venerdì 2 agosto 2013

ENRICO PAULUCCI: UNA FUGA IN AVANTI - LICEO SARACCO, ACQUI TERME



ENRICO PAULUCCI
UNA FUGA IN AVANTI
a cura di Adolfo Francesco Carozzi
Liceo Saracco . Acqui Terme
dal 20 luglio al 25 agosto 2013

La quarantaduesima edizione della ormai tradizionale antologica al Palazzo del Liceo Saracco ad Acqui Terme, che s’inaugura il 20 luglio e termina il 25 agosto, quest’anno rende omaggio ad Enrico Paulucci, uno dei grandi protagonisti dell’arte italiana del secolo scorso. L’Artista infatti, nato nel 1901 e vissuto fino al 1999, si può dire abbia rappresentato l’intero Novecento torinese.
Dopo il soggiorno a Parigi degli anni Venti quando, formato il gruppo dei Sei Pittori di Torino, rompe con gli schemi troppo rigidi, pronto a squarciare le prospettive con una pittura più ariosa, piena di fragranza e lievità, e dopo il soggiorno romano degli anni Trenta, quando si propone con una tavolozza dai toni caldi con un impianto vagamente cezanniano, Paulucci subisce nel dopoguerra ancora una volta il fascino del rinnovamento e della ricerca, lasciandosi coinvolgere dall’onda informale con soluzioni tra l’astratto e il concreto. Torna poi nei decenni successivi ad una personale ed allegra figurazione con «piena felicità cromatica neonaturalistica» (M. Rosci), frutto indiscutibile delle precedenti esperienze attraverso i paesaggi delle marine di Levante e delle colline delle Langhe, spesso inondati da luminosi riverberi, «caratterizzata da un ritorno alla cultura di partenza, postimpressionista e fauve, o dalla autocitazione, ma insieme testimonianza di una eccezionale vitalità» (G. Giubbini).
Nel periodo centrale del secolo quindi (anni ‘50/’60), anche Paulucci, come già abbiamo accennato, partecipa attivamente a questo nuovo modo di rappresentare una realtà spesso direttamente filtrata dal personale sentire, con un continuo riferimento all’immagine stessa della natura. Sposando la posizione di Maurizio Calvesi, che sostiene che un’opera per essere considerata informale non deve necessariamente essere senza forma, ma piuttosto che il termine informale va inteso nel più ampio significato letterale, ovvero che non è un sinonimo di informe ma vuol dire diverso, non formale, si può ben comprendere perché anche le opere di Paulucci di questo periodo, pur facendo specifico riferimento al paesaggio, possano essere considerate informali.
A tal proposito tanti sono infatti i saggi critici che nel corso degli anni hanno evidenziato la tangenza della poetica di Paulucci con il mondo informale. Tra questi, quello di Rita Selvaggi che scrive: «…nel dopoguerra matura, invece, nuove esperienze che lo inducono ad aderire all’espressionismo astratto e poi, in un secondo momento, all’Informale e che portano a compimento un processo di rilettura in chiave di introspettiva del dato naturale” o quello di Giorgio Di Genova, che nella Storia dell’Arte Italiana del ‘900 così scrive della poetica della seconda metà degli anni Cinquanta: «Paulucci rompe l’ordito ragnatelato delle sue composizioni portuali per portare in primo piano certe nuove esigenze di incastro cromatico già affiorate nel ‘54/’55, con qualche concessione a certo gestualismo dinamico, che sarei tentato di definire vorticismo informale (Girandole di colore, 1954).
Sono dunque opere, quelle di questo periodo, che non rinnegano attraverso oli, guazzi, acquarelli, pastelli, il suo grande amore per la pittura e che hanno lasciato spesso il segno, tanto che quelle successive ben diverse sono risultate da quelle precedenti. Una materia pittorica che esprime la profonda conoscenza dell’Artista del colore e della luce, una materia che si adagia sulle forme ricorrenti dei suoi temi più cari: i paesaggi.
La tavolozza è ricca, i giochi cromatici tolgono il respiro, si ha la sensazione di non riuscire a percepirli tutti, si ha la paura di perderne qualcuno. La vista è spesso aerea, oggi si potrebbe dire che è un’anticipazione delle viste dall’alto proposte dalle immagini satellitari in una sorta di planimetria dove i colori distinguono gli elementi delle composizioni urbane, marine e collinari. Paulucci ha attraversato quel periodo, la fine degli anni Cinquanta e l’inizio del decennio successivo, e con la sua straordinaria sensibilità ed abilità è riuscito a lasciarci una serie di opere, di ricordi, di emozioni filtrate con gli occhi di chi sa capire il proprio tempo, di chi sa essere sempre protagonista in ogni momento.
La Mostra, pertanto, pur rappresentando l’intera produzione dell’Artista, con l’esposizione di ottanta significative opere dagli inizi degli anni Venti a, forse, all’ultimo olio dipinto alla fine degli anni Novanta, si sofferma volutamente sul periodo centrale della sua attività, per sottolineare la sua continua, incessante ricerca volta all’orizzonte che rimane un confine da oltrepassare, da superare, da scoprire, da andare oltre… per fare una fuga in avanti, aderendo in modo personalissimo a quel modo di essere informali. L’immagine scelta per la promozione della rassegna, riprodotta anche sul catalogo della Mostra, arricchito dal commento di Laura Riccio e dai testi critici di Bruno Quaranta e Angelo Mistrangelo, ben evidenzia il sottotitolo della rassegna: «Una fuga in avanti». Essa, infatti, riporta il mosaico in vetro realizzato dal mosaicista Righini e oggi posizionato nella tomba di famiglia a Montegrosso d’Asti, dove riposa anche Enrico. Il mosaico riproduce l’opera di Paulucci Liguria, del 1961, con una singolare esaltazione della materia, che assume quasi un valore tridimensionale nello spessore marcato delle tessere e con un’ineguagliabile luminosità dei colori, grazie alle trasparenze del vetro, declinati nelle tonalità del blu, dell’azzurro e del turchese. Una «marina» attraversata da una nave blu cobalto che solca il mare infinito dell’eternità, non con malinconica rassegnazione, ma piuttosto con curiosità ed allegria segnalata dagli inserti rosso fuoco protagonisti al centro dell’opera.
Considerata non solo cronologicamente baricentrica la sua esperienza pittorica degli anni ‘50 e ‘60, l’antologica dedica, dunque, la grande sala centrale alle opere di quegli anni, mentre lateralmente da una parte sono visibili i lavori realizzati nei primi decenni della sua attività e dall’altra quelli degli anni successivi fino alla fine del secolo scorso. Inoltre alcune pareti di una sala sono dedicate ai guazzi realizzati per le scenografie di alcune opere teatrali.