martedì 20 maggio 2014

PERDUTI NEL PAESAGGIO / LOST IN LANDSCAPE - MART, ROVERETO





PERDUTI NEL PAESAGGIO / LOST IN LANDSCAPE
a cura di Gerardo Mosquera
MART - Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
corso Bettini 43 - Rovereto
dal 4/4/2014 al 31/8/2014

Il viaggiatore conosce il poco che è suo,
scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà.
(Italo Calvino)

Il Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto presenta Perduti nel paesaggio / Lost in Landscape, un grande progetto espositivo dedicato al paesaggio contemporaneo e ai suoi molti significati: spazio, ambiente, territorio, luogo in cui si vive e da cui ci si allontana. Paesaggio naturale e paesaggio urbano.

La mostra, a cura di Gerardo Mosquera, affronta il tema attraverso le opere di oltre 60 artisti provenienti da tutto il mondo, molti dei quali mai presentati in Italia.
In mostra oltre 170 fotografie, 84 opere pittoriche, 10 video, 4 video-installazioni, 4 installazioni, 4 interventi context specific (Gonzalo Diaz, Takahiro Iwasaki, Glexis Novoa e Cristina Lucas), 1 progetto web specific (Simon Faithful), 1 libro d’artista (Ed Ruscha).

Non è certo un Eden quello raccontato nelle sale del Mart, e neanche un nuovo genere artistico, bensì uno sguardo appassionato e sofferto sul mondo, che scopre necessariamente anche i suoi angoli più drammatici e contraddittori.
Gerardo Mosquera scrive infatti nel testo in catalogo (Edizioni Mart) che il significato del termine "paesaggio" definisce allo stesso tempo "sia la percezione di un determinato luogo, sia la sua rappresentazione", rendendo inseparibili fra loro l’oggetto dal soggetto, l’ambiente dal suo abitante. Oggi, nella concezione del paesaggio del nostro tempo, il grado di soggettività della percezione, infatti, coinvolge i protagonisti attivi delle trasformazioni del territorio, ovvero, quelle strutture e coloro che agiscono su di esso e ne definiscono la stessa nozione, ormai allargata a tutto ciò che ci circonda, dalle autostrade alle foreste, dalle metropoli agli ambienti rurali.
La mostra intreccia tre differenti livelli di lettura: 1) Esaminare la propensione umana ad appropriarsi dell’ambiente e ad identificarsi e dialogare con esso, che si plasma in qualsiasi rappresentazione del paesaggio. 2)Affrontare il paesaggio non come genere artistico ma come mezzo per la costruzione di un senso. 3) Offrire al visitatore un’esperienza al contempo estetica e di riflessione mediante le opere esposte e il loro rapporto e la loro articolazione nello spazio espositivo. Vissuto e costruito, contemplato e utilizzato, il paesaggio è dunque inseparabile dall’uomo. Infatti, nel percepire, conoscere e descrivere il paesaggio, l’uomo è al tempo stesso oggetto inscritto nella realtà e soggetto esterno e narrante. Un dualismo che si evidenza per esempio nelle fotografie di Bae Bien-U. In questo lavoro l’artista fotografa un pineto dal suo interno e il paesaggio raccontato non è solo un panorama, una vista, una veduta. Gli alberi folti sembra quasi che circondino e incombano sull’osservatore-artista, mentre in realtà è proprio lui a offrirci la sua autonoma e intima visione del bosco. O ancora un dualismo che mostra tutte le nostre contraddizioni: laddove la natura è ancora sublime, è l’uomo a infonderle il segno grave del cambiamento traumatico. Nelle immagini fotografiche di Richard Mosse è presente un forte contrasto tra l’immagine di un paesaggio irreale, dalle tinte fiabesche, e la violenta presenza delle truppe militati che trasforma completamente il significato dell’immagine. I colori squillanti, dovuti all’uso di una pellicola militare agli infrarossi, condizionano la percezione dell’immagine di questi meravigliosi luoghi fotografati nell’est del Congo, dove invece ha prevalso dolore e violenza.
La nostra esperienza, cultura e stato sociale allora non smettono di condizionare il modo in cui percepiamo e organizziamo il paesaggio. Gabriel Orozco ricrea questa visione direttamente nella strada, nella periferia, costruendo una piccola città nella città: rifiuti e materiali trovati sul luogo concorrono ad una rappresentazione effimera, povera dell’ambiente metropolitano.
A questo nodo problematico, va aggiunto il tema dei fenomeni di trasformazione e urbanizzazione del paesaggio, centrali nell’analisi degli artisti contemporanei, interessati più allo spazio urbano che a quello naturale, rappresentato soprattutto attraverso il mezzo fotografico e il video: Du Zhenjun immagina l’esplosione urbana in termini apocalittici, Michael Wolf ne mette in risalto la vastità infinita della proliferazione edilizia, David Stephenson riscopre nella metropoli una bellezza primitiva e cristallina attraverso la sua luce artificiale, mentre nel video di Junebum Park la città corrisponde alle sue insegne luminose e l’affollamento pubblicitario è il suo unico criterio di sviluppo.
Infine, in un momento storico come quello che stiamo vivendo in cui è sempre più pressante l'urgenza di salvaguardare il territorio dai rischi di un consumo inconsapevole e spesso rivolto alla distruzione, con la mostra Perduti nel paesaggio/Lost in Landscape, il Mart propone un percorso espositivo che, attraverso le migliori esperienze artistiche, apre una discussione sulla necessità di ritrovare, e rinnovare, gli antichi equilibri tra l'uomo e il suo ambiente.

Perduti nel paesaggio/Lost in Ladscape si apre con “The microwave sky as seen by planck” la prima immagine completa dell’universo, catturata nel 2010 con il telescopio satellitare Planck (©ESA/ LFI & HFI Consortia). Si tratta di una rappresentazione che, delineando il paesaggio totale, descrive la più ambiziosa appropriazione dell’ambiente mai realizzata. L’immagine dell’ universo è accostata all’antico Disco Celeste di Nebra (1.600 a.C.) che è invece la prima sua rappresentazione conosciuta. La raffigurazione di un paesaggio assoluto, conferma il desiderio di sfidare l’infinito e l’espansione permanente del cosmo, contenendolo, descrivendolo, possedendolo.
In mezzo a questi due estremi della storia, l’esposizione del Mart propone numerose interpretazioni contemporanee, provenienti da diverse latitudini, attraverso una molteplicità di linguaggi, tecniche e media differenti. Dai lavori di forte denuncia sociale come i paesaggi fotografati del messicano Fernando Brito alle opere intime di Glenda León e alle rappresentazioni oniriche di Hong Lei, che si alternano agli scenari naturali di Analía Amaya. I luoghi dei conflitti narrati da Vandy Rattana, Gabriele Basilico, Kang Yong-Suk e Rula Halawani, dialogano con gli scenari di trasformazione urbana di Iosif Kiraly, e Guillermo Santos. Immagini surreali, mappe, paesaggi urbani e lunari si sommano in una mostra che esplora la dialettica tra distanza e appartenenza e costruisce messaggi, innesca esperienze, propone indagini.
La mostra parte dall’ immensità dell’universo per arrivare alla semplicità del volto di un individuo trasformato in paesaggio: un atto di appropriazione forse ancora più estremo della cattura dello spazio illimitato, nell’opera dell’uruguaiano Luis Camnitzer.

Artisti in mostra: Marina Abramović, Tarek Al Ghoussein, Lara Almárcegui, Analía Amaya, Carlo Alberto Andreasi, Massimo Bartolini, Gabriele Basilico, Bae Bien-U, Bleda y Rosa, Fernando Brito, Luis Camnitzer, Pablo Cardoso, Jordi Colomer, Russell Crotty, Gonzalo Dìaz, Simon Faithfull, Fischli & Weiss, Carlos Garaicoa, Emmet Gowin, Carlo Guaita, Andreas Gursky, Rula Halawani, Todd Hido, Huang Yan, Carlos Irijalba, Takahiro Iwasaki, Isaac Julien, Anselm Kiefer, Iosif Kiraly, Hong Lei, Glenda Leòn, Yao Lu, Cristina Lucas, Armando Lulaj, Rubens Mano, Arno Rafael Minkkinen, Richard Mosse, Sohei Nishino, Glexis Novoa, Sherman Ong, Gabriel Orozco, Alain Paiement, Junebum Park, Paul Ramìrez Jonas, Vandy Rattana, Szymon Roginski, Ed Ruscha, Guillermo Santos, George Shaw, Gao Shiqiang, David Stephenson, Davide Tranchina, Carlos Uribe, Agnès Varda, Verne Dawson, Michael Wolf, Catherine Yass, Kang Yong-Suk, Du Zhenjun.