RITRATTI DI CITTÀ / URBAN
SCENERIES
a cura di Flaminio Gualdoni
Villa Olmo
via Cantoni 1 - Como
dal 28/6/2014 al 16/11/2014
In tema di città, l’arte italiana giunge all’‘800 in una sorta di attardamento: in una storia artistica fatta principalmente di paesaggi bucolici, le vedute urbane sono teatro architettonico, oppure presepe, tra echi di visione esatta e scena pittoresca.
A tutti gli effetti in Italia un’idea di città latita nella cultura artistica nostrana sino al ‘900 pieno.
Questo accade anche perché al tempo in Italia è la città stessa a mancare. Mentre Parigi e Londra sono già “città Europee”, una Milano e una Roma sono tuttalpiù annidamenti al margine delle campagne
È prima di tutti il Futurismo a percepire questo vuoto e infatti per poter rappresentare la città sente di doverla prima ancora inventare. Lo si legge anche nel Manifesto del 1909 “la città sarà un concentrato dinamico di forze vitali, che aggrediscono il paesaggio …” . Questi sono pensieri di quello che dev’essere prima ancora che raffigurazioni di quello che è.
E così, nel tendersi delle energie ad un tempo sociali ed artistiche, la città dei pittori diventa l’invenzione di un vero e proprio genere.
Ed è da qui che prende avvio l’adozione della città come soggetto e oggetto d’arte: luogo di progettazione architettonica e sociale ma anche di rappresentazione. E luogo dell’anima. Per chi si esprime attraverso la pittura innanzitutto e poi, negli anni a venire e sempre più, attraverso la fotografia.
Ma non può essere altrimenti..
“Sia che si tratti di architettura, di monumenti classici, di edifici moderni e contemporanei, di paesaggi, di ampie vedute panoramiche o di periferie urbane, il rapporto con lo spazio è stato e continua a essere un’esperienza insostituibile dello sguardo per costruire l’immagine che lo interpreta e che lo rappresenta”, ha affermato Basilico.
Lo spazio è lì, da vedere e da vivere, e la città ne è innegabile parte.
Diventa poi una questione di sguardo, di capacità di avvertire e restituire una visione della complessità, propria e di quanto ci circonda.
Ecco allora, in un amplissimo spettro di stili e rappresentazioni, tra atteggiamenti lucidamente analitici, trasognamenti visionari e disagi esistenziali variamente rappresentati, i ritratti di città raccontare la vita per tutto il 900 fino a oggi.
Percorso:
Futurismi
Il futurismo vagheggia la città moderna proiettata in un futuro in cui la tecnologia, la funzionalità, l’accelerazione configurano un universo totalmente innaturale e meccanico; quella di Boccioni e compagni è però un’utopia, un sogno estetico cui si contrappone una realtà completamente diversa poiché lo scenario italiano è fatto di luoghi monumentali, di un’eredità storica non evitabile. I futuristi scelgono di assumere a soggetto principe due aspetti della nuova città che va nascendo: l’espandersi delle periferie, l’aggregarsi umano e l’energia sprigionata dalla vita cittadina.
Lo sguardo metafisico
La pittura metafisica agisce come una sorta di trasognamento classico non negando, come vogliono i futuristi, la monumentalità classica della città, ma accelerandola sino a un punto di straniamento definitivo per questo anche lo sguardo metafisico, è innaturale. Anzi, la sua astrazione è intellettuale più che pittorica, e comporta un grado di suggestione psicologica che coglie ancor più in profondità il senso controverso – da un lato umanissimo, dall’altro fondamentalmente ostile – della città. L’uomo è espulso dalla realtà , costretto a vivere un senso di smarrimento ben più forte di quanto possa mai produrre il turbamento di fronte alla grandezza della natura.
Altri futurismi
Tra gli artisti italiani Fortunato Depero, “astrattista futurista” per sua stessa definizione, è colui che, sin dalla fine degli anni ’20, ha esperienza diretta della metropoli vagheggiata dal futurismo. L’incontro con New York gli offre l’immagine di una nuova Babele in cui il senso della simultaneità, del movimento, della bellezza ansiogena e mai stabilmente afferrabile è cresciuta come luogo fisico. La stagione matura del futurismo è segnata dall’attività di Depero, e da quella di autori che a vario titolo immaginano la città come meccanismo immenso e incombente, cui si addicono modi di vedere e di rappresentare diversi dai codici tradizionali. Il tentativo dell’aeropittura fa sì che la città diventi una visione totale e inafferrabile, apologia perfetta del dinamismo e dell’idea ottimistica di modernità.
Paesaggi in città
Naturalmente non tutto, nell’arte italiana del ‘900, s’intende come superamento della grande tradizione.
Nel caso di un autore come Rosai si assiste addirittura a un percorso apertamente antimoderno, che all’intellettualismo dell’arte colta contrappone una pittura apertamente popolaresca nei temi e nella trattazione, orgogliosa di calarsi in un passato che gli antichi muri cittadini senza nobiltà incarnano perfettamente.
De Pisis fissa impressioni fugaci e dirette, memori della levità settecentesca, in schegge visive trepide e antiintellettualistiche; Bucci torna alla scena urbana d’umore impressionista cara al secondo ‘800 francese.
Persino Balla, nume del futurismo, nella sua tarda maturità ritrova gli accenti delle sue dolenti visioni prefuturiste. Guttuso, si orientano verso una ripresa in altri modi della visione tradizionale, che nutrono di eccitazioni espressioniste in cui si perde ogni descrittività in nome di un sentimento complesso ma teso, non esente da un preciso atteggiamento etico, nei confronti della città moderna.
Geometrie urbane e nuove metafisiche
L’astrazione geometrica si afferma in Italia negli anni ’30 grazie al pionierismo e alle aperture internazionali del gruppo comasco, in seno a Galli, e di quello milanese, che ha tra i suoi protagonisti Soldati.
L’idea di città rimane centrale, così come lo stringersi naturale di rapporti con la cultura architettonica. L’abolizione del vincolo della somiglianza ha rappresentato uno dei passaggi più ardui dell’arte novecentesca tutta, la quale proprio nel nitore delle linee e dei volumi della visione urbana ha spesso identificato, come nel caso di Davico, il trait d’union tra autonoma essenzialità dell’immagine e realtà sensibile.
Il grande trittico di Fiume, con i suoi riferimenti espliciti al ‘400 e alle città ideali, offre al dibattito artistico uno spunto di notevole spessore, che purtroppo non avrà un vero e proprio seguito.
Scultura, Architettura, Luogo
Alla conclusione della stagione informale l’immagine della città torna a farsi strada a vari livelli, in un dibattito che si sviluppa sino agli anni ’80.
Le nuove dimensioni della scultura si impegna a recuperare la sua identità originaria, forma autonoma e non più orprllo architettonico.
L’idea del luogo urbano si fa scena d’umore surreale (Cavaliere), vera e propria plastica architettante (Pomodoro), memoria distillata della proporzione antica (Uncini) o ancora simbolo eticamente engagé delle condizioni d’esistenza (Spagnulo). Somaini, dal canto suo, tenta esperienze di vera e propria integrazione delle arti, immaginando una scultura che operi come reagente estetico del contesto architettonico.
Gli artisti che si identificano con la nuova visione pop e con le esperienze dell’arte povera ne fanno il luogo naturale delle proprie esplorazioni, da Rotella a Schifano, da Adami a Tadini – il quale per altro verso recupera con finezza intellettuale le memorie del meccanicismo futurista – a Merz.
Icone e Iconografie
Un contributo fondamentale all’iconografia della città contemporanea è offerto naturalmente dalla fotografia, che da un ruolo squisitamente documentario matura sino ad assumere quello di strumento d’indagine e di creazione tout court.
La generazione più storicha ( Berengo Gardin e di Fontana) propone una sorta di reportage quasi saggistico della città. Sono gli autori più giovani come Ghirri e Basilico a fare della fotografia uno strumento di indagine critica specifica.
In seguito la ricerca fotografica entra a pieno titolo nel dibattito artistico.
Visioni urbane
In seno alle ultime generazioni si assiste all’assunzione del ritratto di città come di un vero e proprio genere artistico, affine e per altri versi alternativo al paesaggio. Rappresentare scene urbane è ormai tener conto di un immaginario nutrito di cinema, fotografia, letteratura, oltre che arte, non omogeneo e spesso ambiguo. Per parlare di città bisogna rimettere in gioco la miriade di immagini di città che hanno contribuito a costituire la nostra coscienza, non solo visiva.
Di un atteggiamento più legato alla condizione esistenziale del vivere la città, sono protagonisti autori come Velasco, Galliano, Cestari, mentre altri, come Chiesi, Petrus e Guaitamacchi si concentrano sull’effetto di straniamento visivo e poetico di una scena urbana la cui ultima eco è ancora metafisica.
Immagine: Francesco Somaini
a cura di Flaminio Gualdoni
Villa Olmo
via Cantoni 1 - Como
dal 28/6/2014 al 16/11/2014
In tema di città, l’arte italiana giunge all’‘800 in una sorta di attardamento: in una storia artistica fatta principalmente di paesaggi bucolici, le vedute urbane sono teatro architettonico, oppure presepe, tra echi di visione esatta e scena pittoresca.
A tutti gli effetti in Italia un’idea di città latita nella cultura artistica nostrana sino al ‘900 pieno.
Questo accade anche perché al tempo in Italia è la città stessa a mancare. Mentre Parigi e Londra sono già “città Europee”, una Milano e una Roma sono tuttalpiù annidamenti al margine delle campagne
È prima di tutti il Futurismo a percepire questo vuoto e infatti per poter rappresentare la città sente di doverla prima ancora inventare. Lo si legge anche nel Manifesto del 1909 “la città sarà un concentrato dinamico di forze vitali, che aggrediscono il paesaggio …” . Questi sono pensieri di quello che dev’essere prima ancora che raffigurazioni di quello che è.
E così, nel tendersi delle energie ad un tempo sociali ed artistiche, la città dei pittori diventa l’invenzione di un vero e proprio genere.
Ed è da qui che prende avvio l’adozione della città come soggetto e oggetto d’arte: luogo di progettazione architettonica e sociale ma anche di rappresentazione. E luogo dell’anima. Per chi si esprime attraverso la pittura innanzitutto e poi, negli anni a venire e sempre più, attraverso la fotografia.
Ma non può essere altrimenti..
“Sia che si tratti di architettura, di monumenti classici, di edifici moderni e contemporanei, di paesaggi, di ampie vedute panoramiche o di periferie urbane, il rapporto con lo spazio è stato e continua a essere un’esperienza insostituibile dello sguardo per costruire l’immagine che lo interpreta e che lo rappresenta”, ha affermato Basilico.
Lo spazio è lì, da vedere e da vivere, e la città ne è innegabile parte.
Diventa poi una questione di sguardo, di capacità di avvertire e restituire una visione della complessità, propria e di quanto ci circonda.
Ecco allora, in un amplissimo spettro di stili e rappresentazioni, tra atteggiamenti lucidamente analitici, trasognamenti visionari e disagi esistenziali variamente rappresentati, i ritratti di città raccontare la vita per tutto il 900 fino a oggi.
Percorso:
Futurismi
Il futurismo vagheggia la città moderna proiettata in un futuro in cui la tecnologia, la funzionalità, l’accelerazione configurano un universo totalmente innaturale e meccanico; quella di Boccioni e compagni è però un’utopia, un sogno estetico cui si contrappone una realtà completamente diversa poiché lo scenario italiano è fatto di luoghi monumentali, di un’eredità storica non evitabile. I futuristi scelgono di assumere a soggetto principe due aspetti della nuova città che va nascendo: l’espandersi delle periferie, l’aggregarsi umano e l’energia sprigionata dalla vita cittadina.
Lo sguardo metafisico
La pittura metafisica agisce come una sorta di trasognamento classico non negando, come vogliono i futuristi, la monumentalità classica della città, ma accelerandola sino a un punto di straniamento definitivo per questo anche lo sguardo metafisico, è innaturale. Anzi, la sua astrazione è intellettuale più che pittorica, e comporta un grado di suggestione psicologica che coglie ancor più in profondità il senso controverso – da un lato umanissimo, dall’altro fondamentalmente ostile – della città. L’uomo è espulso dalla realtà , costretto a vivere un senso di smarrimento ben più forte di quanto possa mai produrre il turbamento di fronte alla grandezza della natura.
Altri futurismi
Tra gli artisti italiani Fortunato Depero, “astrattista futurista” per sua stessa definizione, è colui che, sin dalla fine degli anni ’20, ha esperienza diretta della metropoli vagheggiata dal futurismo. L’incontro con New York gli offre l’immagine di una nuova Babele in cui il senso della simultaneità, del movimento, della bellezza ansiogena e mai stabilmente afferrabile è cresciuta come luogo fisico. La stagione matura del futurismo è segnata dall’attività di Depero, e da quella di autori che a vario titolo immaginano la città come meccanismo immenso e incombente, cui si addicono modi di vedere e di rappresentare diversi dai codici tradizionali. Il tentativo dell’aeropittura fa sì che la città diventi una visione totale e inafferrabile, apologia perfetta del dinamismo e dell’idea ottimistica di modernità.
Paesaggi in città
Naturalmente non tutto, nell’arte italiana del ‘900, s’intende come superamento della grande tradizione.
Nel caso di un autore come Rosai si assiste addirittura a un percorso apertamente antimoderno, che all’intellettualismo dell’arte colta contrappone una pittura apertamente popolaresca nei temi e nella trattazione, orgogliosa di calarsi in un passato che gli antichi muri cittadini senza nobiltà incarnano perfettamente.
De Pisis fissa impressioni fugaci e dirette, memori della levità settecentesca, in schegge visive trepide e antiintellettualistiche; Bucci torna alla scena urbana d’umore impressionista cara al secondo ‘800 francese.
Persino Balla, nume del futurismo, nella sua tarda maturità ritrova gli accenti delle sue dolenti visioni prefuturiste. Guttuso, si orientano verso una ripresa in altri modi della visione tradizionale, che nutrono di eccitazioni espressioniste in cui si perde ogni descrittività in nome di un sentimento complesso ma teso, non esente da un preciso atteggiamento etico, nei confronti della città moderna.
Geometrie urbane e nuove metafisiche
L’astrazione geometrica si afferma in Italia negli anni ’30 grazie al pionierismo e alle aperture internazionali del gruppo comasco, in seno a Galli, e di quello milanese, che ha tra i suoi protagonisti Soldati.
L’idea di città rimane centrale, così come lo stringersi naturale di rapporti con la cultura architettonica. L’abolizione del vincolo della somiglianza ha rappresentato uno dei passaggi più ardui dell’arte novecentesca tutta, la quale proprio nel nitore delle linee e dei volumi della visione urbana ha spesso identificato, come nel caso di Davico, il trait d’union tra autonoma essenzialità dell’immagine e realtà sensibile.
Il grande trittico di Fiume, con i suoi riferimenti espliciti al ‘400 e alle città ideali, offre al dibattito artistico uno spunto di notevole spessore, che purtroppo non avrà un vero e proprio seguito.
Scultura, Architettura, Luogo
Alla conclusione della stagione informale l’immagine della città torna a farsi strada a vari livelli, in un dibattito che si sviluppa sino agli anni ’80.
Le nuove dimensioni della scultura si impegna a recuperare la sua identità originaria, forma autonoma e non più orprllo architettonico.
L’idea del luogo urbano si fa scena d’umore surreale (Cavaliere), vera e propria plastica architettante (Pomodoro), memoria distillata della proporzione antica (Uncini) o ancora simbolo eticamente engagé delle condizioni d’esistenza (Spagnulo). Somaini, dal canto suo, tenta esperienze di vera e propria integrazione delle arti, immaginando una scultura che operi come reagente estetico del contesto architettonico.
Gli artisti che si identificano con la nuova visione pop e con le esperienze dell’arte povera ne fanno il luogo naturale delle proprie esplorazioni, da Rotella a Schifano, da Adami a Tadini – il quale per altro verso recupera con finezza intellettuale le memorie del meccanicismo futurista – a Merz.
Icone e Iconografie
Un contributo fondamentale all’iconografia della città contemporanea è offerto naturalmente dalla fotografia, che da un ruolo squisitamente documentario matura sino ad assumere quello di strumento d’indagine e di creazione tout court.
La generazione più storicha ( Berengo Gardin e di Fontana) propone una sorta di reportage quasi saggistico della città. Sono gli autori più giovani come Ghirri e Basilico a fare della fotografia uno strumento di indagine critica specifica.
In seguito la ricerca fotografica entra a pieno titolo nel dibattito artistico.
Visioni urbane
In seno alle ultime generazioni si assiste all’assunzione del ritratto di città come di un vero e proprio genere artistico, affine e per altri versi alternativo al paesaggio. Rappresentare scene urbane è ormai tener conto di un immaginario nutrito di cinema, fotografia, letteratura, oltre che arte, non omogeneo e spesso ambiguo. Per parlare di città bisogna rimettere in gioco la miriade di immagini di città che hanno contribuito a costituire la nostra coscienza, non solo visiva.
Di un atteggiamento più legato alla condizione esistenziale del vivere la città, sono protagonisti autori come Velasco, Galliano, Cestari, mentre altri, come Chiesi, Petrus e Guaitamacchi si concentrano sull’effetto di straniamento visivo e poetico di una scena urbana la cui ultima eco è ancora metafisica.
Immagine: Francesco Somaini