venerdì 10 agosto 2012

RAFFAELE PICCINI: UN CASO INDUSTRIALE RED@ZIONE 2011

RAFFAELE PICCINI
UN CASO INDUSTRIALE
Quarant'anni di Marconi
Red@zione, 2011

Nel 1970 Marconi Italiana valeva un miliardo di lire, sommando capitale sociale e riserve, e dava lavoro a 834 dipendenti. Nel 1996 la somma tra capitale sociale e riserve aveva raggiunto i 1059 miliardi e i dipendenti erano 7000. Un caso industriale straordinario, da studiare, che qui viene raccontato in prima persona da chi lo ha vissuto e creato, Raffaele Piccini, entrato in Marconi nel 1959, al termine del servizio nella Marina Militare e con una laurea di ingegnere, come responsabile del reparto impianti.
Marconi Italiana, dal dopoguerra partecipata al 50% con Finmeccanica, proprio in quel periodo tornava sotto il pieno controllo del gruppo inglese The Marconi Company, che dieci anni dopo entrerà nella grande galassia industriale della Gec, General Electric Company.
Nel 1967 Piccini divenne direttore della Divisione Militare, strategica per Marconi, e nel 1970 veniva nominato direttore generale entrando nel consiglio di amministrazione, per assumere tutte le responsabilità operative. Nel 1972 venne nominato amministratore delegato con tutti i poteri. La sua gestione dell’azienda proseguì fino al 1995, continuando fino al 1996 con la funzione di controllo come presidente e amministratore delegato della capogruppo Marconi Finanziaria In quegli anni, conquistando la totale autonomia dall’azionista inglese e puntando attraverso l’innovazione e un’aggressiva politica commerciale sia sul mercato italiano, sia sui mercati esteri, Marconi Italiana divenne la punta di diamante del gruppo General Electric guidata da Lord Arnold Weinstok.
In questa storia, a metà strada tra l’autobiografia e la ricostruzione di eccezionali vicende industriali, sono illustrati sia i progressivi successi della Marconi, sia le politiche seguite da Piccini per rendere l’azienda un caso davvero unico nel panorama italiano, in quell’epoca caratterizzato da una forte conflittualità sindacale, dall’incertezza politica e anche da passaggi durissimi come le brigate rosse e, nei primi anni Novanta, da Tangentopoli. In quell’ambito, Marconi Italiana appariva come un’isola felice: all’espansione dei mercati e del fatturato, corrispondeva l’ingresso di una schiera di giovani ingegneri entusiasti che venivano sottoposti a una vera e propria “scuola” di vita e di lavoro, la scuola che Piccini aveva imparato durante gli anni difficili del dopo guerra anche grazie alla propria esperienza nella Marina Militare. All’interno, accanto all’imperativo del successo aziendale, vigeva una straordinaria pace sociale, garantita anche da una gestione del personale che consentiva ai dipendenti uno status e benefici nettamente superiori a quelli di altre aziende. Con l’uscita di Piccini da Marconi e di Weinstock da Gec, la successione interna garantì la continuità di questo eccezionale percorso per qualche tempo finchè il nuovo management inglese fece precipitare rapidamente la situazione della Gec cancellando l’autonomia dell’azienda. La Marconi Italiana divenne una risorsa sul mercato. Sono qui documentati anche i tentativi che videro ancora una volta protagonista Piccini per salvare l’azienda nel suo complesso e impedirne lo smembramento. Ma l’epoca d’oro dell’impresa che conservava il nome del grande inventore italiano era finita. Erano cambiati gli uomini e forse anche i tempi.