domenica 22 luglio 2012

ADDIO A BAGNASCO, PORTÒ GENOVA IN TV



ADDIO A BAGNASCO, PORTÒ GENOVA IN TV
di Giuliano Galletta

«Anche lo spettacolo deve ritrovare i legami con le proprie origini. Mi piace immaginarlo come in una sequenza dei “Vitelloni” di Fellini: tutti i provinciali attratti come falene dal sogno romano, all’improvviso sentono una forza che li richiama in senso opposto. E tornano per ripartire dalle radici».
Così Arnaldo Bagnasco, morto ieri a 76 anni nella sua casa di campagna a Chiusa Pesio, in una intervista del 1993 al Secolo XIX in cui ricordava l’originale e forse eccentrico contributo di tanti liguri, da Claudio G.Fava a Carlo Freccero, Enrico Ghezzi e Fabio Fazio, alla trasformazione della televisione italiana, parlava un po’ anche di se stesso.
Lui, che dopo una vita da dirigente Rai era tornato a Genova, la sua città, anche se era nato a Dernicce in provincia di Alessandria, per diventare presidente del Palazzo Ducale per poi promuovere una serie di mostre all’insegna dello storico orgoglio genovese. D’altra parte, egli stesso era stato uno dei protagonisti di quella mitica stagione fra anni Cinquanta e Sessanta, quando sotto la Lanterna nasceva la canzone d’autore grazie al suo fraterno amico Gino Paoli, a Fabrizio De André, Luigi Tenco, Umberto Bindi. Era la Genova in cui Paolo Villaggio muoveva i suoi primi passi, con Bagnasco e Enzo Tortora, sul palco della compagnia goliardica Baistrocchi, mentre uno sconosciuto Carmelo Bene recitava alla Borsa d’Arlecchino di Aldo Trionfo.
Anche Bagnasco comincia la sua carriera come attore ed esordisce come protagonista nel “Caligola” di Camus. Amava dire: «L’ho fatto prima di Bene...». Dal 1962 al 1965 lavora nella compagnia dello Stabile di Genova, quella incredibile di “Il diavolo e il buon Dio” di Sartre, “Ciascuno a suo modo” di Pirandello, “Il processo di Savona” messo in scena da Paolo Giuranna. Dal 1966 al 1968 è regista stabile della compagnia di Tino Buazzelli. Proprio nel fatidico ’68 entra in Rai con un concorso come programmista. Condurrà programmi di successo come “Mixer Cultura”, “Aspettando...”, “Tenera è la notte”, “Palcoscenico”. Da dirigente diventerà poi capo struttura di Rai Tre per la Liguria. E con la riforma che affida alle sezioni regionali della Rai ampie competenze di produzione e programmazione.
«Come capo struttura Arnaldo lasciò una impronta importante nell’ultimo momento di autonomia» ricorda Claudio G. Fava «un’autonomia di cui godettero le sedi regionali dell’azienda». Sampdoriano di ferro, fu assiduo collaboratore del Secolo XIX come commentatore-tifoso ma soprattutto come attento osservatore dell’evoluzione, o involuzione, della televisione. Negli anni Novanta tenne una rubrica dal titolo “Zoom”, per molti versi preveggente sulle contraddizioni del sistema mediatico.
Sui rapporti tra la nascente Fininvest e la Rai scriveva ad esempio: “Da una posizione di monopolio assoluto, la Rai si trovò a fronteggiare una concorrenza all’inizio debole. Poi venne il decreto Craxi che permise a Berlusconi di esistere, avendo autorizzato le trasmissioni televisive sull’intero territorio nazionale, contro l’iniziativa dei pretori che avevano spento le tv del Cavaliere. Da lì un po’ di concorrenza vera per qualche anno c’è stata, e la battaglia era stata vinta dalla Rai che fece più ascolti e resistette alla grande novità della tv commerciale». Così invece descriveva la successiva crisi del servizio pubblico che, secondo lui, arriva «quando il palinsesto della Rai smette di essere fondato sulla creatività che si rinnova, frutto delle risorse umane interne all’azienda, e si converte ai format, ovvero si mette ad acquistare prodotti fatti da altri, all’esterno, da Endemol e roba simile. Da quel momento l’omologazione delle due entità televisive diventa totale». E concludeva: «Ormai le due entità, Rai e Mediaset, sono analoghe. Due mondi simili, omologati. Restano alcune isole, come Giovanni Minoli, che mostra grande continuità con l’antico livello di creatività dell’azienda». Da tempo Bagnasco e chi scrive stavano pensando a un libro che ripercorresse la storia della tv in Italia a partire dalla sua esperienza. Un progetto che purtroppo non è andato in porto, ma che sarebbe stato un contributo utile in un momento come quello che sta vivendo la Rai.
Bagnasco lascia la moglie Matilde Repetto e le figlie Alessandra e Marta. I funerali si celebreranno martedì mattina a Genova nella chiesa di San Donato.

(www.ilsecoloxix.it/p/cultura/2012/07/22/AP566Q0C-genova_bagnasco_porto.shtml)