NICOLA FANO
LA TRAGEDIA DI ARLECCHINO
Picasso e la maschera del Novecento
Donzelli, 23/05/2012
collana "Saggine"
Parigi, Centre Pompidou, quinto piano, seconda sala a sinistra: si rimane malinconici a lungo, dopo aver fissato lo sguardo triste dell’Arlecchino seduto di Picasso. Sembra che guardi in basso, come per evitare il confronto diretto con lo spettatore, ma i suoi occhi si perdono nel vuoto. Le mani giunte sono colte dal pittore in un momento di tregua, si percepisce che Arlecchino le sta sfregando in un gesto ripetitivo e privo di ossessione: un moto automatico, un tic. Forse un modo per combattere il freddo. Non c’è rabbia in questo quadro, solo rassegnazione. A che serve più un Arlecchino dopo una guerra? Un filo nero tratteggia il costume, le pieghe delle braccia, la cinta che stringe la vita dell’attore. E un accenno di colori pastello lascia immaginare il costume e definisce il viso, lo sguardo. Poi il cappello esagerato: da Arlecchino, ma anche un po’ da torero. E nessuna maschera. La faccia di Arlecchino è nuda, come quella di un re senza più autorevolezza, un re deposto: vinto dalla luce elettrica, dalle guerre industriali, da una risata smisurata di fronte al dramma comune.
LA TRAGEDIA DI ARLECCHINO
Picasso e la maschera del Novecento
Donzelli, 23/05/2012
collana "Saggine"
Parigi, Centre Pompidou, quinto piano, seconda sala a sinistra: si rimane malinconici a lungo, dopo aver fissato lo sguardo triste dell’Arlecchino seduto di Picasso. Sembra che guardi in basso, come per evitare il confronto diretto con lo spettatore, ma i suoi occhi si perdono nel vuoto. Le mani giunte sono colte dal pittore in un momento di tregua, si percepisce che Arlecchino le sta sfregando in un gesto ripetitivo e privo di ossessione: un moto automatico, un tic. Forse un modo per combattere il freddo. Non c’è rabbia in questo quadro, solo rassegnazione. A che serve più un Arlecchino dopo una guerra? Un filo nero tratteggia il costume, le pieghe delle braccia, la cinta che stringe la vita dell’attore. E un accenno di colori pastello lascia immaginare il costume e definisce il viso, lo sguardo. Poi il cappello esagerato: da Arlecchino, ma anche un po’ da torero. E nessuna maschera. La faccia di Arlecchino è nuda, come quella di un re senza più autorevolezza, un re deposto: vinto dalla luce elettrica, dalle guerre industriali, da una risata smisurata di fronte al dramma comune.