli archetipi, dei cruciverba che vivono proprio grazie agli incroci.
SM: In un modo o nell’altro si parla sempre di destra o sinistra, sempre avanti o tuttalpiù all’indietro. Non esistono alternative? Scavalcare baldanzosamente un ostacolo anziché aggirarlo, oppure subdolamente passargli sotto con uno scarto da pensiero laterale?
AS: Ci sono due tipi di labirinti: quelli bidimensionali e quelli tridimensionali. In questi ultimi si esce dal piano con un ponte (o una galleria sotterranea) e si possono quindi creare incroci su livelli che non si incrociano. Il loro tracciato è sostanzialmente una sommatoria di tanti diversi labirinti quanti sono i piani sovrapposti. Paradossalmente, con dei semplici accorgimenti grafici si può raffigurare su un piano un labirinto tridimensionale.
SM: Nei labirinti si nasconde sempre qualcosa di altro. Non soltanto nei piani dello spazio ma anche in quelli della lettura. In un modo o nell’altro, più o meno ardui e difficoltosi, i labirinti sono tutti morfologicamente diversi ma idealmente uguali, o quanto meno simili?
AS: Ci sono due tipi di labirinti: quelli che si propongono come una domanda (ecco qua, trova la soluzione) e quelli che sono già una risposta a sé stessi: entra e sai già dove ti conduco, fidati se ti vuoi fidare ma sappi che ogni tua scelta, ogni tua decisione è già preordinata, già scritta dal destino. Un topo verso il cibo oppure il Minotauro. Prima o poi, nel bene o nel male, si raggiunge il centro.
SM: Tutte queste letture del labirinto mi hanno fatto perdere il filo di Arianna del discorso. Perchè, in definitiva, l’oggetto di questa intervista è un labirinto del tutto particolare, che non è simbolo ma soltanto segno, una sommatoria di segni che, guarda caso, forma la parola LABIRINTO. Ma è davvero un labirinto?
AS: Ci siamo finalmente arrivati: nel lontano 1972 ho pensato di creare un labirinto circoscrivendo, una dopo l’altra, le lettere della parola LABIRINTO. Quel che ne è sortito assomiglia a un labirinto, forse banale, forse troppo facile da percorrere per raggiungere la “O” in centro. Comunque un tentativo tentato che accontenta. Dopo aver realizzato alcune maquette del progetto, invitato nel 1978 alla mostra Metafisica del quotidiano (Galleria d’Arte Moderna di Bologna), ne ho proposto l’allestimento. Il progetto prevedeva la costruzione, in uno spazio all’aperto, del labirinto con al centro una lastra di marmo che ne rappresentasse l’obiettivo e, allo stesso tempo, la spiegazione. Per motivi di carattere economico il labirinto è stato realizzato con semplici solchi sul terreno che rendevano percorribili (e leggibili) le nove lettere. Ora, in questa nuova versione realizzata per il Museo del Parco di Portofino e per Amarte si è trasformato in una superficie metallica e tridimensionale.
SM: Ovvero? Che ci sta dietro al LABIRINTO?
AS: Ci sono le cose e ci sono le parole, i nomi delle cose. Le parole pronunciate, con i loro suoni, e quelle scritte, con i loro segni. Per descrivere le cose, la loro sostanza e le loro forme.
Ma anche le parole scritte, con la successione delle loro lettere, assumono una forma. E quindi, talvolta, si può riuscire a far congiungere, coincidere, la forma della cosa con la forma della parola che la denota. È questo il momento e l’occasione in cui il disegnare si sovrappone fino a confondersi con il designare.
giugno 2015
La collezione museale è in un continuo ed importante arricchimento, affiancando sempre più la tradizione artistica italiana e straniera del Novecento all’arte di questo nuovo millennio, in un luogo dove la natura, unica vera sovrana del mondo, ha generosamente e sapientemente creato un luogo di rara bellezza e fascino.
L’intervento umano, in questo luogo incantato, difende la bellezza paesaggistica e culturale, offrendo al pubblico un’altra rara ricchezza… l’Arte. Nel corso di più di vent’anni è stato creato un connubio talmente perfetto tra vegetazione ed espressione artistica, da renderle un’unica identità, dimostrando che l’Arte ha una capacità quasi divina e, quindi, il dovere di rendere omaggio alla vita.