JACK KEROUAC
TI JEAN OU L'ART DU JOUAL
A cura di Arminio Sciolli, Paolo Sciolli, Jean Olaniszyn
Centro culturale Il Rivellino
via al Castello 1 - Locarno
dal 7 al 17/8/2013
Sin dalla sua nascita il Rivellino è stato marcato dall’eliminazione delle barriere tra le diverse discipline artistiche. La mostra inaugurale, in agosto del 2009, del regista teatrale Robert Wilson esibiva quale opera centrale il maxivideo “Winnie”, una libera interpretazione di Giorni Felici di Beckett che aprirà la strada alla maggiore mostra letteraria del fotografo Mario Dondero nel 2011. Nel 2010 viene ospitato l’Archivio degli Amici del Museo Hermann Hesse, già preceduto dall’Archivio fotografico Ivan Bianchi (1811-1893) pioniere della fotografia in Russia. Questo doppio ambito, ovvero di rifugio per intere collezioni senza fissa dimora, e la messa in valore dell’interdisciplinarità artistica, si è convertito oggi nel vero vettore d’attrazione per lasciti letterari, artistici e video-fotografici internazionali al Rivellino. Questa volta è stato il turno del prestigioso lascito Jack Kerouac, costituito da un centinaio di dipinti e disegni, affidato dalla comunione ereditaria dell’autore a Lowell. In realtà, la Svizzera gode di una migliore immagine nel mondo di quella che i suoi abitanti si raffigurano e credo che il Ticino, qualora sia realmente intenzionato a giocare un ruolo chiave (pensando al LAC) nella promozione culturale, debba favorire le condizioni quadro per l’accoglienza e la pubblicizzazione di questi patrimoni in cerca di guardiani, e che spesso pericolano di finire nell’oblio.
La mostra dedicata a Jack Kerouac esibirà per la prima volta (salvo 4 quadri già esposti al Whitney Museum di New York e al Whistler Museum di Lowell) un terzo della produzione pittorica dello scrittore franco-americano. Le opere, realizzate negli anni Cinquanta, sono per la maggior parte firmate “Jean-Louis Kérouac”, in francese e con l’accento. Visto il forte interesse per le radici francofoni del padre della Beat Generation, gli eredi legali hanno autorizzato la pubblicazione in facsimile della prima versione di “On the road” in joual, il patois francese del Canada ed unica lingua parlata da Kerouac fino all’età di sei anni. Il Centro culturale Il Rivellino LDV, congiuntamente alle edizioni ELR che curano la pubblicazione, si sente estremamente orgoglioso di dare alla luce questa prima edizione assoluta.
Il nome di Jack Kerouac è rimasto fortemente legato al cinema grazie al film “Pull my daisy”, diretto dal suo grande amico svizzero Robert Frank, per il quale aveva scritto l’introduzione a “The Americans”, considerato dalla critica il photo-book più influente del XX secolo. Tra i disegni che verranno esposti appare quello in cui Kerouac scrisse il nome ed il numero di telefono di Frank la sera che si conobbero all’uscita di un club di jazz nel 1957, appena pubblicato “On the Road”. Durante il Film Festival di Locarno, il Rivellino proietterà il mediometraggio, un capolavoro protetto dalla Biblioteca del Congresso americano, e per il quale Kerouac aveva scritto la sceneggiatura e dato la voce. La comunione ereditaria ha anche prestato il contratto per la cessione dei diritti d’autore che Kerouac annotò negandosi di sottoscriverlo.
Jack Kerouac rivoluzionò (la parentesi faulkneriana ebbe maggiore impatto in Europa) la letteratura americana introducendo il monologo interiore, lo stile spontaneo ed ellittico , eliminando la puntuazione: in breve, scrivendo nella lingua parlata, il vernacolare. Era un velocissimo dattilografo (scrisse a macchina per Burroughs “Naked Lunch”, suggerendone anche il titolo) e gli venne l’idea di preparare un rullo di carta lungo 30 metri (“the scroll”). Si chiuse quindi per tre settimane nel suo appartamento a NYC (secondo taluni, in stato alterato) scrivendo con una Underwood portatile, tutto d’un botto e senza dover ricaricare la carta, “On the road”. Aggiunto alle altre tecniche di scrittura modernista ed ai contenuti disinibiti (consumo di alcol e droghe, sesso libero, omosessualità, vita spericolata) l’effetto “flusso di coscienza” garantì il successo al romanzo definitivo. Anche se già inventato tra le due guerre da Proust, Joyce e Céline, lo “stream of consciousness” invaderà gli altri campi dell’arte, in particolare la fotografia e la filmografia di Robert Frank.
La maggior rivoluzione provocata da Kerouac avviene però sullo stile di vita, influenzando prima i Beats (John Lennon nomina i Beatles dopo la lettura di Kerouac), i cosiddetti hipsters, poi gli hippies: il forte senso di libertà viaggiando senza meta (autostop), il sesso casuale, così come il modo di vestire da routier (jeans, scarpette da tennis, zaino), il consumo di droghe ed alcol, il continuo ascolto di musica improvvisata ad alto volume (allora il beep bop jazz), capelli lunghi -abitudini oggi normalizzate- generarono la maggior trasformazione nella moda mai avvenuta: è la “rucksack revolution”. Ed è per questo motivo che i curatori della mostra al Rivellino hanno insistito nel voler esporre oggetti personali dell’autore, in particolare i suoi vestiti, ma anche i suoi oggetti di culto religioso, per rammentare la profonda spiritualità di chi riscrisse la vita di Siddhartha sotto il titolo “Wake up”.
TI JEAN OU L'ART DU JOUAL
A cura di Arminio Sciolli, Paolo Sciolli, Jean Olaniszyn
Centro culturale Il Rivellino
via al Castello 1 - Locarno
dal 7 al 17/8/2013
Sin dalla sua nascita il Rivellino è stato marcato dall’eliminazione delle barriere tra le diverse discipline artistiche. La mostra inaugurale, in agosto del 2009, del regista teatrale Robert Wilson esibiva quale opera centrale il maxivideo “Winnie”, una libera interpretazione di Giorni Felici di Beckett che aprirà la strada alla maggiore mostra letteraria del fotografo Mario Dondero nel 2011. Nel 2010 viene ospitato l’Archivio degli Amici del Museo Hermann Hesse, già preceduto dall’Archivio fotografico Ivan Bianchi (1811-1893) pioniere della fotografia in Russia. Questo doppio ambito, ovvero di rifugio per intere collezioni senza fissa dimora, e la messa in valore dell’interdisciplinarità artistica, si è convertito oggi nel vero vettore d’attrazione per lasciti letterari, artistici e video-fotografici internazionali al Rivellino. Questa volta è stato il turno del prestigioso lascito Jack Kerouac, costituito da un centinaio di dipinti e disegni, affidato dalla comunione ereditaria dell’autore a Lowell. In realtà, la Svizzera gode di una migliore immagine nel mondo di quella che i suoi abitanti si raffigurano e credo che il Ticino, qualora sia realmente intenzionato a giocare un ruolo chiave (pensando al LAC) nella promozione culturale, debba favorire le condizioni quadro per l’accoglienza e la pubblicizzazione di questi patrimoni in cerca di guardiani, e che spesso pericolano di finire nell’oblio.
La mostra dedicata a Jack Kerouac esibirà per la prima volta (salvo 4 quadri già esposti al Whitney Museum di New York e al Whistler Museum di Lowell) un terzo della produzione pittorica dello scrittore franco-americano. Le opere, realizzate negli anni Cinquanta, sono per la maggior parte firmate “Jean-Louis Kérouac”, in francese e con l’accento. Visto il forte interesse per le radici francofoni del padre della Beat Generation, gli eredi legali hanno autorizzato la pubblicazione in facsimile della prima versione di “On the road” in joual, il patois francese del Canada ed unica lingua parlata da Kerouac fino all’età di sei anni. Il Centro culturale Il Rivellino LDV, congiuntamente alle edizioni ELR che curano la pubblicazione, si sente estremamente orgoglioso di dare alla luce questa prima edizione assoluta.
Il nome di Jack Kerouac è rimasto fortemente legato al cinema grazie al film “Pull my daisy”, diretto dal suo grande amico svizzero Robert Frank, per il quale aveva scritto l’introduzione a “The Americans”, considerato dalla critica il photo-book più influente del XX secolo. Tra i disegni che verranno esposti appare quello in cui Kerouac scrisse il nome ed il numero di telefono di Frank la sera che si conobbero all’uscita di un club di jazz nel 1957, appena pubblicato “On the Road”. Durante il Film Festival di Locarno, il Rivellino proietterà il mediometraggio, un capolavoro protetto dalla Biblioteca del Congresso americano, e per il quale Kerouac aveva scritto la sceneggiatura e dato la voce. La comunione ereditaria ha anche prestato il contratto per la cessione dei diritti d’autore che Kerouac annotò negandosi di sottoscriverlo.
Jack Kerouac rivoluzionò (la parentesi faulkneriana ebbe maggiore impatto in Europa) la letteratura americana introducendo il monologo interiore, lo stile spontaneo ed ellittico , eliminando la puntuazione: in breve, scrivendo nella lingua parlata, il vernacolare. Era un velocissimo dattilografo (scrisse a macchina per Burroughs “Naked Lunch”, suggerendone anche il titolo) e gli venne l’idea di preparare un rullo di carta lungo 30 metri (“the scroll”). Si chiuse quindi per tre settimane nel suo appartamento a NYC (secondo taluni, in stato alterato) scrivendo con una Underwood portatile, tutto d’un botto e senza dover ricaricare la carta, “On the road”. Aggiunto alle altre tecniche di scrittura modernista ed ai contenuti disinibiti (consumo di alcol e droghe, sesso libero, omosessualità, vita spericolata) l’effetto “flusso di coscienza” garantì il successo al romanzo definitivo. Anche se già inventato tra le due guerre da Proust, Joyce e Céline, lo “stream of consciousness” invaderà gli altri campi dell’arte, in particolare la fotografia e la filmografia di Robert Frank.
La maggior rivoluzione provocata da Kerouac avviene però sullo stile di vita, influenzando prima i Beats (John Lennon nomina i Beatles dopo la lettura di Kerouac), i cosiddetti hipsters, poi gli hippies: il forte senso di libertà viaggiando senza meta (autostop), il sesso casuale, così come il modo di vestire da routier (jeans, scarpette da tennis, zaino), il consumo di droghe ed alcol, il continuo ascolto di musica improvvisata ad alto volume (allora il beep bop jazz), capelli lunghi -abitudini oggi normalizzate- generarono la maggior trasformazione nella moda mai avvenuta: è la “rucksack revolution”. Ed è per questo motivo che i curatori della mostra al Rivellino hanno insistito nel voler esporre oggetti personali dell’autore, in particolare i suoi vestiti, ma anche i suoi oggetti di culto religioso, per rammentare la profonda spiritualità di chi riscrisse la vita di Siddhartha sotto il titolo “Wake up”.