LEONE CONTINI
INTE BRASSE
a cura di Chan e Stefano Taccone
Ghetto (piazza Senza Nome/Princesa e vico dei Fregoso) - Genova
dal 3/3/2012 al 3/4/2012
Il ghetto rappresenta storicamente un luogo di costrizione e isolamento all’interno della città. La stessa conformazione urbana del Ghetto genovese, caratterizzata da alcuni tra i più stretti e scuri caruggi genovesi, si presta a nascondere ed occultare. La strada principale è la famosa Via del Campo cantata da De Andrè ma girando l’angolo in uno dei vicoli laterali ecco un mondo che si distacca dal tessuto circostante: sporcizia, spazi angusti, pochi esercizi commerciali che si alternano ad attività più o meno legali.
Per sviluppare il progetto Inte brasse l’artista ha vissuto una settimana nel quartiere, esplorandone le dinamiche e tentando di stringere relazioni con le varie comunità che qui risiedono (italiani e immigrati), lavorano (transessuali) o che qui transitano per scopi precisi (spacciatori e tossicodipendenti). La diffidenza degli abitanti è non solo e non tanto indirizzata nei confronti degli estranei al Ghetto. Essa si manifesta piuttosto tra le diverse “tribù” che lo popolano.
Il titolo si ispira a un’espressione in dialetto genovese - se ciantan i spinelli inte brasse (si piantano gli spinelli nelle braccia) - che rivela sia ignoranza nei confronti del fenomeno della tossicodipendenza sia un atteggiamento di rifiuto. Il rimando alle brasse intende in questo caso, all’opposto, suggerire un atteggiamento di calorosa accoglienza. La medesima ambiguità si riscontra nell’evento che funge da perno dell’operazione, una sorta di “spaccio” - termine che rimanda alla vendita della droga, ma anche allo smercio di generi di prima necessità.
Nel Ghetto e nelle zone limitrofe le pratiche inerenti la cura del corpo radicate nella tradizione delle varie comunità di immigrati - magrebini, senegalesi ed ecuadoriani in primis - coabitano infatti con pratiche di segno opposto, legate all’abuso di droghe. Si profila quindi un ulteriore contrasto tra le comunità di migranti e la società ospite, percepita come opulenta ed autolesiva.
L’artista installa dunque nella “piazza senza nome” uno spaccio in cui espone prodotti vegetali tradizionali utilizzati nelle varie culture per implementare l’energia fisica, attenuare la fame e la stanchezza, potenziare la sessualità, purificare o guarire il corpo, oltre a buoni premio - ad esempio per un taglio di capelli dal parrucchiere marocchino. Lo spaccio di Leone Contini è organizzato secondo criteri che esulano dal commercio tradizionale, innestandosi su un tessuto di economia informale cui alcuni abitanti già danno vita ed anzi richiamandolo ulteriormente in virtù di dieci fotocopie in b/n 70X100, affisse sui muri del quartiere per un mese, che riproducono l’immagine dei vari prodotti.
La prospettiva è di allentare le barriere tra le differenti comunità e tra queste e la società ospite.
Leone Contini (Firenze, 1976) è artista visuale dalla costante vocazione antropologica. La sua ricerca si colloca lungo il margine di contatto tra pratiche creative e lavoro etnografico. Metodologie e linguaggi appartenenti ad ambiti disciplinari differenti si traducono in un continuum di scrittura, video-scrittura, attività laboratoriali, relazioni. Gli ambiti dell’indagine riguardano solitamente aree di frizione caratterizzate da complessità identitaria e rapporti di potere. La sua pratica discorsiva tende a problematizzare, oltre all’oggetto sociale sottoposto ad “indagine”, anche la relazione che inevitabilmente viene a crearsi con esso. Questa tendenza a criticizzare lo spazio della ricerca porta a mettere in discussione il concetto di autorialità e ad interrogare il posizionamento della stessa comunità artistica nei confronti del contesto in cui opera.
Progetto realizzato in collaborazione con gli abitanti del Ghetto, la casa di quartiere GhettUp e la Comunità di San Benedetto.
L’intervento di Leone Contini sarà visibile per un mese nelle vie del Ghetto.
Una postazione in cui reperire materiale sul progetto sarà allestita presso la Casa di quartiere - GhettUp.
Con la collaborazione di Comune di Genova.
INTE BRASSE
a cura di Chan e Stefano Taccone
Ghetto (piazza Senza Nome/Princesa e vico dei Fregoso) - Genova
dal 3/3/2012 al 3/4/2012
Il ghetto rappresenta storicamente un luogo di costrizione e isolamento all’interno della città. La stessa conformazione urbana del Ghetto genovese, caratterizzata da alcuni tra i più stretti e scuri caruggi genovesi, si presta a nascondere ed occultare. La strada principale è la famosa Via del Campo cantata da De Andrè ma girando l’angolo in uno dei vicoli laterali ecco un mondo che si distacca dal tessuto circostante: sporcizia, spazi angusti, pochi esercizi commerciali che si alternano ad attività più o meno legali.
Per sviluppare il progetto Inte brasse l’artista ha vissuto una settimana nel quartiere, esplorandone le dinamiche e tentando di stringere relazioni con le varie comunità che qui risiedono (italiani e immigrati), lavorano (transessuali) o che qui transitano per scopi precisi (spacciatori e tossicodipendenti). La diffidenza degli abitanti è non solo e non tanto indirizzata nei confronti degli estranei al Ghetto. Essa si manifesta piuttosto tra le diverse “tribù” che lo popolano.
Il titolo si ispira a un’espressione in dialetto genovese - se ciantan i spinelli inte brasse (si piantano gli spinelli nelle braccia) - che rivela sia ignoranza nei confronti del fenomeno della tossicodipendenza sia un atteggiamento di rifiuto. Il rimando alle brasse intende in questo caso, all’opposto, suggerire un atteggiamento di calorosa accoglienza. La medesima ambiguità si riscontra nell’evento che funge da perno dell’operazione, una sorta di “spaccio” - termine che rimanda alla vendita della droga, ma anche allo smercio di generi di prima necessità.
Nel Ghetto e nelle zone limitrofe le pratiche inerenti la cura del corpo radicate nella tradizione delle varie comunità di immigrati - magrebini, senegalesi ed ecuadoriani in primis - coabitano infatti con pratiche di segno opposto, legate all’abuso di droghe. Si profila quindi un ulteriore contrasto tra le comunità di migranti e la società ospite, percepita come opulenta ed autolesiva.
L’artista installa dunque nella “piazza senza nome” uno spaccio in cui espone prodotti vegetali tradizionali utilizzati nelle varie culture per implementare l’energia fisica, attenuare la fame e la stanchezza, potenziare la sessualità, purificare o guarire il corpo, oltre a buoni premio - ad esempio per un taglio di capelli dal parrucchiere marocchino. Lo spaccio di Leone Contini è organizzato secondo criteri che esulano dal commercio tradizionale, innestandosi su un tessuto di economia informale cui alcuni abitanti già danno vita ed anzi richiamandolo ulteriormente in virtù di dieci fotocopie in b/n 70X100, affisse sui muri del quartiere per un mese, che riproducono l’immagine dei vari prodotti.
La prospettiva è di allentare le barriere tra le differenti comunità e tra queste e la società ospite.
Leone Contini (Firenze, 1976) è artista visuale dalla costante vocazione antropologica. La sua ricerca si colloca lungo il margine di contatto tra pratiche creative e lavoro etnografico. Metodologie e linguaggi appartenenti ad ambiti disciplinari differenti si traducono in un continuum di scrittura, video-scrittura, attività laboratoriali, relazioni. Gli ambiti dell’indagine riguardano solitamente aree di frizione caratterizzate da complessità identitaria e rapporti di potere. La sua pratica discorsiva tende a problematizzare, oltre all’oggetto sociale sottoposto ad “indagine”, anche la relazione che inevitabilmente viene a crearsi con esso. Questa tendenza a criticizzare lo spazio della ricerca porta a mettere in discussione il concetto di autorialità e ad interrogare il posizionamento della stessa comunità artistica nei confronti del contesto in cui opera.
Progetto realizzato in collaborazione con gli abitanti del Ghetto, la casa di quartiere GhettUp e la Comunità di San Benedetto.
L’intervento di Leone Contini sarà visibile per un mese nelle vie del Ghetto.
Una postazione in cui reperire materiale sul progetto sarà allestita presso la Casa di quartiere - GhettUp.
Con la collaborazione di Comune di Genova.