CECILIA RAVERA ONETO
PRESENZE INDUSTRIALI NEL PAESAGGIO
con quadri degli allievi dell’Accademia che hanno concorso alla IV edizione del premio “Cecilia Ravera Oneto”
a cura di Franco Dioli
Accademia Ligustica di Belle Arti
largo Pertini 4 - Genova
13 dicembre 2012 - 15 gennaio 2013
Lo straordinario recupero culturale determinatosi in Italia a partire dal 1945, immediatamente dopo la fine della seconda guerra mondiale, ha costituito un esempio per l’Europa e ha certamente conferito al paese un ruolo di guida in molti campi, quali l’architettura, il design e il cinema. Il fenomeno di questo recupero appare tipicamente italiano, almeno quanto quello del Futurismo, un movimento che, nella varietà delle forme in cui si è presentato, non sarebbe potuto sorgere in alcun’altra parte del mondo.
In questo clima culturale si forma e si impone la figura della pittrice Cecilia Ravera Oneto (1918-2002), che vive e partecipa appieno al suo tempo, un tempo “difficile,” in cui l’arte attraversa una lacerazione fra l’immagine e la sua negazione, fra il realismo e il suo esatto opposto: l’astrazione. La sua ricerca artistica, recependo ma superando questo “stato dell’arte” esplora, in maniera del tutto personale e autonoma, le correnti che attraversano il periodo della sua attività artistica.
La sua pittura può trovare una collocazione, sempre che si voglia ascriverla ad una corrente, nell’habitat culturale espressionista. Le sue opere,infatti, pur nella molteplicità delle varianti stilistiche, ricordano le declinazioni espressive proprie del movimento tedesco.
Occorre sottolineare un carattere singolare dell’iter pittorico di questa artista: i mutamenti, gli sviluppi della sua opera, nel tempo, sono minimi, e comunque non hanno grande rilevanza, dimostrando la coerenza di una cifra pittorica fedele a se stessa.
Ci sono periodi diversi che si succedono nella sua attività, come già detto, ognuno con le proprie caratteristiche, più o meno lontane da quelle degli altri, ma le variazioni non sono legate tanto a un’evoluzione del linguaggio, quanto e soprattutto, alla natura dell’immagine, al tema visivo che, per quel periodo, coincide con il suo timbro pittorico e per il quale dimostra massimo interesse e coinvolgimento e sul quale lavora con frenetica continuità.
Officine, cantieri ed altiforni, tradotti in termini pittorici, posti a contatto con l’aria frizzante del mattino, oppure con quella già affocata dall’ardore dei forni: e da questi incontri non può che risultare una pittura franca, decisa, tendente alla sintesi, priva di svenevolezze edonistiche, ribelle a qualsiasi compiacimento formalistico, tutta intenta ad un suo preciso scopo di centrare il tema e con ciò di farne riaffiorare l’intima sostanza umana, ossia la segreta solidarietà con cui l’artista stessa si accosta a tali suoi soggetti.
Cecilia vede nel territorio di San Quirico un “misto tra romantica vallata e aggressione industriale”, fra “serbatoi in mezzo ad abeti e vecchi ciliegi.”
In lei alberga la frenesia per quel territorio che velocemente sta cambiando, un ambiente in vertiginosa mutazione nelle sue forme, nei suoi skyline; in lei domina la bramosa volontà di cogliere questo avvenimento innovativo, e forse anche, dal punto di vista artistico, si esprime un certo compiacimento per le novità che si vanno componendo sotto i suoi occhi.
È, per così dire, una scoperta insieme emotiva e intellettuale: l’artista si guarda in giro e si accorge che il panorama ligure, con la sua stretta sintesi di mare e montagna, è per tanta parte caratterizzato dalla presenza di fabbriche, raffinerie, altiforni, quindi di ciminiere fumanti, strutture metalliche, strutture in cemento greggio, dai tratti a un tempo semplici e monumentali, dove sembra prendano corpo le fantasticherie architettoniche della cultura mitteleuropea tra Otto e Novecento.
Tema di questa mostra sono proprio i dipinti dei paesaggi industriali “gli orgogliosi santuari del lavoro” che nel frattempo hanno assunto il nome di “Siti di archeologia industriale” ed oggi sono oggetto di attento studio.
Una stagione iniziata nella seconda metà degli anni cinquanta e destinata a svilupparsi in un percorso lungo alcuni decenni che, come altri momenti della pittura di Cecilia, è reso complesso e appassionante dai ripetuti ritorni all’indietro e dalla simultaneità degli itinerari di ricerca che si muovono fra modalità espressive conformi alla tradizione ed esiti innovativi affidati all’esplorazione delle tematiche del paesaggio, quello industriale e quello naturale, e della condizione umana.
La serie di figurazioni dell’Italsider vengono a rappresentare, per la pittrice, camogliese di nascita, e quindi con il mare nel D.N.A, una sorta di sotterraneo dialogo tra l’elemento naturale tanto amato e l’emergenza strutturale, che ad esso si addossa, e il colloquio continua in una perenne sfida tra passato e presente, tra ambiente incontaminato e ambiente invaso.
Significativo e felicemente calzante è il titolo di una delle mostre in cui la Oneto presentava i suoi quadri: La fabbrica romantica, titolo che individua la duplice anima di questa produzione, caratterizzata, da un lato, dal romanticismo,inteso come suggestione di spazi profondi e di strutture misteriose, e, dall’altro, da un dinamismo prepositivo,aperto verso il domani.
La tematica ha una forte presa sul pubblico e le opere oggi in mostra, realizzate tra la fine degli anni cinquanta e la metà degli anni settanta, offrono e rappresentano orizzonti continuamente rinnovati, dimostrano limpidamente a quali mete è giunta la nostra pittrice, ormai sicuramente in primo piano nel mondo dell’arte pittorica.