ALICE MARINONI
E VOLEVA LE ALI AI PIEDI
Contemporart Ospitale d’Arte
Villa Piaggio
Corso Firenze - Genova
sino al 2/2/2014
LA PITTURA DI ALICE MARINONI
Una delle caratteristiche, forse la principale, dell’arte irregolare, la cosiddetta art brut o outsider art, è quella di non avere bisogno di spiegazioni. Ciò non significa che essa non possa essere valutata criticamente, dal punto di vista linguistico, psicologico, sociale e persino ideologico, ma nessuno può, però, metterne in dubbio la necessità. Credo che ciò sia dovuto al fatto che ciascuna di queste forme di espressione e comunicazione artistica si fonda su una difficoltà, una menomazione, un handicap, sia esso fisico o mentale, che la rende, al tempo stesso, vitale e ossessiva, libera costretta. Non sfugge a questa semplice, ma decisiva, regola l’opera pittorica – insieme seducente e dirompente - di Alice Marinoni, che fino al 2 febbraio ha allestito la sua mostra “E voleva le ali ai piedi” negli spazi di “ContemporArt Ospitale d’arte” (Villa Piaggio, corso Firenze, dal giovedì al sabato, ore 16-18). Marinoni, che ha 51 anni e vive tra il Canton Ticino, Genova e il Portogallo, soffre sin dalla nascita di un’ipoacusia profonda che ha dato origine a una forma di autismo; ha iniziato a dipingere intorno ai vent’anni, ma è dal 1993 che espone regolarmente in gallerie e musei. È impossibile immaginare che cosa significhi vivere in una condizione di silenzio assoluto. “Il suo alfabeto comunicativo” ha scritto la critica d’arte Viana Conti “è gestuale a livello psichico, visivo a tutti gli altri livelli, compreso quello ideativo. I suoi occhi guardano un mondo che mastica parole, le su orecchie si sono chiuse all’esterno registrando solo dall’interno una storia che non vogliono raccontare. Nel mondo di Alice le immagini vanno ad occupare i posti lasciati vuoti dalle parole”. Dal punto di vista stilistico, per il lavoro della Marinoni, i critici hanno parlato di Klee, Dubuffet, Vallotton, Soutter, Nicola de Maria, ma ciò colpisce maggiormente chi guarda è la forza motivante di quella pittura, la sua indispensabilità. “Alice ha sempre combattuto” spiega Marco Ercolani, psichiatra e scrittore che ha curato la mostra e il catalogo, uscito per i tipi della Joker “in modo ostile e vivace il suo isolamento acustico dal mondo, spaccando i vetri o balzando sulle sedie, spesso finendo al pronto soccorso vittima del suo stesso furore. Non si è mai rassegnata all’esclusione. Da sempre vuole definire il proprio territorio, come un animale che pretende spazio e attenzione dai suoi simili. Vuole farsi sentire”. Fondamentale nella vita dell’artista la figura della madre, Mirella Marini, anche lei pittrice, che le ha fornito gli strumenti affettivi, culturali e materiali per permettere al suo mondo interiore di trovare un canale di comunicazione, una via d’uscita. “Viviamo momenti di stretto rapporto tra noi” racconta la madre “momenti del fare, in sintonia con luce, spazi e forme amiche, in un fare che è come un dire. Inventiamo pescando nella complessità delle nostre conoscenze passate. Segni nuovi che corrispondono agli stimoli delle sensazioni-emozioni-sentimenti di questi precisi momenti. Guardare, capire e capirci nel reale e nell’immaginario. Semplicemente giocare insieme.”
Giuliano Galletta
E VOLEVA LE ALI AI PIEDI
Contemporart Ospitale d’Arte
Villa Piaggio
Corso Firenze - Genova
sino al 2/2/2014
LA PITTURA DI ALICE MARINONI
Una delle caratteristiche, forse la principale, dell’arte irregolare, la cosiddetta art brut o outsider art, è quella di non avere bisogno di spiegazioni. Ciò non significa che essa non possa essere valutata criticamente, dal punto di vista linguistico, psicologico, sociale e persino ideologico, ma nessuno può, però, metterne in dubbio la necessità. Credo che ciò sia dovuto al fatto che ciascuna di queste forme di espressione e comunicazione artistica si fonda su una difficoltà, una menomazione, un handicap, sia esso fisico o mentale, che la rende, al tempo stesso, vitale e ossessiva, libera costretta. Non sfugge a questa semplice, ma decisiva, regola l’opera pittorica – insieme seducente e dirompente - di Alice Marinoni, che fino al 2 febbraio ha allestito la sua mostra “E voleva le ali ai piedi” negli spazi di “ContemporArt Ospitale d’arte” (Villa Piaggio, corso Firenze, dal giovedì al sabato, ore 16-18). Marinoni, che ha 51 anni e vive tra il Canton Ticino, Genova e il Portogallo, soffre sin dalla nascita di un’ipoacusia profonda che ha dato origine a una forma di autismo; ha iniziato a dipingere intorno ai vent’anni, ma è dal 1993 che espone regolarmente in gallerie e musei. È impossibile immaginare che cosa significhi vivere in una condizione di silenzio assoluto. “Il suo alfabeto comunicativo” ha scritto la critica d’arte Viana Conti “è gestuale a livello psichico, visivo a tutti gli altri livelli, compreso quello ideativo. I suoi occhi guardano un mondo che mastica parole, le su orecchie si sono chiuse all’esterno registrando solo dall’interno una storia che non vogliono raccontare. Nel mondo di Alice le immagini vanno ad occupare i posti lasciati vuoti dalle parole”. Dal punto di vista stilistico, per il lavoro della Marinoni, i critici hanno parlato di Klee, Dubuffet, Vallotton, Soutter, Nicola de Maria, ma ciò colpisce maggiormente chi guarda è la forza motivante di quella pittura, la sua indispensabilità. “Alice ha sempre combattuto” spiega Marco Ercolani, psichiatra e scrittore che ha curato la mostra e il catalogo, uscito per i tipi della Joker “in modo ostile e vivace il suo isolamento acustico dal mondo, spaccando i vetri o balzando sulle sedie, spesso finendo al pronto soccorso vittima del suo stesso furore. Non si è mai rassegnata all’esclusione. Da sempre vuole definire il proprio territorio, come un animale che pretende spazio e attenzione dai suoi simili. Vuole farsi sentire”. Fondamentale nella vita dell’artista la figura della madre, Mirella Marini, anche lei pittrice, che le ha fornito gli strumenti affettivi, culturali e materiali per permettere al suo mondo interiore di trovare un canale di comunicazione, una via d’uscita. “Viviamo momenti di stretto rapporto tra noi” racconta la madre “momenti del fare, in sintonia con luce, spazi e forme amiche, in un fare che è come un dire. Inventiamo pescando nella complessità delle nostre conoscenze passate. Segni nuovi che corrispondono agli stimoli delle sensazioni-emozioni-sentimenti di questi precisi momenti. Guardare, capire e capirci nel reale e nell’immaginario. Semplicemente giocare insieme.”
Giuliano Galletta