BRUNO DI BELLO
FRATTALI E ALTRO
Fondazione Marconi Arte moderna e contemporanea
via Tadino 15 - Milano
16/11/2015 - 22/1/2016
La Fondazione Marconi presenta la mostra Bruno Di Bello. Frattali e altro con un ciclo di opere realizzate dall’artista negli ultimi cinque anni.
Al pianoterra della sede espositiva saranno esposti una serie di nuove opere, studi e successive variazioni sui cinque grandi trittici eseguiti nel 2010 per la mostra tenutasi al Museo MAC di Niteroi a Rio de Janeiro.
Quando ho ricevuto le foto e la pianta del museo, disegnato da Oscar Niemeyer sono rimasto affascinato dalla bellezza di quest’opera, vero gioiello architettonico e mi è subito balenata l’idea di usare i segni che sulla pianta indicavano le cinque pareti e le colonnine per il primo dei miei trittici. La sala esagonale, centrata sul cerchio della vetrata esterna, mi ha ricordato la forma delle innumerevoli sale della immaginaria “Biblioteca di Babele” così descritta da Jorge Luis Borges: un esagono con cinque pareti e un lato aperto d’ingresso. (Coincidenza o citazione?) Esattamente la sala del museo per la quale ho immaginato i miei cinque trittici. È nato così With Oscar il primo dei trittici in mostra, con una serie di variazioni in cui i segni delle pareti disunite tra di loro, punteggiate dalle colonnine che sorreggono la struttura superiore, dialogano con i miei segni derivati dalla geometria dei frattali nelle varie soluzioni esposte in questa mostra. (Bruno Di Bello)
Queste astrazioni digitali rappresentano una sorta di profondo rinnovamento rispetto alle sperimentazioni artistiche di Bruno Di Bello degli anni precedenti e alla tradizione della fotografia “off camera”.
Nascono in seguito a una lunga pausa di riflessione durante la quale l’artista, che già dalla fine degli anni Ottanta aveva pionieristicamente sostituito la sua camera oscura con hardware e software digitali, ha modo di dedicarsi allo studio delle nuove tecnologie e in particolare della fotografia digitale che gli permette di diventare nel frattempo padrone di conoscenze nel campo delle tecniche di creazione ed elaborazione dell’immagine al computer.
In queste opere Di Bello realizza un universo virtuale che scaturisce da un modello matematico, nel quale però è lui stesso a intervenire per decidere quale variabile introdurre nel processo automatico di generazione e proliferazione iconica.
A partire dagli anni Novanta, avendo conosciuto le teorie del matematico Benoît Mandelbrot, l’artista si avvicina allo studio della geometria dei frattali. Mandelbrot, alla fine degli anni Settanta, aveva immaginato che le forme della natura che si ritenevano frutto del caso (la bellezza delle orchidee, la frastagliatura delle coste, la forma delle nuvole…) fossero descrivibili da una geometria scaturita da un calcolo matematico che, con un complesso sistema di equazioni risolvibile al computer, ricreasse forme simili.
Matematica e geometria dei frattali hanno ormai applicazione nei più vari campi dello scibile: dalla cartografia alla previsione dei movimenti di borsa, dalla progettazione architettonica all’astrofisica, ma a Di Bello è venuto in mente che nella storia dell’arte ogni volta che cambia la geometria cambiano l’architettura e l’arte e che già dagli anni Cinquanta i musicisti usano strumenti elettronici per le loro composizioni e dai Settanta gli architetti sostituiscono tecnigrafo e matita con i computer. Persino Paul Klee – riferimento costante nell’opera dell’artista – si interrogava molti anni prima con vari esperimenti ed esercizi, sui rapporti tra la geometria e le forme della natura nelle lezioni che teneva al Bauhaus).
Il filosofo Mario Costa così descrive il lavoro dell’artista: Bruno Di Bello ha capito che il massimo dell’aseità dell’immagine, dovuto alla sua natura logica e dunque mentale, coincide con il massimo di quanto egli è andato cercando per tutta la sua vita. Ha capito cioè che le immagini digitali non rimandano a nessun soggetto e a nessun oggetto, che non hanno referente alcuno e che devono esse stesse essere trattate come dei referenti, cioè come delle nuove cose con le quali misurarsi sul piano dell’estetico.
Bruno Di Bello è nato a Torre del Greco nel 1938. Dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Napoli inizia a esporre e, con Biasi, Del Pezzo, Fergola, Luca e Persico, dà vita al Gruppo ’58. Tra i meriti di questa giovane formazione c’è quello di aver stabilito un contatto diretto con le coeve vicende milanesi, grazie soprattutto al periodico “Documento Sud”, ideale corrispettivo di “Azimuth”. Dopo le prime mostre di gruppo alla Galleria San Carlo e alla Galleria Minerva di Napoli, nel 1960 Di Bello ottiene una prima personale alla Galleria 2000 di Bologna. Nel ’65 inizia a inserire la fotografia nei suoi lavori, nel ’66 la prima personale alla Modern Art Agency di Lucio Amelio, nel 1967 comincia a usare direttamente la tela fotosensibile e si trasferisce a Milano. L’anno seguente espone con il gruppo della Mec-Art, teorizzata da Pierre Restany.
Di Bello indaga sulle possibilità di scomposizione dell’immagine, sulle icone dei protagonisti delle avanguardie storiche e dei propri miti artistici (Klee, Duchamp, Man Ray, Mondrian e i costruttivisti russi) sviluppando così un’idea di arte come riflessione sulla storia dell’arte moderna.
Espone per la prima volta a Milano da Toselli nel ’69 e nel ’70 alla Galleria Kuchels, Bochum, alla Galleria Wspòlczesna, Varsavia e alla Galleria Bertesca di Genova e alla Biennale di Venezia,
Dal 1971 inizia la collaborazione con lo Studio Marconi: un’installazione composta da 26 tele fotografiche con la scomposizione dell’intero alfabeto. Vi esporrà ancora nel ’74, nel ’76, nel ’78 e nell’81. Dai primi anni Settanta sulle sue tele fotografiche compaiono parole e concetti che, scomponendosi e ricomponendosi, animano un gioco di perdita e di ritrovamento del significato. Nel ’74 espone alla Galleria Art in Progress a Monaco e alla Kunsthalle di Berna, nel ’75 alla Galleria Müller di Stoccarda e all’I.C.C. di Anversa, nel ’77 alla Galleria Lucio Amelio di Napoli e al Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam. Espone nel ’78 alla Galleria Rondanini di Roma e nell’estate 1980 realizza un grande lavoro per il Festival di Spoleto.
Altri lavori degli anni Settanta/Ottanta sono eseguiti disegnando sulla tela sensibile direttamente con il raggio di luce di una torcia elettrica, e negli anni Ottanta Di Bello sperimenta un nuovo modo di usare la tecnica fotografica, giustapponendo tra la fonte luminosa e la tela figure umane e oggetti che proiettano su quest’ultima le loro ombre, sviluppando poi la tela fotosensibile con larghe pennellate di rivelatore come in Apollo e Dafne nel terremoto, eseguito per la collezione Terrae motus allestita da Lucio Amelio nel 1987 ed esposta a Parigi – Grand Palais, ora in permanenza presso la Reggia di Caserta.
A partire dagli anni Novanta Di Bello si dedica allo studio di nuove tecnologie operando ricerche sulle immagini sintetiche, la fotografia digitale e le nuove geometrie visualizzabili dal computer. Espone i nuovi lavori alla Galleria Giò Marconi nel 2003, nel 2004 alla Plurima di Udine, nel 2005 a Napoli alla Fondazione Morra e nel 2008 alla Galleria Elleni di Bergamo.
Nel 2010 la Fondazione Marconi gli dedica una grande antologica. Per l’occasione esce la monografia Bruno Di Bello - Antologia, edita da Silvana Editoriale per la VAF-Stiftung di Frankfurt am Main, a cura di Volker Feierabend con testi di Michele Bonuomo, Mario Costa, Marco Meneguzzo e Angela Tecce.
Nel 2011 ha una personale al Museo MAC di Niteroi a Rio de Janeiro, mostra che ha avuto un esordio al Museo della Certosa di Capri e un seguito al PAN - Palazzo delle Arti, a Napoli. Le tre mostre nascono per iniziativa dell’associazione Arteas, animata da Maurizio Siniscalco, con la consulenza del critico Mario Franco.
Nel 2011 tiene una “lectio magistralis” al Politecnico di Milano nel corso di Alberto Aschieri ed espone il suo Grande vetro 2 del ’75 alla mostra dei lavori degli allievi nel patio del Politecnico. Bruno Di Bello vive e lavora a Milano.
Principali collezioni pubbliche: Landesmuseum Joanneum, Graz - Museum Boijmans Van Beuningen, Rotterdam Museum Ostwall Dortmund - Rufino Tamayo Museum, Mexico City - Galleria dell’Accademia, Napoli - Galleria Nazionale, Parma - Gallerie d’Italia, Milano - Museo d’Arte Moderna di Bologna - Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto (collezione Feierabend) - Museo della Reggia di Caserta - Museo del Novecento, Museo Madre, Napoli.
Per l’occasione verrà pubblicato il Quaderno n. 18 della Fondazione Marconi con un saggio introduttivo di Bruno Corà.
FRATTALI E ALTRO
Fondazione Marconi Arte moderna e contemporanea
via Tadino 15 - Milano
16/11/2015 - 22/1/2016
La Fondazione Marconi presenta la mostra Bruno Di Bello. Frattali e altro con un ciclo di opere realizzate dall’artista negli ultimi cinque anni.
Al pianoterra della sede espositiva saranno esposti una serie di nuove opere, studi e successive variazioni sui cinque grandi trittici eseguiti nel 2010 per la mostra tenutasi al Museo MAC di Niteroi a Rio de Janeiro.
Quando ho ricevuto le foto e la pianta del museo, disegnato da Oscar Niemeyer sono rimasto affascinato dalla bellezza di quest’opera, vero gioiello architettonico e mi è subito balenata l’idea di usare i segni che sulla pianta indicavano le cinque pareti e le colonnine per il primo dei miei trittici. La sala esagonale, centrata sul cerchio della vetrata esterna, mi ha ricordato la forma delle innumerevoli sale della immaginaria “Biblioteca di Babele” così descritta da Jorge Luis Borges: un esagono con cinque pareti e un lato aperto d’ingresso. (Coincidenza o citazione?) Esattamente la sala del museo per la quale ho immaginato i miei cinque trittici. È nato così With Oscar il primo dei trittici in mostra, con una serie di variazioni in cui i segni delle pareti disunite tra di loro, punteggiate dalle colonnine che sorreggono la struttura superiore, dialogano con i miei segni derivati dalla geometria dei frattali nelle varie soluzioni esposte in questa mostra. (Bruno Di Bello)
Queste astrazioni digitali rappresentano una sorta di profondo rinnovamento rispetto alle sperimentazioni artistiche di Bruno Di Bello degli anni precedenti e alla tradizione della fotografia “off camera”.
Nascono in seguito a una lunga pausa di riflessione durante la quale l’artista, che già dalla fine degli anni Ottanta aveva pionieristicamente sostituito la sua camera oscura con hardware e software digitali, ha modo di dedicarsi allo studio delle nuove tecnologie e in particolare della fotografia digitale che gli permette di diventare nel frattempo padrone di conoscenze nel campo delle tecniche di creazione ed elaborazione dell’immagine al computer.
In queste opere Di Bello realizza un universo virtuale che scaturisce da un modello matematico, nel quale però è lui stesso a intervenire per decidere quale variabile introdurre nel processo automatico di generazione e proliferazione iconica.
A partire dagli anni Novanta, avendo conosciuto le teorie del matematico Benoît Mandelbrot, l’artista si avvicina allo studio della geometria dei frattali. Mandelbrot, alla fine degli anni Settanta, aveva immaginato che le forme della natura che si ritenevano frutto del caso (la bellezza delle orchidee, la frastagliatura delle coste, la forma delle nuvole…) fossero descrivibili da una geometria scaturita da un calcolo matematico che, con un complesso sistema di equazioni risolvibile al computer, ricreasse forme simili.
Matematica e geometria dei frattali hanno ormai applicazione nei più vari campi dello scibile: dalla cartografia alla previsione dei movimenti di borsa, dalla progettazione architettonica all’astrofisica, ma a Di Bello è venuto in mente che nella storia dell’arte ogni volta che cambia la geometria cambiano l’architettura e l’arte e che già dagli anni Cinquanta i musicisti usano strumenti elettronici per le loro composizioni e dai Settanta gli architetti sostituiscono tecnigrafo e matita con i computer. Persino Paul Klee – riferimento costante nell’opera dell’artista – si interrogava molti anni prima con vari esperimenti ed esercizi, sui rapporti tra la geometria e le forme della natura nelle lezioni che teneva al Bauhaus).
Il filosofo Mario Costa così descrive il lavoro dell’artista: Bruno Di Bello ha capito che il massimo dell’aseità dell’immagine, dovuto alla sua natura logica e dunque mentale, coincide con il massimo di quanto egli è andato cercando per tutta la sua vita. Ha capito cioè che le immagini digitali non rimandano a nessun soggetto e a nessun oggetto, che non hanno referente alcuno e che devono esse stesse essere trattate come dei referenti, cioè come delle nuove cose con le quali misurarsi sul piano dell’estetico.
Bruno Di Bello è nato a Torre del Greco nel 1938. Dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Napoli inizia a esporre e, con Biasi, Del Pezzo, Fergola, Luca e Persico, dà vita al Gruppo ’58. Tra i meriti di questa giovane formazione c’è quello di aver stabilito un contatto diretto con le coeve vicende milanesi, grazie soprattutto al periodico “Documento Sud”, ideale corrispettivo di “Azimuth”. Dopo le prime mostre di gruppo alla Galleria San Carlo e alla Galleria Minerva di Napoli, nel 1960 Di Bello ottiene una prima personale alla Galleria 2000 di Bologna. Nel ’65 inizia a inserire la fotografia nei suoi lavori, nel ’66 la prima personale alla Modern Art Agency di Lucio Amelio, nel 1967 comincia a usare direttamente la tela fotosensibile e si trasferisce a Milano. L’anno seguente espone con il gruppo della Mec-Art, teorizzata da Pierre Restany.
Di Bello indaga sulle possibilità di scomposizione dell’immagine, sulle icone dei protagonisti delle avanguardie storiche e dei propri miti artistici (Klee, Duchamp, Man Ray, Mondrian e i costruttivisti russi) sviluppando così un’idea di arte come riflessione sulla storia dell’arte moderna.
Espone per la prima volta a Milano da Toselli nel ’69 e nel ’70 alla Galleria Kuchels, Bochum, alla Galleria Wspòlczesna, Varsavia e alla Galleria Bertesca di Genova e alla Biennale di Venezia,
Dal 1971 inizia la collaborazione con lo Studio Marconi: un’installazione composta da 26 tele fotografiche con la scomposizione dell’intero alfabeto. Vi esporrà ancora nel ’74, nel ’76, nel ’78 e nell’81. Dai primi anni Settanta sulle sue tele fotografiche compaiono parole e concetti che, scomponendosi e ricomponendosi, animano un gioco di perdita e di ritrovamento del significato. Nel ’74 espone alla Galleria Art in Progress a Monaco e alla Kunsthalle di Berna, nel ’75 alla Galleria Müller di Stoccarda e all’I.C.C. di Anversa, nel ’77 alla Galleria Lucio Amelio di Napoli e al Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam. Espone nel ’78 alla Galleria Rondanini di Roma e nell’estate 1980 realizza un grande lavoro per il Festival di Spoleto.
Altri lavori degli anni Settanta/Ottanta sono eseguiti disegnando sulla tela sensibile direttamente con il raggio di luce di una torcia elettrica, e negli anni Ottanta Di Bello sperimenta un nuovo modo di usare la tecnica fotografica, giustapponendo tra la fonte luminosa e la tela figure umane e oggetti che proiettano su quest’ultima le loro ombre, sviluppando poi la tela fotosensibile con larghe pennellate di rivelatore come in Apollo e Dafne nel terremoto, eseguito per la collezione Terrae motus allestita da Lucio Amelio nel 1987 ed esposta a Parigi – Grand Palais, ora in permanenza presso la Reggia di Caserta.
A partire dagli anni Novanta Di Bello si dedica allo studio di nuove tecnologie operando ricerche sulle immagini sintetiche, la fotografia digitale e le nuove geometrie visualizzabili dal computer. Espone i nuovi lavori alla Galleria Giò Marconi nel 2003, nel 2004 alla Plurima di Udine, nel 2005 a Napoli alla Fondazione Morra e nel 2008 alla Galleria Elleni di Bergamo.
Nel 2010 la Fondazione Marconi gli dedica una grande antologica. Per l’occasione esce la monografia Bruno Di Bello - Antologia, edita da Silvana Editoriale per la VAF-Stiftung di Frankfurt am Main, a cura di Volker Feierabend con testi di Michele Bonuomo, Mario Costa, Marco Meneguzzo e Angela Tecce.
Nel 2011 ha una personale al Museo MAC di Niteroi a Rio de Janeiro, mostra che ha avuto un esordio al Museo della Certosa di Capri e un seguito al PAN - Palazzo delle Arti, a Napoli. Le tre mostre nascono per iniziativa dell’associazione Arteas, animata da Maurizio Siniscalco, con la consulenza del critico Mario Franco.
Nel 2011 tiene una “lectio magistralis” al Politecnico di Milano nel corso di Alberto Aschieri ed espone il suo Grande vetro 2 del ’75 alla mostra dei lavori degli allievi nel patio del Politecnico. Bruno Di Bello vive e lavora a Milano.
Principali collezioni pubbliche: Landesmuseum Joanneum, Graz - Museum Boijmans Van Beuningen, Rotterdam Museum Ostwall Dortmund - Rufino Tamayo Museum, Mexico City - Galleria dell’Accademia, Napoli - Galleria Nazionale, Parma - Gallerie d’Italia, Milano - Museo d’Arte Moderna di Bologna - Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto (collezione Feierabend) - Museo della Reggia di Caserta - Museo del Novecento, Museo Madre, Napoli.
Per l’occasione verrà pubblicato il Quaderno n. 18 della Fondazione Marconi con un saggio introduttivo di Bruno Corà.