mercoledì 11 aprile 2012

LUIGI BOILLE: LA PITTURA PIÙ PURA POSSIBILE - GALLERIA MARCHETTI, ROMA




LUIGI BOILLE
LA PITTURA PIÙ PURA POSSIBILE
a cura di Silvia Pegoraro
Galleria d’Arte Marchetti
Via Margutta 18/ A - Roma
dal 12/4/2012 al 19/5/2012

La Galleria d’Arte Marchetti di Roma inaugura giovedì 12 aprile 2012 una mostra di Luigi Boille, uno dei maestri storici della pittura astratto-informale europea, il cui lavoro la galleria segue da anni: un essenziale percorso antologico - dal 1952 ad oggi - attraverso 60 anni di ricerca pittorica sempre originale e stimolante, ma anche fedele a una cifra stilistica ben precisa ed inconfondibile. Come scriveva Giulio Carlo Argan, nel 1973: “Boille, sapendo che la pittura è in crisi, si ostina a fare soltanto pittura, la pittura più pura possibile”.
In occasione della mostra verrà presentata una monografia (a cura di Silvia Pegoraro, coordinamento e apparati di Nicole Calendreau Boille) che documenterà tutto il percorso artistico di Boille, attraverso una sessantina di opere fra le più significative. Oltre il testo della curatrice, la pubblicazione (bilingue italiano/inglese) conterrà un’antologia critica con testi di Giulio Carlo Argan, Guido Ballo, Enrico Crispolti, Tullio De Mauro, Flaminio Gualdoni, Murilo Mendes, Filiberto Menna, Pierre Restany, Michel Tapié, Cesare Vivaldi .

La mostra alla Galleria Marchetti traccia un percorso essenziale e significativo nel lavoro di Luigi Boille : una scelta di opere che scandiscono le tappe della sua avventura creativa dal 1952 - in pieno periodo informale - fino alla più recente fase espressiva, ancora in progress, e ben rappresentano le variazioni stilistiche del lavoro del maestro, che si muove dall’informale verso una poetica sempre più personale, in cui il caos delle pulsioni espressive va sempre più strutturandosi in armoniose composizioni spaziali. La monografia che accompagna la mostra rende conto di tutto questo percorso attraverso una sessantina di opere rappresentative di questo intero percorso artistico. Nel 1964, si tenne a New York un’importante rassegna artistica internazionale, il Guggenheim International Award . A rappresentare l’Italia c’erano quattro artisti: Lucio Fontana, Giuseppe Capogrossi, Enrico Castellani e Luigi Boille, giovane artista di origine friulana che risiedeva già dal 1950 a Parigi, dove si era avvicinato alla Jeune Ecole de Paris, e dove aveva trovato il successo. A tutt’oggi la sua fama è assai più consolidata in Europa e nel mondo che in Italia, nonostante l’eccezionale qualità del suo lavoro e la sua inconfondibile cifra stilistica lo pongano al livello dei maggiori maestri italiani del secondo Novecento.
Boille raggiunge già all’inizio degli anni ’50 una maturità creativa che lo porta a realizzare un’espressione pittorica nella quale è possibile ravvisare una delle più valide, stimolanti e originali manifestazioni dell’Informale. Forse perché, come scrive il grande critico francese Pierre Restany nel 1959 , “A differenza di coloro che traggono soddisfazione da certezze momentanee, egli non è mai rassicurato dalla sua pittura. Essa lo inquieta, lo angoscia, lo fa disperare. Egli cerca attraverso ciascuna tela i possibili passaggi, gli sbocchi verso nuove situazioni.” Una frase che può essere eletta a emblema di tutto il percorso artistico di Boille, sino ad oggi: una ricerca instancabile, mossa da inesauribile curiosità e suggestione. Tutto questo colpì immediatamente anche un altro celebre critico, Michel Tapié, leggendario teorico dell’Informale come “Art autre”, che lo inserì nel gruppo dei suoi artisti prediletti, e paragonò il suo lavoro a quello di grandi espressionisti astratti americani quali Mark Tobey e Clifford Still. Altri grandi critici, fra i più influenti della storia dell’arte del Novecento, hanno nel tempo sostenuto e amato Luigi Boille (come risulta ben evidente anche dall’antologia critica presente nella monografia che accompagna la mostra) : Lionello Venturi, Guido Ballo, Cesare Vivaldi, Filiberto Menna, Giulio Carlo Argan...
Proprio a quest’ultimo si deve un’altra affermazione-chiave per intendere l’opera del maestro friulano: “Boille, sapendo che la pittura è in crisi, si ostina a fare soltanto pittura, la pittura più pura possibile” (G.C. Argan, 1973). Pittura pura, pittura assoluta, quella di Boille, che sin dai suoi esordi, fino alle più attuali ricerche, si snoda in un labirinto infinito di colore e di luce, metafora del pulsare stesso dell’esistenza negli abissi del cosmo. Pittura ricca di “elementi barocchi” (Tapié), anche se nel lavoro di Boille il dinamismo e l’”irrazionalismo” riconducibili al barocco saranno sempre equilibrati da un senso “classico” di armonia e di nitore formale. Un lavoro sempre serrato e rigoroso, il suo, sia pure sempre aperto alle infinite suggestioni dell’immaginario.
Un lavoro che si caratterizza per l’evoluzione verso una sintesi sempre più perfetta tra segno, gesto e colore, tra pensiero ed emozionalità. Da quelle che Restany definisce le “hautes pâtes” informali di Boille (anni ’50), dalla disseminazione della materia-colore e dei segni, o dal loro assemblarsi fittamente nello spazio, in una sorta di horror vacui (anni ’60 -’70), Boille si è mosso sempre di più verso la rarefazione, il libero fluttuare del segno nel colore, o nel bianco, o nel nero, senza tuttavia perdere mai la sua straordinaria ricchezza pittorica. Il segno, in Luigi Boille, è l’elemento di coesione tra pensiero e gesto, tra spazio e colore, e attraverso l’interazione di tutte queste componenti l’artista difende il ruolo centrale ed essenziale del linguaggio della pittura, come scriveva Argan nel 1973: il segno di Boille “svolgendosi e modulandosi come pura frase pittorica, realizza e comunica uno stato dell'essere, di immunità o distacco o contemplazione”, riuscendo davvero a realizzare quella “riconciliazione dell’intelligenza con il puro istinto” prefigurata da Restany nel ’58.
La stessa che percepiamo anche nelle opere più recenti, come il Dittico-Zen del 2011, presentato al Padiglione Italia della LIV Biennale di Venezia, dove l’artista è tornato dopo molti anni : aveva già partecipato all’edizione del 1966, con splendide opere presentate da Cesare Vivaldi e dal poeta Murilo Mendes. Tullio De Mauro, il grande linguista che lo presenta nel catalogo di quest’ultima edizione della Biennale, traccia sinteticamente un affascinante profilo della ricerca di Boille: una “ricerca continua di risultati che a me paiono suggestive e splendenti testimonianze della sua vivida capacità di catturare nel segno pittorico l’emergere di luce, ‘fiocchi di luce’, dal buio del cosmo”. Definizione tanto acuta quanto poetica, che rinvia dunque anche al Boille amante della poesia e dei poeti. Poeti come Ezra Pound, con cui collaborò alla realizzazione di un libro d’artista con sette poesie di Pound e sette litografie di Boille (Omaggio a Ezra Pound, Rapallo, 1971). Poeti come René Char: in due suoi versi - ci ricorda De Mauro - Boille ha riconosciuto il senso di tutta la sua pittura: “Si nous habitons un éclair, / il est le coeur de l’éternel”.

Nato a Pordenone nel 1926, Luigi Boille si diploma all’Accademia di Belle Arti di Roma nel ’49. L’anno successivo si laurea in architettura, e subito dopo si trasferisce a Parigi, dove si stabilisce. Già nel ’53 la sua pittura rivela una matura e originale assimilazione dell’Informale, e ciò lo avvicina al gruppo della Jeune Ecole de Paris, con cui espone in numerose collettive.
Conosce il grande critico francese Michel Tapié, che lo inserisce nella sue ricerche sull’”Art autre” e coglie nella sua pittura “elementi barocchi”, anche se nel lavoro di Boille il dinamismo e l’”irrazionalismo” riconducibile al barocco saranno sempre equilibrati da un senso “classico” di misura e di rigore formale. Nel 1964 Luigi Boille rappresenta l’Italia insieme a Capogrossi, Castellani e Fontana al Guggenheim International Award di New York. Nel ’65, rientrato temporaneamente in Italia, a Roma partecipa alla Quadriennale, e l’anno dopo è invitato alla Biennale di Venezia, dove è recentemente tornato, partecipando alla LIV Edizione (2011).
Per quindici anni è stato in rapporti contrattuali con la Galleria Stadler di Parigi (una fra le più importanti al mondo), dove ha tenuto diverse mostre. Importante anche il rapporto con la storica Galleria del Naviglio di Milano e con il suo fondatore e titolare, Carlo Cardazzo.
Ininterrotto è l’itinerario delle sue mostre personali e collettive. Tra le più importanti, le personali alla Galleria del Naviglio (Milano) e alla Galleria Qui Arte Contemporanea (Roma), nel 1974, a Palazzo dei Diamanti di Ferrara (1984), alla Galleria Giulia di Roma (1986), alla Galleria Roubaud (1991) e all’Istituto Italiano di Cultura a Monaco di Baviera (1992), alla Galleria L’Isola (Roma) nel 1993, allo Studio Simonis e alla Galleria Stadler (Parigi) nel 1997; le collettive Informale in Italia, alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna (1983) , Geografie oltre l’Informale alla Permanente di Milano (1987) , Tapié et l’art informel , alla Galerie 16 di Parigi (1989).

Prima di questa, la Galleria Marchetti di Roma gli ha dedicato altre cinque mostre personali, tra il 1999 e il 2009. Opere di Boille sono presenti nelle maggiori collezioni e musei del mondo.