GIACOMO WALTER CAVALLO
NUNZIO DEI MAYA
Monsignor Federico Lunardi e la sua storia
Libero di scrivere, 17/3/2013
collana "Koiné"
Solo a partire dalla metà degli anni Sessanta dello scorso secolo la figura di sacerdote, di diplomatico e di ricercatore di monsignor Federico Lunardi cominciò ad essere oggetto di attenzione da parte degli studiosi, a cominciare dalla fondazione a Genova, nel 1964, da parte del nipote Ernesto, dell’Associazione Italiana di Studi Americanisti (A.I.S.A.), oltre che dall’apertura, nel 1968, nel Palazzo dei Congressi alla Fiera del Mare di Genova, del Museo Americanistico Federico Lunardi, che in seguito verrà trasferito a Villa Gruber. Queste istituzioni furono affiancate da un organo scientifico, Terra Ameriga, nel quale, oltre che l’edizione di diversi suoi studi e scritti inediti, vennero ospitati i primi contributi scientifici e le prime analisi critiche (fra queste spiccano quelle condotte dallo stesso Ernesto, da Laura Laurencich Minelli e da Pierleone Massajoli, che già nel 1965 aveva pubblicato sulla rivista L’Universo un contributo di taglio divulgativo sulla vita ed i viaggi del monsignore) dell’attività di ricerca condotta in maniera appassionata per quasi un quarantennio dal Lunardi su numerose popolazioni indigene dell’America Latina, dove con una breve interruzione fra il 1948 ed il 1949, quando tornò a Roma per lavorare nella Segreteria di Stato alle dipendenze dirette di Pio XII, operò dal 1916 al 1954, anno della sua morte avvenuta ad Asunciòn.
Giunto a L’Avana, dove rimase fino al 1920, come addetto alla sede dell’Internunziatura Apostolica di Cuba e Portorico, per l’appunto nel 1916, monsignor Lunardi intraprese l’attività diplomatica che, con successivi incarichi, gli sarebbero valsi prima la nomina a monsignore e poi, nel 1936, ad arcivescovo titolare di Side. Esercitò la sua attività in successione, in Cile (1920-1923), Colombia (1923-1931), Brasile (1931-1936 da allora col ruolo di nunzio apostolico), Bolivia (1936-1938), Honduras (1939-1948) e Paraguay (1949-1954).
Ma, nell’arco della sua lunga permanenza in America Latina, monsignor Lunardi si impegnò anche in una continua attività di osservazione e di studio dei territori da lui attraversati nel corso di una lunga serie di viaggi compiuti a piedi o a cavallo e coi più disparati mezzi di trasporto (canoa, treno, idrovolante, aereo, automobile) e delle popolazioni che ebbe l’opportunità di incontrare e conoscere. In Colombia si interessò infatti alle civiltà dei Chibcha e dei Tiahuahaca ed allo studio di alcune popolazioni dell’altopiano, come i Paeces ed i Pastos ed alla cultura dei Guarayo, Chiquito, Aymara, Yuracare, Yanaigua, Mohima e Covina, ma soprattutto a quella dei Siriòno, con osservazioni e riflessioni, in questo caso, che seppero superare lo stadio puramente descrittivo per avvicinarsi ad un più esauriente approccio di taglio etnologico. In Brasile si occupò dei Cayapò, Carajà, Chavantes e Bororo, a proposito dei quali Walter Cavallo ha messo a confronto alcune sue considerazioni con quelli di Claude Lévi-Strauss, che aveva visitato e studiato quella stessa popolazione (anche se non la stessa tribù) pochi mesi prima. In Paraguay si interessò ai Tupi-Guaranì. Ma la fase più significativa delle sue ricerche, nel corso della quale riuscì anche a mettere insieme un gruppo di medici e di biologi allo scopo di compiere misurazioni antropometriche di singoli indigeni, è quella collegata al suo soggiorno in Honduras, dove, oltre ad occuparsi dei Jicaques, dei Paya e degli Intibucani, si dedicò in maniera appassionata alla ricerca delle testimonianze dell’antica civiltà maya nella storia, nel patrimonio archeologico e nella tradizione culturale del popolo honduregno, fondando anche il Centro de Estudios Mayas, per il quale pubblicò nel 1948 il suo lavoro più importante (Honduras Mayas. Etnologia y Arquelogia de Honduras), di oltre quattrocento pagine, che Walter Cavallo ha esaminato con attenzione nelle sue diverse parti.
Tutta questa imponente attività di ricerca, articolata in diversi filoni di indagine (storica, archeologica, etnografica, etnologica, antropologica e linguistica surrogate tutte da una precisa e dettagliata descrizione geografica, intesa come sfondo vivo e determinante della vita delle popolazioni), per affrontare i quali monsignor Lunardi seppe mettere a frutto le conoscenze e le metodologie acquisite nei suoi studi universitari svolti a Roma all’Ateneo del Seminario, dove si laureò in Filosofia nel 1903, trovò riscontro, oltre che nel gran numero, circa sessantamila, di fotografie da lui scattate nel corso dei suoi numerosi viaggi di studio, che ebbero quasi sempre le caratteristiche di una vera e proprio esplorazione e nei reperti archeologici che raccolse, in quelli che sono stati chiamati i libretti. Si trattava di quadernetti tascabili, di cui era sempre provvisto, contenenti appunti di viaggio, redatti in uno spagnolo non sempre ineccepibile e corredati da disegni e schizzi, nei quali egli annotò sistematicamente, man mano che affrontava e sviluppava le sue ricerche, tutto quello che attirava la sua infinita curiosità e che avrebbe poi ripreso e rielaborato nelle monografie apparse nel corso degli anni e nei numerosi articoli che pubblicò su qualificate riviste scientifiche italiane, ma soprattutto latino-americane.
Anche se non mancarono critiche e polemiche nei confronti di diverse sue tesi ed affermazioni, va però ricordato che numerosi specialisti dei singoli problemi trattati da monsignor Lunardi si sono avvalsi molto spesso dei dati da lui raccolti. La sua ampia produzione scientifica gli valse infatti la considerazione, l’amicizia e la collaborazione di diversi studiosi di rilievo, come José Imbelloni, direttore del Museo Argentino de Ciencias Naturales Bernardino Rivadavia di Buenos Aires; Jean Vellard, creatore del Centre Français d’Etudes Andins; Miguel Angel Ramos, direttore della Biblioteca y Archivo Nacional dell’Honduras; César Lizardi Ramos, docente di Archeologia Maya all’Universidad Nacional Autonoma del Messico, ma anche fondatore della cattedra di Arquelogìa Maya dell’Università Centrale dell’Honduras, e molti altri ancora, come Gustav Stromsvik, Doris Zemmuray Stone e Paul Kirchoff, per limitarci ai più significativi.
Al di là delle inevitabili polemiche che questo genere di studi hanno sempre suscitato nel campo degli Americanisti e che toccarono naturalmente anche l’attività di monsignor Lunardi, ma sulle quali non è facile prendere posizione, e al di là del fatto che, data l’ampiezza di carattere enciclopedico dei suoi interessi scientifici, non tutti i suoi studi e i relativi scritti riuscirono a raggiungere un livello superiore a quello meramente descrittivo, non si possono non rimarcare in ogni caso la precisione delle sue osservazioni, la scrupolosità e serietà delle sue indagini in loco, la inesauribile curiosità scientifica e la serietà della preparazione che lo portarono sempre ad affrontare ed a studiare nuovi problemi e ad approfondire quelli già conosciuti, oltre che la modernità, a cominciare dall’ampio uso che sempre fece della macchina fotografica, dei mezzi adoperati per le sue indagini.
Ma, nonostante l’importanza, l’ampiezza e l’utilità degli studi compiuti da monsignor Lunardi e del materiale da lui raccolto, se si eccettua un saggio di Fulvio Fulvi, che nell’anno accademico 1967-1968 aveva discusso all’Università di Pisa una tesi di laurea in Geografia sui viaggi di monsignor Lunardi, pubblicato nel 1992 a Città di Castello (I contributi americanistici di Federico Lunardi), mancava ancora un profilo biografico su questo sacerdote fondato sulle sue numerose pubblicazioni e sul materiale fotografico, la corrispondenza e gli scritti, la biblioteca ed il materiale raccolto conservati a Genova presso il Centro di documentazione (Dipendenza del Palazzo Rosso), la Biblioteca Civica Berio, l’Archivio storico del Comune (Palazzo Ducale) e le collezioni Lunardi custodite ed in parte esposte al Castello D’Albertis - Museo delle Culture del Mondo. Proprio per questi motivi anche chi scrive aveva assegnato, a partire dal 1970, quando ottenne, presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Genova, l’incarico di Storia delle esplorazioni geografiche, una serie di tesi, consultate ed in parte utilizzate pure per questo lavoro, di cui l’elenco completo è reperibile in un articolo di Silvia Spotorno (L’attività scientifica di Federico Lunardi in Bolivia) apparso sulla Miscellanea di Storia delle esplorazioni, II, 1977, pp. 213-224: tesi elaborate soprattutto sulla analisi e la valorizzazione dei famoso libretti.
Su tutto questo materiale, mettendo a frutto anche le interviste fatte ai funzionari del Comune di Genova responsabili della sua conservazione e valorizzazione e le indicazioni ricavate anche da un’intervista fatta a Giulio Lunardi, figlio di Ferrante, fratello di Federico, Walter Cavallo, che su questo argomento aveva preparato, presso l’Università di Genova, la sua tesi di laurea magistrale in Antropologia Culturale, dopo aver effettuato uno stage per schedare le collezioni archeologiche custodite presso il Castello D’Albertis, ha redatto, con molta passione e con un entusiasmo talvolta un po’ eccessivo che trapela dalle righe della sua prefazione e da alcune riflessioni conclusive, un documentato, articolato ed esaustivo profilo biografico di monsignor Lunardi ed una convincente analisi delle sue ricerche e dei suoi studi, suffragata da puntuali ed opportune citazioni dei suoi scritti, arricchita da due appendici dedicate rispettivamente alla civiltà mesoamericana ed alle missioni cattoliche, che gli appassionati della storia e delle civiltà americane potranno proficuamente utilizzare.
Francesco Surdich
NUNZIO DEI MAYA
Monsignor Federico Lunardi e la sua storia
Libero di scrivere, 17/3/2013
collana "Koiné"
Solo a partire dalla metà degli anni Sessanta dello scorso secolo la figura di sacerdote, di diplomatico e di ricercatore di monsignor Federico Lunardi cominciò ad essere oggetto di attenzione da parte degli studiosi, a cominciare dalla fondazione a Genova, nel 1964, da parte del nipote Ernesto, dell’Associazione Italiana di Studi Americanisti (A.I.S.A.), oltre che dall’apertura, nel 1968, nel Palazzo dei Congressi alla Fiera del Mare di Genova, del Museo Americanistico Federico Lunardi, che in seguito verrà trasferito a Villa Gruber. Queste istituzioni furono affiancate da un organo scientifico, Terra Ameriga, nel quale, oltre che l’edizione di diversi suoi studi e scritti inediti, vennero ospitati i primi contributi scientifici e le prime analisi critiche (fra queste spiccano quelle condotte dallo stesso Ernesto, da Laura Laurencich Minelli e da Pierleone Massajoli, che già nel 1965 aveva pubblicato sulla rivista L’Universo un contributo di taglio divulgativo sulla vita ed i viaggi del monsignore) dell’attività di ricerca condotta in maniera appassionata per quasi un quarantennio dal Lunardi su numerose popolazioni indigene dell’America Latina, dove con una breve interruzione fra il 1948 ed il 1949, quando tornò a Roma per lavorare nella Segreteria di Stato alle dipendenze dirette di Pio XII, operò dal 1916 al 1954, anno della sua morte avvenuta ad Asunciòn.
Giunto a L’Avana, dove rimase fino al 1920, come addetto alla sede dell’Internunziatura Apostolica di Cuba e Portorico, per l’appunto nel 1916, monsignor Lunardi intraprese l’attività diplomatica che, con successivi incarichi, gli sarebbero valsi prima la nomina a monsignore e poi, nel 1936, ad arcivescovo titolare di Side. Esercitò la sua attività in successione, in Cile (1920-1923), Colombia (1923-1931), Brasile (1931-1936 da allora col ruolo di nunzio apostolico), Bolivia (1936-1938), Honduras (1939-1948) e Paraguay (1949-1954).
Ma, nell’arco della sua lunga permanenza in America Latina, monsignor Lunardi si impegnò anche in una continua attività di osservazione e di studio dei territori da lui attraversati nel corso di una lunga serie di viaggi compiuti a piedi o a cavallo e coi più disparati mezzi di trasporto (canoa, treno, idrovolante, aereo, automobile) e delle popolazioni che ebbe l’opportunità di incontrare e conoscere. In Colombia si interessò infatti alle civiltà dei Chibcha e dei Tiahuahaca ed allo studio di alcune popolazioni dell’altopiano, come i Paeces ed i Pastos ed alla cultura dei Guarayo, Chiquito, Aymara, Yuracare, Yanaigua, Mohima e Covina, ma soprattutto a quella dei Siriòno, con osservazioni e riflessioni, in questo caso, che seppero superare lo stadio puramente descrittivo per avvicinarsi ad un più esauriente approccio di taglio etnologico. In Brasile si occupò dei Cayapò, Carajà, Chavantes e Bororo, a proposito dei quali Walter Cavallo ha messo a confronto alcune sue considerazioni con quelli di Claude Lévi-Strauss, che aveva visitato e studiato quella stessa popolazione (anche se non la stessa tribù) pochi mesi prima. In Paraguay si interessò ai Tupi-Guaranì. Ma la fase più significativa delle sue ricerche, nel corso della quale riuscì anche a mettere insieme un gruppo di medici e di biologi allo scopo di compiere misurazioni antropometriche di singoli indigeni, è quella collegata al suo soggiorno in Honduras, dove, oltre ad occuparsi dei Jicaques, dei Paya e degli Intibucani, si dedicò in maniera appassionata alla ricerca delle testimonianze dell’antica civiltà maya nella storia, nel patrimonio archeologico e nella tradizione culturale del popolo honduregno, fondando anche il Centro de Estudios Mayas, per il quale pubblicò nel 1948 il suo lavoro più importante (Honduras Mayas. Etnologia y Arquelogia de Honduras), di oltre quattrocento pagine, che Walter Cavallo ha esaminato con attenzione nelle sue diverse parti.
Tutta questa imponente attività di ricerca, articolata in diversi filoni di indagine (storica, archeologica, etnografica, etnologica, antropologica e linguistica surrogate tutte da una precisa e dettagliata descrizione geografica, intesa come sfondo vivo e determinante della vita delle popolazioni), per affrontare i quali monsignor Lunardi seppe mettere a frutto le conoscenze e le metodologie acquisite nei suoi studi universitari svolti a Roma all’Ateneo del Seminario, dove si laureò in Filosofia nel 1903, trovò riscontro, oltre che nel gran numero, circa sessantamila, di fotografie da lui scattate nel corso dei suoi numerosi viaggi di studio, che ebbero quasi sempre le caratteristiche di una vera e proprio esplorazione e nei reperti archeologici che raccolse, in quelli che sono stati chiamati i libretti. Si trattava di quadernetti tascabili, di cui era sempre provvisto, contenenti appunti di viaggio, redatti in uno spagnolo non sempre ineccepibile e corredati da disegni e schizzi, nei quali egli annotò sistematicamente, man mano che affrontava e sviluppava le sue ricerche, tutto quello che attirava la sua infinita curiosità e che avrebbe poi ripreso e rielaborato nelle monografie apparse nel corso degli anni e nei numerosi articoli che pubblicò su qualificate riviste scientifiche italiane, ma soprattutto latino-americane.
Anche se non mancarono critiche e polemiche nei confronti di diverse sue tesi ed affermazioni, va però ricordato che numerosi specialisti dei singoli problemi trattati da monsignor Lunardi si sono avvalsi molto spesso dei dati da lui raccolti. La sua ampia produzione scientifica gli valse infatti la considerazione, l’amicizia e la collaborazione di diversi studiosi di rilievo, come José Imbelloni, direttore del Museo Argentino de Ciencias Naturales Bernardino Rivadavia di Buenos Aires; Jean Vellard, creatore del Centre Français d’Etudes Andins; Miguel Angel Ramos, direttore della Biblioteca y Archivo Nacional dell’Honduras; César Lizardi Ramos, docente di Archeologia Maya all’Universidad Nacional Autonoma del Messico, ma anche fondatore della cattedra di Arquelogìa Maya dell’Università Centrale dell’Honduras, e molti altri ancora, come Gustav Stromsvik, Doris Zemmuray Stone e Paul Kirchoff, per limitarci ai più significativi.
Al di là delle inevitabili polemiche che questo genere di studi hanno sempre suscitato nel campo degli Americanisti e che toccarono naturalmente anche l’attività di monsignor Lunardi, ma sulle quali non è facile prendere posizione, e al di là del fatto che, data l’ampiezza di carattere enciclopedico dei suoi interessi scientifici, non tutti i suoi studi e i relativi scritti riuscirono a raggiungere un livello superiore a quello meramente descrittivo, non si possono non rimarcare in ogni caso la precisione delle sue osservazioni, la scrupolosità e serietà delle sue indagini in loco, la inesauribile curiosità scientifica e la serietà della preparazione che lo portarono sempre ad affrontare ed a studiare nuovi problemi e ad approfondire quelli già conosciuti, oltre che la modernità, a cominciare dall’ampio uso che sempre fece della macchina fotografica, dei mezzi adoperati per le sue indagini.
Ma, nonostante l’importanza, l’ampiezza e l’utilità degli studi compiuti da monsignor Lunardi e del materiale da lui raccolto, se si eccettua un saggio di Fulvio Fulvi, che nell’anno accademico 1967-1968 aveva discusso all’Università di Pisa una tesi di laurea in Geografia sui viaggi di monsignor Lunardi, pubblicato nel 1992 a Città di Castello (I contributi americanistici di Federico Lunardi), mancava ancora un profilo biografico su questo sacerdote fondato sulle sue numerose pubblicazioni e sul materiale fotografico, la corrispondenza e gli scritti, la biblioteca ed il materiale raccolto conservati a Genova presso il Centro di documentazione (Dipendenza del Palazzo Rosso), la Biblioteca Civica Berio, l’Archivio storico del Comune (Palazzo Ducale) e le collezioni Lunardi custodite ed in parte esposte al Castello D’Albertis - Museo delle Culture del Mondo. Proprio per questi motivi anche chi scrive aveva assegnato, a partire dal 1970, quando ottenne, presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Genova, l’incarico di Storia delle esplorazioni geografiche, una serie di tesi, consultate ed in parte utilizzate pure per questo lavoro, di cui l’elenco completo è reperibile in un articolo di Silvia Spotorno (L’attività scientifica di Federico Lunardi in Bolivia) apparso sulla Miscellanea di Storia delle esplorazioni, II, 1977, pp. 213-224: tesi elaborate soprattutto sulla analisi e la valorizzazione dei famoso libretti.
Su tutto questo materiale, mettendo a frutto anche le interviste fatte ai funzionari del Comune di Genova responsabili della sua conservazione e valorizzazione e le indicazioni ricavate anche da un’intervista fatta a Giulio Lunardi, figlio di Ferrante, fratello di Federico, Walter Cavallo, che su questo argomento aveva preparato, presso l’Università di Genova, la sua tesi di laurea magistrale in Antropologia Culturale, dopo aver effettuato uno stage per schedare le collezioni archeologiche custodite presso il Castello D’Albertis, ha redatto, con molta passione e con un entusiasmo talvolta un po’ eccessivo che trapela dalle righe della sua prefazione e da alcune riflessioni conclusive, un documentato, articolato ed esaustivo profilo biografico di monsignor Lunardi ed una convincente analisi delle sue ricerche e dei suoi studi, suffragata da puntuali ed opportune citazioni dei suoi scritti, arricchita da due appendici dedicate rispettivamente alla civiltà mesoamericana ed alle missioni cattoliche, che gli appassionati della storia e delle civiltà americane potranno proficuamente utilizzare.
Francesco Surdich