EMBLEMA
e i protagoniosti dell'informale italiano
a cura di Andrea Barretta
Galleria ab/arte
vicolo San Nicola 6 - Brescia
20/6/2015 - 3/10/2015
Da un omaggio a Salvatore Emblema si snoda la mostra retrospettiva attraverso il gesto, il segno e la materia con i protagonisti e gli interpreti dell’informale in Italia: Carla Accardi, Enrico Baj, Giuseppe Capogrossi, Pietro Consagra, Antonio Corpora, Gianni Dova, Pompilio Mandelli, Ennio Morlotti, Giuseppe Santomaso, Emilio Scanavino, Emilio Vedova, Cesare Zavattini. L’opportunità è quella di un dialogo nel confronto tra un’esperienza artistica del secondo dopoguerra e il dibattito attuale che coinvolge la contemporaneità consapevole della crisi del “quadro” nella cultura che cerca di riannodare la continuità.
Figura artistica di grande originalità per il suo tempo, capace di coniugare l’osmosi tra spazialismo e informale, tra astratto ed espressionismo, Salvatore Emblema (1929 - 2006) già nel 1948 pensava alla tela non come superficie ma volume, quando eseguiva collage usando foglie disseccate o seguiva le ricerche materiche con l’impiego di pietre e minerali raccolti alle falde del Vesuvio. L’artista napoletano, nato a Terzigno, conosciuto per le sue opere realizzate su tela di sacco che gli decretano il successo negli anni Sessanta, con frequentazioni romane in ambienti artistici e letterari, da Carlo Levi a Ugo Moretti, tiene la prima personale proprio a Roma nel 1956, ed entra nel mondo del cinema, collaborando con Fellini, e della moda disegnando tessuti per lo stilista Schubert. Poi approda negli Stati Uniti grazie al miliardario Rockefeller per quanto gli aveva acquistato nel 1965 in una galleria d’arte, e qui entra in contatto con Mark Rothko che lo influenzerà nell’approfondire le trasparenze, e con Jackson Pollock del quale terrà conto del gesto creativo libero. Oltreoceano, altresì, incrocia i maggiori esponenti delle correnti artistiche dell’epoca, ovvero gli espressionisti astratti, e conosce il critico d’arte Giulio Carlo Argan che apprezza la sua arte e resterà per sempre al suo fianco tanto da determinarne la scelta artistica futura di “detessere”la tela di juta al fine di esaudire l’idea di “far vivere lo spazio dietro la tela”, giacché gli aveva raccontato dell’esperienza spazialista di Lucio Fontana, ma anche per il vivere in prima persona la sperimentazione di Burri e Castellani.
Tornato definitivamente in Italia, dopo altri viaggi e altre presenze in Francia e in Inghilterra, esporrà alla Biennale di Venezia, agli Uffizi di Firenze, al Palazzo Reale di Napoli, e sue opere sono alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, al Boijmans Museum di Rotterdam, nella Collezione Agnelli di Torino, nei Musei Vaticani. Si terrà, però, distante e affrancato da ogni schema o gruppo o movimento del Novecento affermando uno stile che connoterà la sua identità artistica riconosciuta dal Metropolitan Museum di New York che gli allestisce una grande mostra nel 1982 e acquisirà cinque sue opere.
Coeso alle ragioni spaziali, di cui la sottrazione di fili all’ordito dei sacchi di juta - usati come tele - consentiva di avere una prospettiva di attraversamento capace di rivelare un “oltre” che determinerà la sua forte personalità artistica ed esistenziale, sicuramente ancora non del tutto sviscerata nel passaggio critico che riteniamo debba essere anche intellettuale proprio per quelle consistenze temporali introducibili nel fruire della storia di una pittura fatta di materia, di varchi dal tratto ancora difficilmente classificabile nell’indirizzo complessivo di una linea inizialmente espressionista e poi astratto informale.
Intuizioni che si sostanziano nella memoria prima che nei sensi e prendono corpo nel colore denso al centro della composizione, a ricomporre dopo aver decostruito l’idea iniziale di natura rivelatrice di una sensibilità materica condivisibile con Antoni Tapiès e Robert Rauschenberg, e anticipatrice per certi versi dell’Arte Povera. Non solo. Salvatore Emblema, dopo aver vissuto le avanguardie internazionali, interpreta l’informale italiano per poi distaccarsene in un personale infinito da approfondire, come se astratto e concreto scoprissero una forma mentis tra intrecci nell’azione che torni alla relazione di rifiuto del concetto di forma.
e i protagoniosti dell'informale italiano
a cura di Andrea Barretta
Galleria ab/arte
vicolo San Nicola 6 - Brescia
20/6/2015 - 3/10/2015
Da un omaggio a Salvatore Emblema si snoda la mostra retrospettiva attraverso il gesto, il segno e la materia con i protagonisti e gli interpreti dell’informale in Italia: Carla Accardi, Enrico Baj, Giuseppe Capogrossi, Pietro Consagra, Antonio Corpora, Gianni Dova, Pompilio Mandelli, Ennio Morlotti, Giuseppe Santomaso, Emilio Scanavino, Emilio Vedova, Cesare Zavattini. L’opportunità è quella di un dialogo nel confronto tra un’esperienza artistica del secondo dopoguerra e il dibattito attuale che coinvolge la contemporaneità consapevole della crisi del “quadro” nella cultura che cerca di riannodare la continuità.
Figura artistica di grande originalità per il suo tempo, capace di coniugare l’osmosi tra spazialismo e informale, tra astratto ed espressionismo, Salvatore Emblema (1929 - 2006) già nel 1948 pensava alla tela non come superficie ma volume, quando eseguiva collage usando foglie disseccate o seguiva le ricerche materiche con l’impiego di pietre e minerali raccolti alle falde del Vesuvio. L’artista napoletano, nato a Terzigno, conosciuto per le sue opere realizzate su tela di sacco che gli decretano il successo negli anni Sessanta, con frequentazioni romane in ambienti artistici e letterari, da Carlo Levi a Ugo Moretti, tiene la prima personale proprio a Roma nel 1956, ed entra nel mondo del cinema, collaborando con Fellini, e della moda disegnando tessuti per lo stilista Schubert. Poi approda negli Stati Uniti grazie al miliardario Rockefeller per quanto gli aveva acquistato nel 1965 in una galleria d’arte, e qui entra in contatto con Mark Rothko che lo influenzerà nell’approfondire le trasparenze, e con Jackson Pollock del quale terrà conto del gesto creativo libero. Oltreoceano, altresì, incrocia i maggiori esponenti delle correnti artistiche dell’epoca, ovvero gli espressionisti astratti, e conosce il critico d’arte Giulio Carlo Argan che apprezza la sua arte e resterà per sempre al suo fianco tanto da determinarne la scelta artistica futura di “detessere”la tela di juta al fine di esaudire l’idea di “far vivere lo spazio dietro la tela”, giacché gli aveva raccontato dell’esperienza spazialista di Lucio Fontana, ma anche per il vivere in prima persona la sperimentazione di Burri e Castellani.
Tornato definitivamente in Italia, dopo altri viaggi e altre presenze in Francia e in Inghilterra, esporrà alla Biennale di Venezia, agli Uffizi di Firenze, al Palazzo Reale di Napoli, e sue opere sono alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, al Boijmans Museum di Rotterdam, nella Collezione Agnelli di Torino, nei Musei Vaticani. Si terrà, però, distante e affrancato da ogni schema o gruppo o movimento del Novecento affermando uno stile che connoterà la sua identità artistica riconosciuta dal Metropolitan Museum di New York che gli allestisce una grande mostra nel 1982 e acquisirà cinque sue opere.
Coeso alle ragioni spaziali, di cui la sottrazione di fili all’ordito dei sacchi di juta - usati come tele - consentiva di avere una prospettiva di attraversamento capace di rivelare un “oltre” che determinerà la sua forte personalità artistica ed esistenziale, sicuramente ancora non del tutto sviscerata nel passaggio critico che riteniamo debba essere anche intellettuale proprio per quelle consistenze temporali introducibili nel fruire della storia di una pittura fatta di materia, di varchi dal tratto ancora difficilmente classificabile nell’indirizzo complessivo di una linea inizialmente espressionista e poi astratto informale.
Intuizioni che si sostanziano nella memoria prima che nei sensi e prendono corpo nel colore denso al centro della composizione, a ricomporre dopo aver decostruito l’idea iniziale di natura rivelatrice di una sensibilità materica condivisibile con Antoni Tapiès e Robert Rauschenberg, e anticipatrice per certi versi dell’Arte Povera. Non solo. Salvatore Emblema, dopo aver vissuto le avanguardie internazionali, interpreta l’informale italiano per poi distaccarsene in un personale infinito da approfondire, come se astratto e concreto scoprissero una forma mentis tra intrecci nell’azione che torni alla relazione di rifiuto del concetto di forma.