ADRIANO ACCATTINO
Satura
piazza Stella 5/1 - Genova
21/2/2015 - 4/3/2015
S’inaugura sabato 21 febbraio 2015 alle ore 17:00 nelle suggestive sale di Palazzo Stella a Genova, la mostra “MOSTRA DI TRENTASETTE QUADRI ANAMORFICI DIVISI IN TRE SERIE DI 8, 9 E 20 UNITÀ RICORDANDO MARTINO NELLA SUA CITTÀ” di Adriano Accattino a cura di Mario Napoli. La mostra resterà aperta fino al 4 marzo 2015 con orario 15:30 – 19:00 dal martedì al sabato.
Conoscete Adriano Accattino? Per rispondere (in realtà solo in parte) a questa domanda, in occasione del settantesimo compleanno, è stato pubblicato lo scorso anno un volume di duecentosessanta pagine nel quale si dà conto delle sue molteplici attività in ambito culturale, a partire dagli anni ’60: poeta, scrittore, promotore ed editore di riviste, organizzatore di convegni, collezionista omnivoro, lungo un percorso che lo ha condotto, in tempi non troppo distanti ad edificare un museo, il Museo della Carale, dove ha allestito mostre dedicate alla Poesia Visiva e a Fluxus.
All’ampio raggio del suo operare non fa difetto la pratica della pittura, puntualmente analizzata, nel suo svolgimento – nel volume citato – da Lorena Giuranna.
Venuto allo scoperto solo alla fine degli anni ’80, germinando in modo spontaneo dalla scrittura - come segnala in modo esplicito il titolo del primo ciclo di lavori, “Scritture ad occhi chiusi”, calligrafie “automatiche” sovente collegate all’ascolto di brani musicali – l’esercizio pittorico assume in seguito sempre maggior spazio nell’operare di Accattino, benché questi abbia mantenuto, e mantenga tuttora, una sorta di reverenziale riserbo in proposito, professandosi “non pittore”: definizione che - seppure formulata in termini attinenti alla professionalità e alla tecnica - ricorda nell’atteggiamento, fra imbarazzo e ironia, la più oltranzista qualifica di “ignorante” che Pinot Gallizio si attribuiva nella sua carta da lettere.
D’altronde un parallelo con la vicenda dell’autore albese non si prospetta del tutto ingiustificato, oltre che per l’affinità di talune soluzioni concrete (come l’esporre le tele alle intemperie, espediente peraltro già impiegato da Munch), proprio per l’avvio al di fuori di ogni preparazione specifica.
Nel raffronto con Gallizio, peraltro, possiamo spingerci anche oltre: come quest’ultimo aveva conseguito, nelle “Fabbriche del vento” e nel ciclo degli “Oggetti e spazi per un mondo peggiore”, mediante la fusione di materia e segno, una sensibilità squisitamente pittorica, infatti, anche Accattino, dopo una lunga fase di esplorazione del mezzo, ha raggiunto una sintesi personale di grande impatto visivo.
Se, in partenza, il suo accostarsi alla pittura si poteva leggere nei termini di un impulso originato dalla frequentazione di altri artisti, primi fra tutti Luigi Bianco e Martino Oberto, e più in generale come estrinsecazione del principio lautreamontiano secondo cui “la poesia deve esser fatta da tutti e non da uno”, oggi, con l’esposizione da Satura dei venti pannelli realizzati fra il 2013 e il 2014, si può, anzi si deve constatare come il lavoro di Accattino abbia acquisito una nuova dimensione, istituendo una penetrante dialettica fra l’articolazione ideativa dell’opera e la sua esteriorità visuale.
L’intento dell’autore si palesa, sin dalla scelta del supporto (tavole di materiale sintetico sulle quali un altro artista, Ferruccio Cajati, aveva incollato riproduzioni di sue opere recenti), diretto a costruire una “sovrapittura”, a dar vita ad una sequenza di opere che si vuole “di rottura con i luoghi comuni della pittura”; si esprime in una presa di partito per “un’arte camaleontica, galattica, dinoccolata, sconcettuale e via dicendo”, per un’“ovra sovrabbondante, sovrasviluppata, sovradimensionata”. Accattino struttura quindi questo suo ciclo attraverso l’ironia e l’eccesso, al modo di un manifesto dell’antipittura. Paradossalmente, però, non solo scarta l’opzione dell’azzeramento del colore, della materia e del segno, ma aggira anche la soluzione facile del kitsch rivestendo le sue pagine di stesure rapide ed esplosive, intensamente vitali, di accostamenti cromatici violenti e di forme convulsamente intrecciate: un’“iperpittura” lussureggiante che smentisce radicalmente la cornice teorica negativa su cui va a distendersi.
Questa felice contraddizione anziché minare il risultato, lo potenzia, mettendo in campo la carta della spensieratezza (termine che ancora fa riferimento ad Oberto) per introdurre una trama ludica nella serietà degli assunti. Così, nei suoi lavori accesi, ricolmi di timbri dissonanti, dove tracce chiuse e aperte si sovrappongono senza interruzione, Accattino procede – secondo un’espressione di Dotremont – “di libertà in libertà, senza che lo si possa mai cogliere in flagrante delitto di stile o di caos”, prefigurando – di giorno in giorno e di quadro in quadro, come in un diario per immagini - la vita ancora da vivere della pittura.
(Sandro Ricaldone)
Satura
piazza Stella 5/1 - Genova
21/2/2015 - 4/3/2015
S’inaugura sabato 21 febbraio 2015 alle ore 17:00 nelle suggestive sale di Palazzo Stella a Genova, la mostra “MOSTRA DI TRENTASETTE QUADRI ANAMORFICI DIVISI IN TRE SERIE DI 8, 9 E 20 UNITÀ RICORDANDO MARTINO NELLA SUA CITTÀ” di Adriano Accattino a cura di Mario Napoli. La mostra resterà aperta fino al 4 marzo 2015 con orario 15:30 – 19:00 dal martedì al sabato.
Conoscete Adriano Accattino? Per rispondere (in realtà solo in parte) a questa domanda, in occasione del settantesimo compleanno, è stato pubblicato lo scorso anno un volume di duecentosessanta pagine nel quale si dà conto delle sue molteplici attività in ambito culturale, a partire dagli anni ’60: poeta, scrittore, promotore ed editore di riviste, organizzatore di convegni, collezionista omnivoro, lungo un percorso che lo ha condotto, in tempi non troppo distanti ad edificare un museo, il Museo della Carale, dove ha allestito mostre dedicate alla Poesia Visiva e a Fluxus.
All’ampio raggio del suo operare non fa difetto la pratica della pittura, puntualmente analizzata, nel suo svolgimento – nel volume citato – da Lorena Giuranna.
Venuto allo scoperto solo alla fine degli anni ’80, germinando in modo spontaneo dalla scrittura - come segnala in modo esplicito il titolo del primo ciclo di lavori, “Scritture ad occhi chiusi”, calligrafie “automatiche” sovente collegate all’ascolto di brani musicali – l’esercizio pittorico assume in seguito sempre maggior spazio nell’operare di Accattino, benché questi abbia mantenuto, e mantenga tuttora, una sorta di reverenziale riserbo in proposito, professandosi “non pittore”: definizione che - seppure formulata in termini attinenti alla professionalità e alla tecnica - ricorda nell’atteggiamento, fra imbarazzo e ironia, la più oltranzista qualifica di “ignorante” che Pinot Gallizio si attribuiva nella sua carta da lettere.
D’altronde un parallelo con la vicenda dell’autore albese non si prospetta del tutto ingiustificato, oltre che per l’affinità di talune soluzioni concrete (come l’esporre le tele alle intemperie, espediente peraltro già impiegato da Munch), proprio per l’avvio al di fuori di ogni preparazione specifica.
Nel raffronto con Gallizio, peraltro, possiamo spingerci anche oltre: come quest’ultimo aveva conseguito, nelle “Fabbriche del vento” e nel ciclo degli “Oggetti e spazi per un mondo peggiore”, mediante la fusione di materia e segno, una sensibilità squisitamente pittorica, infatti, anche Accattino, dopo una lunga fase di esplorazione del mezzo, ha raggiunto una sintesi personale di grande impatto visivo.
Se, in partenza, il suo accostarsi alla pittura si poteva leggere nei termini di un impulso originato dalla frequentazione di altri artisti, primi fra tutti Luigi Bianco e Martino Oberto, e più in generale come estrinsecazione del principio lautreamontiano secondo cui “la poesia deve esser fatta da tutti e non da uno”, oggi, con l’esposizione da Satura dei venti pannelli realizzati fra il 2013 e il 2014, si può, anzi si deve constatare come il lavoro di Accattino abbia acquisito una nuova dimensione, istituendo una penetrante dialettica fra l’articolazione ideativa dell’opera e la sua esteriorità visuale.
L’intento dell’autore si palesa, sin dalla scelta del supporto (tavole di materiale sintetico sulle quali un altro artista, Ferruccio Cajati, aveva incollato riproduzioni di sue opere recenti), diretto a costruire una “sovrapittura”, a dar vita ad una sequenza di opere che si vuole “di rottura con i luoghi comuni della pittura”; si esprime in una presa di partito per “un’arte camaleontica, galattica, dinoccolata, sconcettuale e via dicendo”, per un’“ovra sovrabbondante, sovrasviluppata, sovradimensionata”. Accattino struttura quindi questo suo ciclo attraverso l’ironia e l’eccesso, al modo di un manifesto dell’antipittura. Paradossalmente, però, non solo scarta l’opzione dell’azzeramento del colore, della materia e del segno, ma aggira anche la soluzione facile del kitsch rivestendo le sue pagine di stesure rapide ed esplosive, intensamente vitali, di accostamenti cromatici violenti e di forme convulsamente intrecciate: un’“iperpittura” lussureggiante che smentisce radicalmente la cornice teorica negativa su cui va a distendersi.
Questa felice contraddizione anziché minare il risultato, lo potenzia, mettendo in campo la carta della spensieratezza (termine che ancora fa riferimento ad Oberto) per introdurre una trama ludica nella serietà degli assunti. Così, nei suoi lavori accesi, ricolmi di timbri dissonanti, dove tracce chiuse e aperte si sovrappongono senza interruzione, Accattino procede – secondo un’espressione di Dotremont – “di libertà in libertà, senza che lo si possa mai cogliere in flagrante delitto di stile o di caos”, prefigurando – di giorno in giorno e di quadro in quadro, come in un diario per immagini - la vita ancora da vivere della pittura.
(Sandro Ricaldone)