sabato 29 giugno 2013

GIAN LUCA GROPPI: B(E)SIDES - VISIONQUEST GALLERY, GENOVA


GIAN LUCA GROPPI
B(E)SIDES
a cura di Clelia Belgrado
Visionquest gallery
Piazza Invrea 4R - Genova
dal 28/6/2013 al 14/9/2013

Lorella Klun, nel testo critico che accompagna la mostra “Mutazioni” di Gian Luca Groppi, lo racconta come “moderno cantastorie, che mischia i generi e le carte, infondendo alle sue opere un lirismo caustico che volutamente non offre panacee o soluzioni, ma piccoli strali, per scuoterci dalla diffusa inerzia sociale ed emotiva”.
Ed eccolo di nuovo il “cantastorie”, che raggruppa in questa mostra anni di lavori che lui stesso definisce “i suoi figli unici”.
“B(e)sides” è un insieme di lavori diversi fra loro, per le dimensioni, i contenuti e le forme, ma che, come sempre, attraverso la linea visiva stilistica surreale e ironica, la sempre attenta e raffinata atmosfera teatrale di colui che inventa, studia e costruisce scenografie, raccontano l'instabilità, l'ambiguità e la continua ricerca esistenziale dell'umanità dei giorni nostri.
Nelle immagini che costituiscono “B(e)sides”, la messa in scena di ogni opera sembra voler rendere ai suoi personaggi la coscienza di aver trovato finalmente un autore pronto a raccontare la loro storia. La fotografia a colori della ragazza che si taglia una ciocca di capelli con un coltello, segna non solo il passaggio del fotografo al colore, ma anche il passaggio ineluttabile dall'adolescenza alla maturità, inteso anche come dono. “Flora” racconta la perdita dell'innocenza, che non sempre è negativa, ma che può far “fiorire” altre esperienze. Nei “Cercatori” il lavatoio con l'uomo che tenta di trovare qualcosa sul fondo diventa metafora dell'umanità e del suo sempre incessante bisogno di trovare un significato alla vita. Il risultato è solo un pugno di argilla e la consapevolezza che anche gli altri sono in continua ricerca, senza trovare risposte, tranne quel poco fango che scivola tra le dita e che, in fondo, è la materia da dove proveniamo e dove finiremo. In “Denied”, attraverso un rito quasi sommesso di preparazione di una superficie neutra, ci si prepara ad assorbire tutte le crudeltà ed i rifiuti di una società pronta ad annullarci. In “Apatia”, mediante l'utilizzo di un' acrostico come forma di linguaggio, Groppi ha voluto rappresentare attraverso un atto performativo, una condizione emotiva (APATIA), tanto cara a noi occidentali, che non appartiene, invece, a un paese come la Cambogia, nonostante tutte le tragedie del recente passato.
Queste immagini, che Groppi definisce “i miei figli unici, ossia le mie valvole di sfogo: ogni opera è governata da visioni, flash senza troppa meditazione”, sono caratterizzate da una notevole capacità di sintesi compositiva, che è formale, ma anche originale ed inconsueta, e da una colta e raffinata vena noir, generando messaggi o riflessioni sulla nostra contemporaneità, la nostra esistenza e convivenza.