giovedì 11 luglio 2013

AMORE E PSICHE - PALAZZO TE, MANTOVA


AMORE E PSICHE
a cura di Elena Fontanella
Palazzo Te e San Sebastiano
viale Te, Mantova
dal 12/7/2013 al 3/9/2013

L’esposizione propone un itinerario storico e artistico fra gli aspetti simbolici e archetipici del mito di Amore e Psiche, attraverso l’accostamento di reperti archeologici della Magna Grecia e dell’età imperiale romana a opere classiche e contemporanee: da Tintoretto a Canova, da Auguste Rodin a Fabrizio Plessi, da Salvador Dalì ad Alfredo Pirri. Un itinerario che si apre idealmente proprio con ’Amore e Psiche’, il capolavoro di Giulio Romano conservato nella residenza gonzaghesca.
Dal 13 luglio al 3 novembre 2013, Mantova ospita a Palazzo Te e Palazzo San Sebastiano la mostra Amore e Psiche - La favola dell’anima: un itinerario storico e artistico fra gli aspetti simbolici e archetipici dell’antico mito di Amore e Psiche, ripreso da Apuleio nel II secolo d.C.. Il racconto narra le vicende di Psiche, mortale dalla bellezza eguale a Venere, che diventa sposa di Amore senza mai poterne vedere il viso. Una notte, istigata dalle invidiose sorelle, riesce a scoprirne il volto ma viene immediatamente abbandonata dal dio. Psiche dovrà quindi affrontare una serie di prove, al termine delle quali otterrà l'immortalità e potrà ricongiungersi allo sposo.
L’esposizione - curata da Elena Fontanella, organizzata dalla Fondazione DNArt, promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali e alla Promozione Turistica del Comune di Mantova - presenta reperti archeologici della Magna Grecia e dell’età imperiale romana del IV e V secolo a.C., provenienti dai Musei Capitolini di Roma, dal Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria e da altre importanti istituzioni pubbliche. Ad essi vengono accostate opere d’arte classiche (statue e dipinti di maestri quali Tintoretto, Antonio Canova, Auguste Rodin, Salvador Dalì, Tamara de Lempicka e altri) per giungere infine alla contemporaneità con le installazioni di Fabrizio Plessi, allestita nella Sala dei Giganti, e di Alfredo Pirri. Quest’ultimo per l’occasione ha realizzato Passi, un’opera che, sul pavimento della Camera di Amore e Psiche, vede posata un’ampia superficie specchiante in grado di riflettere il soffitto, al centro della quale è posta la Venere italica di Antonio Canova.
“Siamo felici della collaborazione con la Fondazione DNArt - afferma Marco Tonelli, Assessore alle Politiche Culturali e alla Promozione Turistica del Comune di Mantova - perché ci dà l’occasione di realizzare a Mantova una mostra unica. Con l’esposizione di Palazzo Te, infatti, il percorso di Amore e Psiche si arricchisce di un’opera straordinaria e inamovibile: l’affresco della Camera di Amore e Psiche, con i suoi ventidue passi affrescati da Giulio Romano, grande rivale di Raffaello”.

Amore e Psiche. La favola dell’anima si basa sull’interpretazione del mito in chiave neoplatonica che venne data nell’Umanesimo, per la quale l’errore di Psiche consiste nel ritenere il divino come una realtà tangibile e verificabile con i sensi, mentre è solo il cuore che può percepirne pienamente la presenza. “La vita attuale - dichiara la curatrice della mostra Elena Fontanella - nega spesso all’uomo gli spazi del sacro. Caoticamente travolti dall’esistenza, siamo impreparati ad affrontare le immense traversate interiori, fatte di vuoti e silenzi, che la vita ci mette davanti. Grazie all’aiuto di una delle favole più belle sull’amore, sulla morte e sulla vita, vogliamo accompagnare il visitatore in questi sentieri dell’anima, sfruttando le immagini artistiche che, nei millenni, si sono ispirate a questa storia”.
Due sono le sezioni; la prima, al tempio di San Sebastiano, realizzato su progetto di Leon Battista Alberti, accoglie quella dedicata interamente all’archeologia. Quella a Palazzo Te segue le diverse fasi del racconto di Apuleio - dalla passione alla serenità raggiunta attraverso la speranza - e si apre idealmente dalla Camera di Amore e Psiche, capolavoro affrescato da Giulio Romano conservato proprio nella residenza gonzaghesca.
Il racconto e il percorso espositivo prendono entrambi le mosse dalla rivalità nel nome della bellezza. Psiche, nuova Afrodite terrestre, crea inconsapevolmente un sovvertimento dell’ordine cosmico che mette in grave rischio l’armonia stessa delle antiche regole del mondo degli dei. Dall’altro canto, Afrodite - dea della bellezza e dell’amore, che presiede alla fertilità del cosmo su cui agisce la potenza creatrice di Eros - è indignata per l’umana superbia di una mortale che vuole competere con il suo fascino. In questa prima area si confrontano opere di grande rilevanza, come la Venere dai Musei Capitolini, la Venere Italica (1807-1808) di Antonio Canova e Venere (1528) di Palma il Vecchio.
Si prosegue quindi con il tema delle nozze ferali di Psiche, prologo del dramma che sta per consumarsi. Una profezia vede infatti Psiche unita in matrimonio con un mostro; proprio per questo motivo, Eros ordina a Zefiro di rapirla per condurla nel suo palazzo dove, con l’ausilio della notte e del buio, potrà incontrare la sua amata. Psiche, felice nella sua nuova casa, subisce tuttavia l’invidia delle sorelle - simbolo della coscienza femminile, ovvero della voce interiore che determina l’evoluzione necessaria per attuare il superamento del semplice amore passionale - che le suggeriscono di uccidere l’amato.
Psiche, in quello che rappresenta il più antico modello di atto sacrificale, attende che Eros si sia assopito per sollevare su di lui la lucerna e vederne l’aspetto animalesco: una goccia di olio bollente colpisce però il suo corpo disteso, facendolo sobbalzare e fuggire. Mentre Psiche, con l’illuminazione, determina la conoscenza del proprio amore, Eros si trova a essere sopraffatto dall’amore totalizzante della donna, che impone non l’oscurità dell’inconscio ma la luminosità della coscienza e della consapevolezza, creando un percorso che inevitabilmente conduce anche al dolore e alla separazione.
Archetipo della relazione uomo-donna, questa scena viene rappresentata da opere quali Eros dormiente (un marmo della prima età imperiale, da originale ellenistico dei Musei Capitolini), Letto funerario da Amiternum, (bronzo e argento della fine I secolo a.C. – inizio I secolo d.C., dal Museo archeologico nazionale d’Abruzzo di Chieti), Psiche scopre Amore (XVII secolo) del Candlelight Master, proveniente dalla Galleria Borghese di Roma.
Privata dell’amante, Psiche cade nella più cupa disperazione e si consegna ad Afrodite, sperando di poterne placare l’ira. La dea decide di sottoporla a una serie di quattro prove, l’ultima delle quali prevede di scendere agli inferi per chiedere a Persefone l’elisir della giovinezza perenne. Sarà una torre, simbolo del sapere umano, ad aiutarla in questa impresa; sulla strada del ritorno tuttavia la curiosità vince nuovamente la fanciulla che, inalando il fluido, cade in un sonno profondo simile alla morte. Questa sezione ospita una delle splendide pinakes (quadretti votivi in terracotta della prima metà del V secolo a.C.) provenienti dagli scavi del Santuario di Persefono di Locri, raffigurante l’offerta della palla a Persefone. Solo Eros, che non si era mai rassegnato a vivere senza Psiche, riuscirà a risvegliare l’amata con le sue frecce amorose, assicurando al racconto il lieto fine e il tenero abbraccio raffigurato in tanti famosi gruppi scultorei, come il gesso di Pietro Tenerani Psiche svenuta, del 1822.
Amore e Psiche stanti (1810 ca.), capolavoro in gesso di Antonio Canova, testimonia la compassione di Zeus che concederà ai due amanti di unirsi nell’immortalità. Il mito porta così alla luce uno snodo epocale nello sviluppo della religiosità antica e della concezione dell’anima: la capacità di amare è una scintilla divina, e la trasformazione dell’anima attraverso l’amore è un mistero che avvicina a dio.