MARIO ERCOLANI - LUCETTA FRISA
IL MURO DOVE VOLANO GLI UCCELLI
L'arcolaio, gennaio 2014
collana "Prose"
Si tratta di un’indagine, o meglio: di un vero e proprio viaggio nel paesaggio materiale, organico, della creazione, in quel territorio dove i gesti, gli impulsi, i respiri, l’eccitazione dei nervi e il dolore, le pieghe della carne e le sue contrazioni si traducono in atto creativo, al di qua del senso, dell’ordine che esso sempre comunque impone: necessario, utile, plurivoco, ma sempre secondo, ulteriore, anche quando si volge indietro e rimonta a prima, cercando di attingere il prima del prima. Un itinerario che va indietro nel tempo, alle grotte con i primi graffiti, ai primi segni – le impronte delle mani e figure di animali – e a prima dei segni, quando un segno è solo traccia, graffio animale, scarabocchio, pura grafia, gesto che traccia e ancora non è finito, segmento di nessun insieme: non ancora nel gioco delle differenze che lo spossessano di se stesso fissandolo in un’identità ripetibile e differenziata, ma appunto per questo, infine, visibile, riconoscibile, con il capo fuori dall’informe. Ma un’indagine che risale anche al momento prima che il gesto cominci: all’agitazione, al brulicare delle viscere, allo sguardo che fibrilla e alle sensazioni in eruzione prima del pensiero, dove ancora nessuno può dire io. Così anche il loro sguardo, la loro capacità di lasciare che l’occhio si incendi e la scossa passi nei sensi e nell’immaginazione, le analogie, i nessi e le nuove immagini che ne vengono prodotte sono meno un percorso emotivo personale o mappe culturali, che pure a me piacciono moltissimo, che l’affioramento di parentele, affinità e scambi senza proprietario che legano nello stesso vincolo, in una visione comune, chi guarda e le trova e chi le riceve e trasforma e rilancia. ()Luigi Grazioli, dalla Prefazione)
IL MURO DOVE VOLANO GLI UCCELLI
L'arcolaio, gennaio 2014
collana "Prose"
Si tratta di un’indagine, o meglio: di un vero e proprio viaggio nel paesaggio materiale, organico, della creazione, in quel territorio dove i gesti, gli impulsi, i respiri, l’eccitazione dei nervi e il dolore, le pieghe della carne e le sue contrazioni si traducono in atto creativo, al di qua del senso, dell’ordine che esso sempre comunque impone: necessario, utile, plurivoco, ma sempre secondo, ulteriore, anche quando si volge indietro e rimonta a prima, cercando di attingere il prima del prima. Un itinerario che va indietro nel tempo, alle grotte con i primi graffiti, ai primi segni – le impronte delle mani e figure di animali – e a prima dei segni, quando un segno è solo traccia, graffio animale, scarabocchio, pura grafia, gesto che traccia e ancora non è finito, segmento di nessun insieme: non ancora nel gioco delle differenze che lo spossessano di se stesso fissandolo in un’identità ripetibile e differenziata, ma appunto per questo, infine, visibile, riconoscibile, con il capo fuori dall’informe. Ma un’indagine che risale anche al momento prima che il gesto cominci: all’agitazione, al brulicare delle viscere, allo sguardo che fibrilla e alle sensazioni in eruzione prima del pensiero, dove ancora nessuno può dire io. Così anche il loro sguardo, la loro capacità di lasciare che l’occhio si incendi e la scossa passi nei sensi e nell’immaginazione, le analogie, i nessi e le nuove immagini che ne vengono prodotte sono meno un percorso emotivo personale o mappe culturali, che pure a me piacciono moltissimo, che l’affioramento di parentele, affinità e scambi senza proprietario che legano nello stesso vincolo, in una visione comune, chi guarda e le trova e chi le riceve e trasforma e rilancia. ()Luigi Grazioli, dalla Prefazione)