JEAN-LOUP AMSELLE
CONTRO IL PRIMITIVISMO
Bollati Boringhieri, 8/3/2012
collana "Incipit"
Il remoto, ciò che vive in uno spazio lontano che si immagina custodito dal tempo, viene promosso a originario, ad arcaico ancora tangibile. Ecco l’abbaglio primitivista. Vi cadono i clienti dei club di vacanze esotici, ma ne sono preda anche le grandi organizzazioni internazionali e i ricercatori che, per mestiere, scovano nei luoghi sperduti del Terzo Mondo terreni vergini da autenticare come tali. Soprattutto a loro, ai suoi colleghi antropologi, non fa sconti Jean-Loup Amselle. Il suo affondo assume i toni dell’autocritica di un’intera disciplina, a partire dal modo con cui costruisce l’oggetto di indagine: le cosiddette «società primitive», feticci etnologici senza storia fissati in un eterno presente, più che realtà vive. L’attuale crisi dell’antropologia dipende, secondo Amselle, proprio dalla difficoltà di oltrepassare il primitivismo implicito in una metafisica delle culture autoctone, che le trasforma in essenze intemporali da preservare in senso museografico e patrimonialista. Andrebbero invece esplorate attraverso un’analisi differenziale dei ritmi di sviluppo, che le veda coinvolte all’interno di sistemi più vasti. Solo così il «selvaggio» – buono o cattivo, primigenio o residuale – uscirebbe finalmente dalla riserva identitaria in cui lo costringono i suoi immaginifici osservatori.
Jean-Loup Amselle, antropologo africanista, è direttore di ricerca presso l’École des hautes études en sciences sociales. Tra i suoi libri più recenti, in traduzione italiana, Il distacco dall’Occidente (2009). Presso Bollati Boringhieri ha pubblicato Logiche meticce. Antropologia dell’identità in Africa e altrove (1999), Connessioni. Antropologia dell’universalità delle culture (2001) e L’arte africana contemporanea (2007).
CONTRO IL PRIMITIVISMO
Bollati Boringhieri, 8/3/2012
collana "Incipit"
Il remoto, ciò che vive in uno spazio lontano che si immagina custodito dal tempo, viene promosso a originario, ad arcaico ancora tangibile. Ecco l’abbaglio primitivista. Vi cadono i clienti dei club di vacanze esotici, ma ne sono preda anche le grandi organizzazioni internazionali e i ricercatori che, per mestiere, scovano nei luoghi sperduti del Terzo Mondo terreni vergini da autenticare come tali. Soprattutto a loro, ai suoi colleghi antropologi, non fa sconti Jean-Loup Amselle. Il suo affondo assume i toni dell’autocritica di un’intera disciplina, a partire dal modo con cui costruisce l’oggetto di indagine: le cosiddette «società primitive», feticci etnologici senza storia fissati in un eterno presente, più che realtà vive. L’attuale crisi dell’antropologia dipende, secondo Amselle, proprio dalla difficoltà di oltrepassare il primitivismo implicito in una metafisica delle culture autoctone, che le trasforma in essenze intemporali da preservare in senso museografico e patrimonialista. Andrebbero invece esplorate attraverso un’analisi differenziale dei ritmi di sviluppo, che le veda coinvolte all’interno di sistemi più vasti. Solo così il «selvaggio» – buono o cattivo, primigenio o residuale – uscirebbe finalmente dalla riserva identitaria in cui lo costringono i suoi immaginifici osservatori.
Jean-Loup Amselle, antropologo africanista, è direttore di ricerca presso l’École des hautes études en sciences sociales. Tra i suoi libri più recenti, in traduzione italiana, Il distacco dall’Occidente (2009). Presso Bollati Boringhieri ha pubblicato Logiche meticce. Antropologia dell’identità in Africa e altrove (1999), Connessioni. Antropologia dell’universalità delle culture (2001) e L’arte africana contemporanea (2007).