PLAMEN DEJANOFF
THE BRONZE HOUSE
a cura di Gianfranco Maraniello
MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna
via Don Minzoni 14 – Bologna
dal 1 giugno al 9 settembre 2012
Dal 1 giugno al 9 settembre 2012 il MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna apre i suoi spazi espositivi a Plamen Dejanoff per ospitare The Bronze House, una spettacolare mostra a cura di Gianfranco Maraniello che si inserisce nel percorso di avvicinamento alla costruzione del più prezioso e imponente monumento in bronzo mai realizzato nell’arte moderna e contemporanea.
Con The Bronze House Plamen Dejanoff intraprende il progetto a lungo termine più ambizioso finora mai realizzato nel corso di una carriera orientata verso l’esplorazione dei legami tra arte e processi economici e l’indagine sul ruolo dell’artista e le sue possibilità operative nella società contemporanea, che lo ha reso una figura controversa e spiazzante, costantemente in bilico tra un’abile manipolazione di strategie estetiche mutuate da dinamiche tipiche della società tardo-capitalista globalizzata e una critica ironica quanto disincantata al sistema dell’arte.
L’artista inizia nel 2006 a delineare e sviluppare il monumentale progetto Planets of Comparison per la sua città natale Veliko Tarnovo, un affascinante centro di origine medievale che conserva ancora oggi intatte le tracce del glorioso passato di capitale del Secondo Impero Bulgaro. Nel centro della città Dejanoff acquisisce una serie di cantieri in cui prevede di costruire alcune infrastrutture in bronzo per la creazione di un centro culturale di utilizzo pubblico che comprenda una biblioteca, un cinema, un teatro, uno spazio espositivo, un laboratorio per la produzione artistica. Successivamente il suo intento originario si modifica estendendosi fino al concepimento di una impresa più ampia e complessa - in cui l’artista riveste contemporaneamente le funzioni di manager, curatore, architetto, designer e collezionista - la cui riuscita è subordinata alla compartecipazione di un network di partners internazionali tra artisti, curatori, collezionisti, musei, gallerie e case editrici.
Per raccogliere i fondi necessari all’attuazione della sua idea, Dejanoff istituisce una specifica Fondazione che promuove attraverso una meticolosa strategia di marketing.
1 Al termine del processo di completamento degli edifici, ogni casa-scultura dovrebbe essere costituita da moduli in bronzo, ognuno dei quali interamente realizzato a mano secondo principi ingegneristici high-tech: elementi della facciata e del pavimento, porte, pareti, scale e pezzi di giunzione con cui è assemblata l’intera struttura.
The Bronze House è il primo di questi interventi architettonici, veri e propri ambienti scultorei, a prendere concretamente forma in una colossale villa di oltre 600 metri quadrati destinata ad essere assemblata in Bulgaria, le cui fasi di avanzamento nel processo di costruzione vengono presentate in un percorso espositivo itinerante che ha già coinvolto alcune prestigiose istituzioni museali europee, tra cui il MUMOK Museum of Modern Art Ludwig Foundation di Vienna, il MAK Austrian Museum of Applied Arts / Contemporary Art di Vienna, il Kunstverein di Amburgo e, a seguire la tappa italiana al MAMbo, il FRAC Champagne Ardenne di Reims.
Gli straordinari volumi della Sala delle Ciminiere del Museo valorizzano la monumentalità dell’opera scultorea presentando una versione composta da circa 260 elementi che si sviluppano in verticale fino alla vertiginosa altezza di oltre 8 metri, per un peso complessivo di oltre 18 tonnellate. In essa l’artista gioca con la griglia architettonica vuota come un modello ideale, astraendo la decorazione di edifici storici nella traduzione di una struttura aperta.
La scelta di un materiale come il bronzo, di utilizzo classico nelle pratiche artistiche ma del tutto anticonvenzionale in ambito architettonico, rappresenta una sfida sia per le modalità costruttive tradizionali sia per la lavorazione dei singoli elementi, vere e proprie opere d’arte in sé solo in apparenza identici, mentre la tecnica di combinazione modulare a incastro si ispira alle trame degli elementi decorativi caratteristici delle case popolari in legno della regione, espressione di quella architettura vernacolare organica che un affascinato Le Corbusier descrive nel suo libro Viaggio in Oriente.
La ripetizione del modulo in un andamento verticale di identiche unità prende ispirazione dalla celebre Colonna Infinita realizzata nel 1938 da Costantin Brancusi, collocata nel parco pubblico della città romena di Târgu Jiu, a breve distanza dal paese nativo Hobiţa. La scultura - una costruzione in ghisa laminata alta oltre 30 metri simbolo dell’opera d’arte come totem inaccessibile, astorico e atemporale - si caratterizza per non avere né un centro né un inizio né una fine, riprendendo le antiche forme lignee dei pilastri che sorreggono le tradizionali case rumene, a simboleggiare un ideale diagramma dell’infinito.
Una seconda fonte di influenza dichiarata da Dejanoff per il concepimento dell’opera è inoltre la Chinati Foundation istituita negli anni Settanta da Donald Judd a Marfa in Texas, uno dei più spettacolari esempi al mondi di collezione di arte ambientale, dove l’artista americano stabilisce l’insediamento di una colonia di artisti per favorire la creazione di opere non compatibili con le normali strutture espositive e museali. Una sfida avventurosa analoga sembra voler intraprendere Plamen Dejanoff con la decisione di fondare un sorprendente e inaspettato microcosmo culturale in una città periferica come Veliko Tarnovo che, nonostante la rilevante importanza storica attestata dalla dichiarazione di Patrimonio Mondiale dell’Umanità da parte dell’Unesco, gode di scarsa capacità attrattiva e appare urbanisticamente immutata rispetto alla rappresentazione che Le Corbusier ne fece in alcuni disegni. Dejanoff sceglie di sperimentare qui, in un luogo periferico ragionevolmente privo di senso ai fini della costruzione di un consenso che legittimi la sua esistenza nel sistema dell’arte e della cultura contemporanee, una sofisticata azione di branding, non priva di ironia, che renda la città una meta turistica tra le più desiderabili in Bulgaria all’insegna dello slogan “Se il futuro incontra il passato”.
Il processo concettuale che porta l’artista a progettare un modello di economia politica dell’arte speculare alla società e alle convenzioni dell’arte odierne si risolve nella creazione di opera d’arte totale altamente suggestiva, che apre la riflessione su alcune questioni come i meccanismi e le finalità con cui le istituzioni museali occupano spazi ideologici, e le implicazioni che derivano quando è un artista a ospitare un museo e non viceversa.
Solo la compiuta e funzionale conclusione di questo progetto rivoluzionario potrà decretare se la scommessa di Plamen Dejanoff sulla possibilità di determinare un procedimento di creazione di un valore riconosciuto nell’attuale sistema dell’arte mondiale avrà il successo come esito finale.
Completano il percorso espositivo della mostra modelli e prototipi architettonici, plastici, schizzi, disegni e collages ad approfondire le diverse fasi di studio per la realizzazione dell’opera, oltre ad alcune opere installative che si muovono tra arte concettuale e immaginario iper-pop: giocattoli, cani, aspirapolvere, fiori, ruote, arredi contrassegnati dal marchio identitario “Dejanoff” secondo un dispositivo più tipico di un display commerciale che di un’esposizione di opere d’arte in un contesto museale.
In occasione della mostra viene pubblicato per le Edizioni MAMbo un Instant Book in versione bilingue (italiano / inglese), contenente un testo di Gianfranco Maraniello con interventi di Plamen Dejanoff, corredato da un ampio apparato iconografico.
Durante l’intero periodo di apertura della mostra il Dipartimento educativo MAMbo propone visite guidate e attività dedicate. Per info e prenotazioni: tel. +39 051 6496652 (dal lunedì al venerdì, h 10.00–13.00); tel. +39 051 6496611 (dal sabato alla domenica h 10.00- 17.00).
La mostra dedicata a Plamen Dejanoff afferisce al filone di ricerca denominato Criticism che il MAMbo porta avanti fin dal 2006, ovvero un percorso di riflessione e di indagine sulle pratiche artistiche e sulla funzione del museo contemporaneo, che ha coinvolto artisti quali Ryan Gander, Paolo Chiasera, Markus Schinwald, Giovanni Anselmo, Christopher Williams, Bojan Sarcevic, Adam Chodzko, Eva Marisaldi, Diego Perrone, Ding Yi, DeRijke\De Rooij, Guyton\Walker, Natasha Sadr Haghighian, Trisha Donnelly, Sarah Morris, Seth Price, Matthew Day Jackson e Marcel Broodthaers.
Plamen Dejanoff nasce nel 1970 a Veliko Tarnovo (Bulgaria) e attualmente vive e lavora a Vienna.
Tra le mostre personali realizzate: Galerie Emanuel Layr, Vienna (2012); Kunsthal Antwerpen (2012); Kunstverein, Amburgo (2011); Hafencity, Amburgo (2011); MAK Austrian Museum of Applied Arts / Contemporary Art di Vienna (2010); Pinksummer, Genova (2010); MNAC National Museum of Contemporary Art, Bucarest (2009); Galerie Nicola Von Senger, Zurigo (2008); Jan Winckelmann, Berlino (2007); MUMOK Museum of Modern Art Ludwig Foundation, Vienna (2006); Gallery Space, Bratislava (2005); La Salle de Bains, Lione (2004); Quarantine Series, Amsterdam (2003); Palais de Tokyo, Parigi (2002).
Lavori di Plamen Dejanoff sono stati esposti in numerose esposizioni collettive tra cui: Deutsche Geschichten, GFZK Galerie für Zeitgenössische Kunst, Lipsia (2007); Shanghai Biennale, Shanghai Art Museum, Shanghai (2006); FASTER! BIGGER! BETTER!, ZKM, Karlsruhe (2006); Who ́s to follow?, De Appel Foundation, Amsterdam (2004); 1. Prague Biennale, Praga (2003); 2. Berlin Biennale, KW, Berlino (2001); Encounters, Tokyo Opera City Art Gallery, Tokyo (2001); The Constructing of an Image/Germany, Palazzo delle Papesse, Siena (2001); Expanded Design, Salzburger Kunstverein, Salisburgo (1999); Dream City, Kunstverein München, Monaco (1999); After the Wall, Moderna Museet, Stoccolma (1999).
THE BRONZE HOUSE
a cura di Gianfranco Maraniello
MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna
via Don Minzoni 14 – Bologna
dal 1 giugno al 9 settembre 2012
Dal 1 giugno al 9 settembre 2012 il MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna apre i suoi spazi espositivi a Plamen Dejanoff per ospitare The Bronze House, una spettacolare mostra a cura di Gianfranco Maraniello che si inserisce nel percorso di avvicinamento alla costruzione del più prezioso e imponente monumento in bronzo mai realizzato nell’arte moderna e contemporanea.
Con The Bronze House Plamen Dejanoff intraprende il progetto a lungo termine più ambizioso finora mai realizzato nel corso di una carriera orientata verso l’esplorazione dei legami tra arte e processi economici e l’indagine sul ruolo dell’artista e le sue possibilità operative nella società contemporanea, che lo ha reso una figura controversa e spiazzante, costantemente in bilico tra un’abile manipolazione di strategie estetiche mutuate da dinamiche tipiche della società tardo-capitalista globalizzata e una critica ironica quanto disincantata al sistema dell’arte.
L’artista inizia nel 2006 a delineare e sviluppare il monumentale progetto Planets of Comparison per la sua città natale Veliko Tarnovo, un affascinante centro di origine medievale che conserva ancora oggi intatte le tracce del glorioso passato di capitale del Secondo Impero Bulgaro. Nel centro della città Dejanoff acquisisce una serie di cantieri in cui prevede di costruire alcune infrastrutture in bronzo per la creazione di un centro culturale di utilizzo pubblico che comprenda una biblioteca, un cinema, un teatro, uno spazio espositivo, un laboratorio per la produzione artistica. Successivamente il suo intento originario si modifica estendendosi fino al concepimento di una impresa più ampia e complessa - in cui l’artista riveste contemporaneamente le funzioni di manager, curatore, architetto, designer e collezionista - la cui riuscita è subordinata alla compartecipazione di un network di partners internazionali tra artisti, curatori, collezionisti, musei, gallerie e case editrici.
Per raccogliere i fondi necessari all’attuazione della sua idea, Dejanoff istituisce una specifica Fondazione che promuove attraverso una meticolosa strategia di marketing.
1 Al termine del processo di completamento degli edifici, ogni casa-scultura dovrebbe essere costituita da moduli in bronzo, ognuno dei quali interamente realizzato a mano secondo principi ingegneristici high-tech: elementi della facciata e del pavimento, porte, pareti, scale e pezzi di giunzione con cui è assemblata l’intera struttura.
The Bronze House è il primo di questi interventi architettonici, veri e propri ambienti scultorei, a prendere concretamente forma in una colossale villa di oltre 600 metri quadrati destinata ad essere assemblata in Bulgaria, le cui fasi di avanzamento nel processo di costruzione vengono presentate in un percorso espositivo itinerante che ha già coinvolto alcune prestigiose istituzioni museali europee, tra cui il MUMOK Museum of Modern Art Ludwig Foundation di Vienna, il MAK Austrian Museum of Applied Arts / Contemporary Art di Vienna, il Kunstverein di Amburgo e, a seguire la tappa italiana al MAMbo, il FRAC Champagne Ardenne di Reims.
Gli straordinari volumi della Sala delle Ciminiere del Museo valorizzano la monumentalità dell’opera scultorea presentando una versione composta da circa 260 elementi che si sviluppano in verticale fino alla vertiginosa altezza di oltre 8 metri, per un peso complessivo di oltre 18 tonnellate. In essa l’artista gioca con la griglia architettonica vuota come un modello ideale, astraendo la decorazione di edifici storici nella traduzione di una struttura aperta.
La scelta di un materiale come il bronzo, di utilizzo classico nelle pratiche artistiche ma del tutto anticonvenzionale in ambito architettonico, rappresenta una sfida sia per le modalità costruttive tradizionali sia per la lavorazione dei singoli elementi, vere e proprie opere d’arte in sé solo in apparenza identici, mentre la tecnica di combinazione modulare a incastro si ispira alle trame degli elementi decorativi caratteristici delle case popolari in legno della regione, espressione di quella architettura vernacolare organica che un affascinato Le Corbusier descrive nel suo libro Viaggio in Oriente.
La ripetizione del modulo in un andamento verticale di identiche unità prende ispirazione dalla celebre Colonna Infinita realizzata nel 1938 da Costantin Brancusi, collocata nel parco pubblico della città romena di Târgu Jiu, a breve distanza dal paese nativo Hobiţa. La scultura - una costruzione in ghisa laminata alta oltre 30 metri simbolo dell’opera d’arte come totem inaccessibile, astorico e atemporale - si caratterizza per non avere né un centro né un inizio né una fine, riprendendo le antiche forme lignee dei pilastri che sorreggono le tradizionali case rumene, a simboleggiare un ideale diagramma dell’infinito.
Una seconda fonte di influenza dichiarata da Dejanoff per il concepimento dell’opera è inoltre la Chinati Foundation istituita negli anni Settanta da Donald Judd a Marfa in Texas, uno dei più spettacolari esempi al mondi di collezione di arte ambientale, dove l’artista americano stabilisce l’insediamento di una colonia di artisti per favorire la creazione di opere non compatibili con le normali strutture espositive e museali. Una sfida avventurosa analoga sembra voler intraprendere Plamen Dejanoff con la decisione di fondare un sorprendente e inaspettato microcosmo culturale in una città periferica come Veliko Tarnovo che, nonostante la rilevante importanza storica attestata dalla dichiarazione di Patrimonio Mondiale dell’Umanità da parte dell’Unesco, gode di scarsa capacità attrattiva e appare urbanisticamente immutata rispetto alla rappresentazione che Le Corbusier ne fece in alcuni disegni. Dejanoff sceglie di sperimentare qui, in un luogo periferico ragionevolmente privo di senso ai fini della costruzione di un consenso che legittimi la sua esistenza nel sistema dell’arte e della cultura contemporanee, una sofisticata azione di branding, non priva di ironia, che renda la città una meta turistica tra le più desiderabili in Bulgaria all’insegna dello slogan “Se il futuro incontra il passato”.
Il processo concettuale che porta l’artista a progettare un modello di economia politica dell’arte speculare alla società e alle convenzioni dell’arte odierne si risolve nella creazione di opera d’arte totale altamente suggestiva, che apre la riflessione su alcune questioni come i meccanismi e le finalità con cui le istituzioni museali occupano spazi ideologici, e le implicazioni che derivano quando è un artista a ospitare un museo e non viceversa.
Solo la compiuta e funzionale conclusione di questo progetto rivoluzionario potrà decretare se la scommessa di Plamen Dejanoff sulla possibilità di determinare un procedimento di creazione di un valore riconosciuto nell’attuale sistema dell’arte mondiale avrà il successo come esito finale.
Completano il percorso espositivo della mostra modelli e prototipi architettonici, plastici, schizzi, disegni e collages ad approfondire le diverse fasi di studio per la realizzazione dell’opera, oltre ad alcune opere installative che si muovono tra arte concettuale e immaginario iper-pop: giocattoli, cani, aspirapolvere, fiori, ruote, arredi contrassegnati dal marchio identitario “Dejanoff” secondo un dispositivo più tipico di un display commerciale che di un’esposizione di opere d’arte in un contesto museale.
In occasione della mostra viene pubblicato per le Edizioni MAMbo un Instant Book in versione bilingue (italiano / inglese), contenente un testo di Gianfranco Maraniello con interventi di Plamen Dejanoff, corredato da un ampio apparato iconografico.
Durante l’intero periodo di apertura della mostra il Dipartimento educativo MAMbo propone visite guidate e attività dedicate. Per info e prenotazioni: tel. +39 051 6496652 (dal lunedì al venerdì, h 10.00–13.00); tel. +39 051 6496611 (dal sabato alla domenica h 10.00- 17.00).
La mostra dedicata a Plamen Dejanoff afferisce al filone di ricerca denominato Criticism che il MAMbo porta avanti fin dal 2006, ovvero un percorso di riflessione e di indagine sulle pratiche artistiche e sulla funzione del museo contemporaneo, che ha coinvolto artisti quali Ryan Gander, Paolo Chiasera, Markus Schinwald, Giovanni Anselmo, Christopher Williams, Bojan Sarcevic, Adam Chodzko, Eva Marisaldi, Diego Perrone, Ding Yi, DeRijke\De Rooij, Guyton\Walker, Natasha Sadr Haghighian, Trisha Donnelly, Sarah Morris, Seth Price, Matthew Day Jackson e Marcel Broodthaers.
Plamen Dejanoff nasce nel 1970 a Veliko Tarnovo (Bulgaria) e attualmente vive e lavora a Vienna.
Tra le mostre personali realizzate: Galerie Emanuel Layr, Vienna (2012); Kunsthal Antwerpen (2012); Kunstverein, Amburgo (2011); Hafencity, Amburgo (2011); MAK Austrian Museum of Applied Arts / Contemporary Art di Vienna (2010); Pinksummer, Genova (2010); MNAC National Museum of Contemporary Art, Bucarest (2009); Galerie Nicola Von Senger, Zurigo (2008); Jan Winckelmann, Berlino (2007); MUMOK Museum of Modern Art Ludwig Foundation, Vienna (2006); Gallery Space, Bratislava (2005); La Salle de Bains, Lione (2004); Quarantine Series, Amsterdam (2003); Palais de Tokyo, Parigi (2002).
Lavori di Plamen Dejanoff sono stati esposti in numerose esposizioni collettive tra cui: Deutsche Geschichten, GFZK Galerie für Zeitgenössische Kunst, Lipsia (2007); Shanghai Biennale, Shanghai Art Museum, Shanghai (2006); FASTER! BIGGER! BETTER!, ZKM, Karlsruhe (2006); Who ́s to follow?, De Appel Foundation, Amsterdam (2004); 1. Prague Biennale, Praga (2003); 2. Berlin Biennale, KW, Berlino (2001); Encounters, Tokyo Opera City Art Gallery, Tokyo (2001); The Constructing of an Image/Germany, Palazzo delle Papesse, Siena (2001); Expanded Design, Salzburger Kunstverein, Salisburgo (1999); Dream City, Kunstverein München, Monaco (1999); After the Wall, Moderna Museet, Stoccolma (1999).